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portafoglio-vuotoROMA – «Dopo l’approvazione della Direttiva sul salario minimo europeo è giunto il momento di compiere un passo decisivo anche in Italia per restituire dignità ai cittadini sottopagati e sfruttati». È quanto dichiara la parlamentare del Movimento 5 Stelle, Elisa Scutellà, che aggiunge: «Il voto favorevole espresso a Strasburgo anche da altri partiti italiani deve inevitabilmente portare ad un atto di coerenza nel Parlamento italiano. Il via libera di ieri costituisce una vittoria per il Movimento 5 Stelle che pose il salario minimo come condizione per il voto a Ursula Von der Leyen e che non ha mai rinunciato a difendere una misura di civiltà e di contrasto alle diseguaglianze». «La nostra battaglia – dice ancora la portavoce M5S - sul salario minimo ha radici profonde nell’identità stessa del nostro Movimento nella consapevolezza di dover combattere per i diritti dei lavoratori e tutelare i sacrifici di una vita. Mentre in Germania, infatti, si aumenta il salario minimo a 12 euro l’ora noi siamo ancora uno dei pochi Paesi a non averlo adottato e a permettere che i cittadini vengano pagati per 3 o 4 euro l’ora. L’Italia è l’unica in Europa dove i salari sono diminuiti rispetto a 30 anni fa, è pertanto davvero incomprensibile che si stia ancora a discutere se il salario minimo sia necessario o meno. La nostra proposta di legge è pronta, mi aspetto che tutte le forze politiche agiscano secondo la strada tracciata in Europa dando seguito al loro voto ed approvando la nostra proposta sul salario minimo al fine di restituire finalmente dignità ai lavoratori italiani». (26/11/21)

 

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Ufficio Stampa politico Elisa Scutellà - Portavoce del Movimento 5 Stelle alla Camera dei Deputa
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regioneCATANZARO - "In una regione come la nostra, con uno dei consigli regionali più costosi d'Italia ma con il reddito procapite più basso, la politica regionale si permette il lusso di non discutere una legge di iniziativa popolare sottoscritta da oltre 5 mila calabresi, violando le norme di legge e lo stesso statuto." Lo affermano tutti i portavoce del MoVimento 5 Stelle calabrese in merito alla mancata discussione in consiglio della proposta di legge "Taglio Privilegi", diretta a tagliare gli emolumenti del Presidente e del Vicepresidente della Giunta regionale e del Consiglio regionale, dei presidenti di commissione e dei gruppi consiliari, del segretario questore e dei consiglieri regionali e che vuole ridurre anche il costo dei gruppi consiliari e dei loro collaboratori, producendo un consistente risparmio annuale sulle spese del Consiglio Regionale della Calabria. "Abbiamo presentato una diffida - continuano i pentastellati - perché abbiamo depositato le firme a novembre dello scorso anno e, secondo l'articolo 11 della legge regionale numero 13 del 1983, che regola l'iniziativa legislativa popolare, le proposte devono essere esaminate dal Consiglio entro sei mesi dalla data di presentazione. Scaduto tale termine devono essere iscritte all'ordine del giorno della prima seduta consiliare e discusse con precedenza su ogni altro argomento. Lo Statuto della Regione Calabria riporta il termine ancora più restrittivo di tre mesi. Il Consiglio regionale, invece, si dimostra unito e celere nel discutere solo le proposte che portano soldi nelle tasche dei suoi consiglieri - concludono i parlamentari 5 stelle - come nella recente introduzione delle indennità differite, un nuovo vitalizio per gli attuali e futuri consiglieri, mentre si tengono ben lontani dal discutere proposte che possono portare ad un risparmio, anche se lo chiedono a gran voce i cittadini calabresi. Ma le elezioni si avvicinano e il tempo per la peggiore classe politica che la Calabria ricordi è quasi scaduto. Pretendiamo che la "Taglio Privilegi" sia portata in tempi brevissimi in Consiglio, così da far vedere ai calabresi la posizione dei nostri politici su questi temi."
Alessandro Melicchio
Portavoce MoVimento 5 Stelle alla Camera dei Deputati

