
Madrid- Le prostitute spagnole sul piede di guerra reclamano le dimissioni in blocco del governo di Pedro Sanchez.
Non si placa la polemica sul neonato sindacato delle lucciole iberiche, Otras (Organizacion de Trabajadoras Sexuales), il primo del genere in Spagna, autorizzato e poi sconfessato dall’esecutivo socialista.
Le promotrici esigono ora le dimissioni dell’intero Consiglio dei ministri, perché non accettano la messa fuorilegge del sindacato, dopo il via libera alla costituzione ufficiale, pubblicata sul Bollettino dello Stato, e il successivo dietrofront del Psoe.
Ieri, la ministra del lavoro, migrazioni e previdenza sociale, Magdalena Valerio, nell’annunciare un’impugnazione dell’atto istitutivo, che lo scorso 31 luglio aveva ricevuto il via libera proprio dal suo ministero, aveva ammesso: «La mia stessa squadra ha fatto autogol.
Non avrei mai dato il nulla osta.
Non avalleremo un sindacato di un’attività illegale, che viola i diritti delle donne.
Non lo farà un governo socialista e femminista».
E oggi, al termine del Consiglio dei ministri la portavoce, Isabel Celáa, ha ribadito che l’esecutivo socialista «non accetterà in nessun caso l’esistenza di un sindacato delle lavoratrici del sesso».
Per cui, l’Avvocatura dello Stato «sta lavorando su varie ipotesi per annullare la risoluzione pubblicata sul Bollettino dello Stato e sceglierà quella più rapida».
Ma le prostitute non rinunciano al braccio di ferro. E hanno letto oggi un comunicato a Barcellona, dove ha sede legale Otras, in cui giurano che andranno avanti nella battaglia legale, per ottenere un riconoscimento dei propri diritti lavorativi.
«Basta con l’emarginazione di questo collettivo, il più penalizzato socialmente», ha tuonato la portavoce, Concha Borrell.
«Esigiamo gli stessi diritti di qualunque altro cittadino spagnolo e vogliamo regolarizzare la nostra attività, per ottenere diritti basici, come quello alla malattia, alla maternità, allo stipendio mensile e alla pensione, per non essere sfruttate», ha reclamato.
La Borrell ha accusato l’esecutivo ”che si dice socialista operaio” di nascondersi «dietro l’intoccabile tela del femminismo bianco, eterosessuale e borghese, che cova un odio viscerale contro le prostitute».
E di «connivenza con settori cui interessa che le prostitute non abbiano alcuna copertura legale».
Va ricordato che in Spagna la prostituzione si trova in una situazione di sostanziale a-legalità, sebbene punita penalmente nei casi di sfruttamento e tratta delle persone.
È infatti esercitata soprattutto nei ‘club de alterne’, i così detti ‘puti-club’, che pullulano in periferia, lungo le autostrade e alla frontiera franco-catalana di La Junquera, la cui attività non solo non è considerata fuorilegge, ma è inserita nel computo globale del Pil nazionale.
E il dibattito sociale è incandescente fra abolizionisti e fautori di una regolarizzazione, come in Olanda.
Tra i primi, la Plataforma por la Abolicion de la Prostitucion, secondo la quale «non è possibile che il lavoro consista nell’essere sfruttati sessualmente»; e l’Asociacion para la prevencion, reinsercion y atencion a la Mujer Prostituida, che ricorda come siano «le donne in situazione di marginalità a essere sfruttate da madame e prosseneti, vittime della violenza di genere e della riduzione in schiavitù».
Anche per il principale sindacato spagnolo, l'Union General de Trabajadores (Ugt), la prostituzione non è un lavoro e regolarizzarla equivale ad alimentare le reti di trafficanti di esseri umani, in cui cadono minorenni e immigrati.
Intorno all’80% delle donne che la esercitano in Spagna lo fa contro la propria volontà, stando a un rapporto della Fondazione indipendente basca Anesvad.
Tuttavia, per il neonato sindacato Otras, «si tratta di donne e uomini lavoratori come tutti gli altri, con l’abissale differenza che i loro diritti lavorativi sono una pura utopia».
ILMattino
Una notizia meravigliosa.
Una Chiesa vera e non virtuale.
Non parole, ma fatti.
Il piano della Chiesa per raddoppiare i posti per i migranti. In Italia e in Europa.
Ma la vera partita, se possibile ancora più difficile, si gioca nel cuore dell'Europa.
La Chiesa mira a estendere il modello dell'accoglienza diffusa anche nelle diocesi europee a più forte tradizione cattolica.
Dove, in base alle prime stime potrebbero essere creati per i migranti fino a 250 mila posti, tutti sovvenzionati con risorse ecclesiastiche.
E a prescindere dallo status: richiedenti asilo o migranti economici sarebbero accolti tutti, senza distinzione.
“Secondo quanto riporta il Messaggero nella sua edizione cartacea l'impegno cui pensa la Chiesa dopo essersi già fatta carico di cento migranti della nave Diciotti che saranno ospitati dalla Cei in una struttura a Rocca di Papa, alle porte di Roma è di raddoppiare l'accoglienza dei migranti nelle strutture diocesane, fino a 30-40 mila posti aggiuntivi.
Il progetto della Chiesa
Si apre dunque una nuova fase, in cui la Chiesa sarà impegnata a tutto campo nell'accoglienza, sia in Italia che in Europa.
L'obiettivo, ambizioso ma non irrealistico - si legge sul Messaggero -è quello di fare posto nel Vecchio Continente a 250 mila persone tra richiedenti asilo e migranti economici.
