Gli sbarchi dei migranti in Calabria non si sono mai fermati. Ogni giorno continuano ad arrivare barconi carichi di migranti di varie nazionalità. E purtroppo anche qualche volta ci scappa pure il morto. E’ successo alcuni giorni orsono quando su un barcone proveniente dalla Libia c’era pure un migrante morto durante il viaggio. E noi assistiamo con dolore a quanto accade sulle spiagge della nostra Calabria. Ma, grazie a Dio, c’è sempre qualcuno che non solo osserva ma che fa, che cerca di consolare chi soffre, che cerca di aiutare chi ha maggiormente bisogno. Avevo fame e mi avete dato da mangiare, ero forestiero e mi avete ospitato, ero nudo e mi avete vestito. Questo dice Matteo nel suo Vangelo. E questo molti calabresi lo mettono davvero in pratica. La maggior parte di noi calabresi siamo figli di emigranti e sappiamo benissimo come è duro calle lo scendere e il salir per l’altrui scale e come sa di sale lo pane altrui. Per questo non hanno mai lasciato soli i migranti sbarcati nelle nostre coste. I volontari della Caritas della Diocesi di Locri-Gerace sono in prima fila. Non hanno mai fatto mancare loro nulla, assistenza, cibo, acqua, vestiario e finanche bare e loculi cimiteriali. Da veri cristiani sanno che quello che conta nella vita è fare il bene, conta l’amore che sappiamo e sapremo donare agli altri, ai nostri fratelli, alle persone meno fortunate di noi. E io vi voglio raccontare quello che hanno fatto alcuni giorni orsono. Sono andati alla struttura di Roccella Jonica e hanno portato alle persone ospitate una scatoletta contenente 15 datteri e una barretta di cioccolato. Una notte da ricordare. Sorridono i migranti. Ringraziano. Così ha scritto il giornale “Avvenire”:- Felicità sono 15 datteri. Buoni. Dolci. Profumati. Sapore di casa. Di terre lontane. Lasciate per emigrare tanti mesi fa e dove si teme di non tornare più-. Hanno fame i migranti. Mangiano i datteri. Questo frutto ricorda la propria terra. 15 datteri e una barretta di cioccolato! Poca cosa. Un piccolo gesto, però, di amicizia e di solidarietà in una notte umida e fredda. Basta un piccolo gesto per rendere più accogliente l’accoglienza. E i calabresi questo lo sanno. Questo oggi e ieri? Nella seconda guerra mondiale tantissimi furono gli sfollati che si allontanarono dalle città bombardate e si rifugiarono nei paesi e nelle campagne. Il mio piccolo paese venne invaso non solo dagli amici amanteani dopo il bombardamento del febbraio 1943 ma anche da cittadini provenienti da Cosenza, da altre città, finanche da Cassino. Tutti hanno dovuto lasciare la propria casa, i loro averi portandosi dietro poca roba. Erano soprattutto donne, vecchi e bambini. Fuggivano dai bombardamenti spesso solo con ciò che si indossava. Un giorno bussò alla porta di casa mia una donna, accompagnata da tre bambini piccoli, uno era in braccio, gli altri due scalzi, infreddoliti e con le brache rotte. Mia madre, molto generosa, capì quello che la donna cercava. Le nostre credenze erano vuote e anche vuoto il “casciune”del pane, ma “il casciune” dei fichi secchi infornati era quasi pieno. Mamma andò nel “catojo” e ne riempì un cestello. Che gioia! Che odore! Che bellezza! Baci e abbracci. La mamma aveva dato a quella sfollata e a quei bambini la certezza di mettere nello stomaco qualcosa da mangiare. I tre ragazzi acchiapparono al volo i fichi che la loro mamma porgeva loro, perché la fame è fame e in tempo di guerra o di carestia non si poteva andare troppo per il sottile anche se quei fichi erano destinati ad ingrassare il maiale che era nel porcile. Questa è la Calabria. Non c’è solo ‘ndrangheta e malaffare. C’è qualcuno che vuole conoscere la vera Calabria? Venga giù in Calabria. Vada a Roccella Jonica, a Cutro, a Isola Capo Rizzuto, incontri i migranti rinchiusi in quelle strutture, parli con loro, ascolti le loro richieste e porti, perché no? oltre ai datteri qualcosa da mangiare, scarpe e indumenti vari, e adesso che si avvicina la Santa Pasqua anche una colomba e un uovo di cioccolato.