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tempestaLe elezioni europee sono appena terminate ma lo scontro Lega Movimento 5 Stelle continua. Il Ministro Salvini, forte del risultato eccellente ottenuto, tenta di riscrivere l’agenda del Governo. Tra le priorità c’è l’introduzione della flat tax, il decreto di sicurezza bis, la realizzazione della TAV, l’autonomia regionale, lo sblocca cantieri. Ma a quanto pare il M5S, l’alleato di Governo, sta facendo l’orecchio da mercante, non ha nessuna intenzione di cedere alle richieste di Salvini per non perdere la faccia e ulteriore consenso elettorale. Salvini ha vinto le elezioni e tutti questa volta sono perfettamente d’accordo. Gli sconfitti non hanno trovato alibi, solo Di Maio ha attribuito la sconfitta del suo movimento alla astensione. Ma l’astensione tanto temuta non c’è stata anche se agli italiani piace molto di più fare la coda agli stadi per assistere ad un incontro di calcio della squadra del cuore che fare la fila ai seggi elettorali per esprimere il loro diritto di voto. Ma se gli italiani preferiscono le code degli stadi un motivo c’è, eccome. Molti sono convinti che il loro voto non conta poi tanto. Vedi Salvini. Nelle elezioni del marzo dello scorso anno si presenta con il centro destra, ad elezioni avvenute fa un governo col Movimento 5 Stelle, acerrimo avversario di Berlusconi e di Giorgia Meloni. Ora litigano e di brutto. L’On. Giorgetti si interroga:- Ci sarà stabilità nel Governo? E’ giusto proseguire l’alleanza Lega M5S o sarebbe il caso interrompere la collaborazione?-. Le urne del 26 maggio hanno parlato chiaro. Il Movimento grillino non ha più la fiducia degli italiani. Ha perso in un anno circa 6 milioni di voti. Il 26 maggio è venuta giù la pioggia e la grandine e ha spazzato via ogni dubbio. Salvini esulta e sta dicendo un sacco di fesserie. Si sente già Primo Ministro e si comporta come tale. Con quella bocca può dire ciò che vuole, può fare la voce grossa, può battere i pugni sul tavolo, può minacciare sfracelli, ma alla fine dovrà cedere perché non conta nulla, conta come il due di picche perché nel Parlamento non ha la maggioranza. Ha calato le brache col caso Siri. Qualcuno dirà, però, prima delle elezioni europee. Calerà le brache col caso Rixi perché non ha nessun interesse di rompere col Movimento grillino. Non intende far cadere il Governo, non vuole o forse non può far valere fino in fondo il suo trionfo elettorale. Per Toninelli il voto del 26 maggio non ha cambiato nulla e questa sua presa di posizione dimostra che il M5S non ha alcuna intenzione di fare retromarcia. Di Maio è in crisi ed è messo in discussione da Deputati e Senatori grillini. Sembra un pugile suonato che si aggrappa alle corde del ring. Ma alle richieste della Lega dovrà dare una risposta al più presto. Se sarà negativa Salvini aprirà una crisi di Governo e poi spetterà al Presidente della Repubblica decidere. Darà un incarico esplorativo al Presidente del Senato o scioglierà il Parlamento? Dal Colle fanno trapelare che il voto di domenica era per il Parlamento Europeo, quindi non dovrebbe avere ripercussioni sulla politica italiana. Sono sicuro che ci saranno ripercussioni, polemiche, dibattiti, accuse e contro accuse. Prepariamoci, dunque, ad una nuova e massacrante campagna elettorale sotto gli ombrelloni.