Un progetto ambizioso considerato che dall'Europa sarà difficile attendersi soluzioni concrete all'emergenza degli sbarchi. Sarà dunque compito del Vaticano presentare soluzioni all'Europa.
La frattura
A complicare ulteriormente la situazione sono i fedeli.
Secondo il Messaggero, sul tema dell'immigrazione si è aperta una faglia profonda tra i fedeli, sempre più intolleranti e diffidenti verso lo straniero, e il dettato del Vangelo che al contrario si fonda sull'amore per il prossimo.
I sondaggi assegnano a favore del pugno di ferro di Salvini sette cattolici su dieci.
Il problema dunque è come fare ad accogliere di più senza inimicarsi i fedeli.
Il piano per l'Italia
Saranno formati piccoli gruppi di persone per rendere più sostenibile l'impatto con la gente del luogo.
Saranno sistemate nelle diocesi che ancora non hanno risposto all'appello per l'accoglienza.
A oggi infatti nelle strutture ecclesiastiche risultano presenti circa 25 mila persone, ma sono soltanto in 136 diocesi su 220, ossia il 60%.
Si tratta di canoniche, seminari, associazioni, strutture ecclesiali, episcopi. La maggior parte fa capo al sistema dei Cas, i Centri prefettizi di accoglienza straordinaria, mentre un 16% è compreso nel sistema sprar gestito dal Viminale con i Comuni.
Si tratta di posti sovvenzionati dallo Stato - spiega il quotidiano romano -con i famosi 35 euro al giorno, in base al concetto di sussidiarietà dell'articolo 118 della Costituzione. Se si guarda alle persone interamente a carico dei fondi ecclesiali, siamo a quasi tremila migranti accolti dalle parrocchie - più o meno l'equivalente di quanti sono nello Sprar - e500 in famiglia. L'intento è coinvolgere le diocesi che ancora mancano all'appello per raddoppiare, o quasi, il numero di ospiti (sia in forma sussidiaria che con risorse autonome).
Laddove si lamentano carenze di risorse, si cercherà di provvedere con erogazioni compensative ad hoc, tratte dall'otto per mille, finanziamenti privati, offerte e risorse Caritas.
Un modello da esportare in Europa
Per ampliare l'integrazione, la chiesa confida anche sui corridoi umanitari ideati dalla Comunità Sant'Egidio (circa duemila profughi accolti in tre anni in accordo con lo Stato) e si punta a stanziare inoltre nuove risorse per il tutoraggio che finora ha assegnato a famiglie o singoli accolti in case della diocesi e di organizzazioni cattoliche 500 persone, tutte a carico della Chiesa.
Ma la vera partita, se possibile ancora più difficile, si gioca nel cuore dell'Europa. La Chiesa mira a estendere il modello dell'accoglienza diffusa anche nelle diocesi europee a più forte tradizione cattolica. Dove, in base alle prime stime potrebbero essere creati per i migranti fino a 250 mila posti, tutti sovvenzionati con risorse ecclesiastiche. E a prescindere dallo status: richiedenti asilo o migranti economici sarebbero accolti tutti, senza distinzione”.
Una grande Chiesa. Un grande Papa.
Ovviamente resta qualche problema.
Almeno tre.
Il primo è che cosa farà la Chiesa con gli altri milioni di profughi che sbarcheranno appena si saprà questa meravigliosa opportunità?
Il secondo è di sapere se la Chiesa offrirà un lavoro ai migranti economici o scaricherà il problema sugli Stati?
Il terzo è sapere se gli Stati europei saranno d’accordo.
Quando le acque del mare sono inquinate scatta il divieto di balneazione perché possono determinare nell’uomo patologie di natura infettiva, infiammatoria, allergica e disturbi di vario genere.
Il divieto di balneazione è una prescrizione diretta ai bagnanti che è volta a tutelare e proteggere la loro salute, quindi non è un consiglio ma una prescrizione di legge e chi la viola subisce una sanzione pecuniaria molto rilevante.
Le multe per il mancato rispetto del divieto di balneazione possono, infatti, arrivare a superare i mille euro. State , dunque, attenti, amici miei, quando troverete dei cartelli con su scritto
“Divieto di balneazione”.
Allontanatevi dalla spiaggia e andate a fare il bagno in un altro posto.
Detto questo, ora, carissimi amici, vi voglio raccontare di un divieto di balneazione davvero curioso.
Le acque del mare non sono inquinate, tutt’altro.
Sono limpidissime.
E’ un fatto curioso e più unico che raro, avvenuto in Bretagna dove il Sindaco di una cittadina marittima, Landevennec, ha vietato ai cittadini di bagnarsi nel limpido mare non perché il mare fosse inquinato, ma per la presenza in mare di un delfino in calore il quale aveva assunto comportamenti davvero strani spaventando i bagnanti.
La scorsa settimana addirittura ha perfino sollevato una donna dall’acqua tenendola per diverso tempo sul naso.
Come tutti sappiamo i delfini sono animali molto socievoli, molto curiosi, educati e rispettosi, si avvicinano all’uomo e alle imbarcazioni e hanno tanta voglia di giocare.
Ma questa vicenda del delfino in calore che vi ho raccontato, davvero curiosa, e non solo, è tutta da ridere. Un delfino in calore o un qualsiasi altro animale se è in calore va alla ricerca di un partner della stessa specie, non di una persona.
Ma questa volta un delfino ha fatto una eccezione.
E per colpa di un delfino, star dell’intera regione, il primo cittadino si è visto costretto a emanare il divieto di balneazione, il nuoto e le immersioni.