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salvini di maio 2-3-2Per scrivere quest’articolo mi sono avvalso della famosissima canzone di Elvis Presley: It’s now or never. Ora o mai più, domani sarà troppo tardi. Per Elvis l’amore non può aspettare, per il Movimento 5 Stelle, invece, sono le poltrone che non possono aspettare. Chi potrà mai sapere quando il M5S potrà occupare in futuro quelle comode poltrone governative? E per non lasciarle ad altri già i ribelli ed i fedelissimi parlamentari di Fico, Presidente della Camera dei Deputati, strizzano l’occhio al Pd. Ormai il Governo giallo verde è fallito, ha le ore contate. La Tav ha spazzato via l’ultimo esile filo che teneva legato il M5S con la Lega di Salvini. Ma i ribelli non vogliono mollare il Governo e le poltrone governative. Fallito il Governo giallo verde è pronto un Governo giallo rosso, Movimento 5 Stelle e Partito Democratico. La grillina Paola Nugnes, molto vicina a Fico, all’Agenzia Adnkronos non usa giri di parole:-E’ arrivato il momento di cercare altre alleanze in Parlamento a partire dal Partito Democratico-. E a questo punto scarica tutte le responsabilità del fallimento governativo con la Lega su Matteo Salvini che vuole a tutti i costi che la Tav si faccia. Sono parole pesanti quelle dette dalla Nugnes e che ormai hanno dato vita ad una guerra fratricida tra i governisti e gli oppositori. Fa notare che alle elezioni del 4 marzo dello scorso anno il M5S ha preso il 33% di voti e la Lega il 17%. I voti, ha ribadito spocchiosa, il Movimento li ha presi al Sud ed è ora di fare i conti con questo. Questo Governo, questa alleanza con la Lega sono costati e ancora rischiano di costare troppo caro al Movimento. Basta guardare i sondaggi delle varie emittenti televisive che danno alla Lega oltre il 30% e al M5S al di sotto il 20%. La perdita dei consensi vuole dire soltanto una cosa ben precisa:-Non sono date le doverose risposte a chi ci ha dato un mandato preciso-. E il nuovo segretario del Pd Zingaretti, Franceschini, Bersani, Grasso, Boldrini e la fronda anti Renzi gongolano. E così avremo un bel Governo dei trombati. Resterebbe, però, lo scoglio insormontabile della Tav. Ma davvero il Pd pur di andare al Governo concederebbe al M5S quello che Salvini ha loro negato? Fino ad oggi il Pd si è sempre schierato a favore della Tav e Zingaretti, appena eletto segretario è andato a visitare a Torino il Governatore Chiamparino favorevole alla Tav. Ma forse i compagni si tureranno il naso e tutti quei trina ricciuti scappati dal Pd lo scorso anno rientreranno alla base portandosi però con loro il reddito di cittadinanza. A questo punto prevedo scenari drammatici e per Zingaretti, se dovesse allearsi col M5S, un suicidio. E poi nel Pd non tutti sono a favore di un matrimonio contro natura col M5S, specialmente alla luce degli ultimi eventi.

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solinasDopo il K.O. in Abruzzo, un altro K.O. in Sardegna per il Movimento 5 Stelle e per il centro sinistra. Inutile girarci intorno. Nelle elezioni regionali che si sono svolte domenica scorsa in Sardegna ha vinto Solinas, candidato del centro destra. I numeri parlano chiaro. Sono indiscutibili e cristallini. Il Ministro e Vice Presidente del Consiglio On. Luigi Di Maio fa il finto tonto, è contentissimo che il suo movimento entra per la prima volta in Consiglio Regionale Sardo con diversi consiglieri anche se il M5S ha preso meno del 10% dei voti. Per lui il suo Movimento è ancora vivo e vegeto. Beato lui. Vivo e vegeto? Ma vuole davvero scherzare o vuole prendere per i fondelli gli italiani? Quella di Di Maio è una stanca e già vista cantilena. Il M5S ha perso. Punto. E’ l’inizio della fine della parabola politica non solo sua ma anche di tutto il Movimento che lui rappresenta. Perde in tutta l’isola, finanche nei 4 Comuni in cui amministra. In un partito normale ci saremmo aspettati una pacata riflessione. Un Movimento che un anno fa alle elezioni politiche prese in Sardegna il 42,4% e ora alle regionali prende meno del 10% è un Movimento vivo e vegeto? E’ un Movimento in caduta libera. Prendiamo atto che le elezioni regionali sono diverse dalle elezioni politiche, sappiamo che le pere sono diverse dalle mele, ma perdere 250 mila voti in un solo anno è davvero un disastro, una debacle, un tonfo. E senza contare le battute d’arresto e le batoste subite nelle elezioni del Friuli, Trento, Bolzano, Molise e Abruzzo. Sono state batoste elettorali che hanno lasciato il segno. Senza girarci intorno l’ultima competizione elettorale è stata una autentica catastrofe. La base grillina protesta, è spaccata e la leadership dello stesso Di Maio ora è rimessa in discussione. Ma lui continua a ripetere come un mantra:- Il movimento è vivo e vegeto. Per il Governo non cambia nulla. Io non vedo nessun problema-. Ma Di Maio, da politico inesperto, non ha ancora capito che i voti del M5S sono volatizzati, sono andati dispersi, sono andati finanche altrove come il latte che i pastori sardi per protesta versano per le strade dell’isola. Una cosa è certa. Sono stati pochi i sardi che vogliono lo stipendio gratis. Vogliono un lavoro non vogliono il reddito di cittadinanza. Ma se Atene piange, Sparta non ride. Il centro sinistra anche domenica scorsa ha perso la Regione che fino ad ieri governava. L’illusione di potersi giocare la partita è durata troppo poco. Ma sono contenti lo stesso. Sono arrivati secondi, cosa vogliono più dalla vita? Un Lucano. Appuntamento, dunque, al 24 marzo quando si voterà in Basilicata per il rinnovo del Consiglio Regionale. Il centro sinistra oggi gongola per il secondo posto in Sardegna quando tutti lo davano per morto. Invece, secondo i big del Pd, è vivo e vegeto, e possono stappare benissimo lo champagne. Dalla Sardegna è arrivato un segnale incoraggiante: Ce la possiamo fare. E Salvini cosa dice? E’ soddisfatto naturalmente dell’esito del voto. Per lui va tutto bene e si va avanti. Intende rispettare l’alleanza di Governo. Resta sordo ai richiami di Berlusconi. A livello locale è alleato col centro destra, a Roma con i grillini. Si sta comportando come il vecchio PSI di Bettino Craxi, con la differenza che il PSI a Roma era alleato con la Democrazia Cristiana mentre nei comuni e nelle regioni era alleato col PCI.

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salvini di maio 2-3-2La maggioranza degli iscritti al Movimento 5 Stelle lunedì 18 febbraio ha detto “No” al processo contro Matteo Salvini perché sulla vicenda della nave Diciotti ha agito per tutelare l’interesse nazionale. Alla fine, dopo un tira e molla durato diverse settimane, gli iscritti del Movimento hanno deciso che il Ministro Matteo Salvini, alleato di Governo, non deve andare a processo per poi essere condannato. Non molti hanno votato, però. Ci sono state delle varie difficoltà. Alcuni iscritti addirittura hanno rinunciato dopo aver provato a votare diverse volte. Hanno votato 52.417, circa la metà degli aventi diritto al voto. A favore di Salvini hanno votato 30.948, il 59%, i contrari sono stati 21.469,il 41%. Il Tribunale del popolo, che secondo Di Maio è sovrano, ha deciso di non processare il Ministro Salvini. Quindi ora i Senatori grillini pure loro dovranno votare a favore di Salvini, turandosi il naso, quando saranno chiamati a votare in Giunta. L’alleato di Governo è salvo, per il momento. Ma è salvo anche il Governo guidato dal Prof. Conte. La decisione presa dagli elettori grillini è stata una decisione sofferta e storica. Sofferta perché non tutti erano d’accordo a votare a favore di Salvini e storica perché è la prima volta che si verifica che il Movimento salva un politico. Ma questa decisione presa metterà col lungo andare in seria difficoltà l’intera maggioranza e alcuni Deputati e Senatori. Di Maio e di Battista, come Pilato, se ne sono lavate le mani. Non sono stati loro questa volta a decidere, ma il popolo sovrano ha deciso. E’ stato il popolo grillino che si è presa questa grave responsabilità. La vita di Salvini e pure quella del Governo Conte è stata decisa da un voto on line. Alcuni l’hanno definita una pratica sbagliata, barbara addirittura, perché la votazione sulla piattaforma Rousseau nulla ha che fare con la democrazia. Abbiamo assistito ancora una volta all’ennesima buffonata del Movimento 5 Stelle. E’ stata davvero una consultazione democratica o è stata pilotata? E se la votazione fosse stata manipolata o taroccata? Chi lo saprà mai. Di Maio e di Battista non facendo processare Salvini hanno salvato non solo l’alleato ma anche il Governo, altrimenti avremmo avuto una crisi di Governo con la prospettiva di andare tutti a casa. E a casa Di Maio e di Battista non ci vogliono andare. Però hanno perso la faccia, hanno tradito i loro ideali. A questo risultato ci si doveva arrivare con una decisione politica, non con una buffonata. Trentamila persone su sessanta milioni di italiani hanno deciso la sorte di un Ministro. Ma era già tutto previsto. E così è finita la farsa dei sacri principi grillini calpestati in nome del potere. A scuola dicevamo alla fine di qualche esercizio matematico: Come volevasi dimostrare.

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GRILLODottoressa carissima, coloro che hanno la mia stessa età ricorderanno gli anni dell’immediato dopoguerra, Guglielmo Giannini e il suo Fronte dell’Uomo Qualunque. E quel manifesto famoso affisso sui muri delle case dove un torchio stritolava il povero cittadino vittima dei soprusi dei governi e dalla cui bocca uscivano soldi. E più vicino a noi Antonio Di Pietro, l’Italia dei Valori e la bianca colomba. Che fine hanno fatto? Scomparsi. Subito dissolti. Ma per alcuni anni sono stati al centro dell’interesse nazionale. Il giornale fondato da Giannini nel 1946 vendeva oltre 600 mila copie. Giannini è scomparso grazie al consolidamento della Democrazia Cristiana nelle elezioni politiche del 1948. All’inizio, sia Giannini sia Di Pietro, sembravano destinati a sempre maggiori successi, poi quando gli italiani hanno capito che la protesta, il non ci rompete più le scatole, il sempre dire no a tutto non avrebbe portato da nessuna parte, li hanno mollati. Ed ora, a distanza di tanti anni, , gli italiani stanno mollando il movimento del vaffa………. Cosa resterà del Movimento 5 Stelle dopo aver conseguito nelle elezioni politiche del 4 marzo 2018 una vittoria schiacciante il cui botto si è fatto sentire a Roma, eccome, e l’ ha portato alla guida del paese? Resterà ben poco, viste le sconfitte di fila in Friuli Venezia Giulia, Trento, Bolzano, Molise e Abruzzo. Le altre già si annunciano in Sardegna, Basilicata, Piemonte, Calabria e alle Europee del prossimo maggio. I motti grillini: Vaffa……., L’onestà andrà di moda, Siete circondati, Pdioti, Renzusconi, ora che il Movimento è al Governo non hanno portato fortuna a Di Maio e a Di Battista. E le mancate promesse fatte in campagna elettorale hanno fatto il resto. Cosa resterà di Di Maio,di Di Battista, di Fico, di Toninelli, di Taverna, di Lezzi, di Fraccaro? Qualche tweed sui social, qualche selfie che li mostri seduti sugli scranni di Palazzo Madame o di Montecitorio o perfino sui banchi del Governo. Resterà magari il reddito di cittadinanza Salvini permettendo. Ma visti le centinaia di emendamenti proposti dalla Lega resteranno soltanto le briciole. E il sedicente Governo del cambiamento con le pive nel sacco ritornerà nella fogna perché non ha cambiato un bel nulla. E quelli che fino ad ieri li hanno votati hanno cambiato partito. Non vogliono più prendere una bella fregatura. Si sono accorti, dopo essere stati ubriacati dalle notizie false e gonfiate, di essere stati ingannati. Il vento ha cambiato direzione. Fino ad ieri la propaganda ha funzionato alla perfezione. Il no Tav, la Francia, il Venezuela, Macron, la Merkel e la Germania, l’Unione Europea, i burocrati nullafacenti, i migranti, gli sbarchi, la nave Diciotti, Salvini, hanno distolto gli italiani dai problemi reali. Ora, però, i nodi sono venuti al pettine. Gli italiani vogliono lavorare, le industrie vogliono produrre, i pastori sardi vogliono vendere il loro latte ad un prezzo giusto, gli ammalati pretendono legittimamente di essere curati in ospedali sicuri e non fatiscenti, i lavoratori pendolari pretendono treni e autobus sicuri, gli automobilisti benzina meno cara e ponti sicuri, gli scolari e gli insegnanti vogliono scuole ed edifici non pericolanti, i vecchi vogliono una vita serena, gli agenti della Forza Pubblica pretendono dallo Stato di essere tutelati e che i ladri e i malfattori quando vengono arrestati devono marcire nelle patrie galere, i giovani non vogliono più vedere i mestieranti di chiacchiere e infine che i Magistrati facciano fino in fondo il loro dovere senza intromettersi negli affari governativi. Cosa allora resterà ai grillini della vittoria dello scorso anno? Anni vuoti come lattine abbandonate là, così cantava Raf. Di Giannini è rimasto solo il motto: Non ci rompete più le scatole. E di Peppe Grillo?: Il Vaffa Day! Lei, dottoressa cara, è d’accordo?

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Elezioni regionali Friuli Venezia Giulia.

Alla chiusura dei seggi ha votato soltanto il 49,63% degli aventi diritti al voto.

Metà degli elettori ha disertato le urne.

Ha vinto, come previsto, con una schiacciante maggioranza il candidato leghista del centro destra Massimiliano Fedriga.

Adesso si conteranno, si peseranno le preferenze date ai singoli partiti.

Il Pd, ancora una volta non ha vinto.

Ha subito l’ennesima sconfitta in una Regione italiana che governava con la Serracchiani, vice segretario del partito ai tempi di Renzi, fino ad ieri.

E’ stato, ancora una volta, umiliato da quegli stessi elettori che nel 2013 avevano dato la vittoria a Serracchiani strappandola al centro destra.

In 5 anni il Pd non solo ha perso la Regione, ma ha perso nei capoluoghi Trieste, Pordenone, Gorizia e la roccaforte operaia di Monfalcone.

Matteo Salvini gongola.

Ha atteso i risultati del Friuli a Marina di Lesina (Foggia) insieme alla sua compagna dopo due settimane di tour de force elettorale.

L’esito del voto, come del resto quello della settimana scorsa in Molise, avrà un valore politico molto rilevante.

Il Movimento 5 Stelle è in netto calo, è in evidente difficoltà.

Quindi lo spocchioso, lo spaccone, l’arrogante Di Maio, se vuole davvero governare, deve fare i conti con tutto il centro destra, nessuno escluso.

Rispetto alle elezioni politiche del 4 marzo scorso, questo è un dato di fatto importante, il Movimento ha perso 10 punti.

Tre disastri, tre flop in una sola settimana e sono davvero troppi.

E questa volta Di Maio sarà costretto ad abbassare la cresta.

L’esito del voto in Friuli avrà sicuramente riflessi nel confronto tra Di Maio e Salvini, nella complessa vicenda e ricerca di una soluzione politica per la formazione di una maggioranza di governo. vista la sconfitta del Pd e il “No” di Renzi ad una eventuale alleanza tra Pd e 5 Stelle.

Ieri sera Matteo Renzi dopo un lungo silenzio durato 2 mesi è apparso in televisione nel programma di Fazio e ha frenato il patto tra il Pd e 5 Stelle.

E’ pronto a trattare su un eventuale programma coi grillini ma ha escluso un’alleanza.

Marco Travaglio non ci sta e attacca l’ex Premier per aver detto “No” a Di Maio e di aver fatto fallire la trattativa in corso.

In una settimana due Regioni guidate dal Pd vengono conquistate dal centro destra.

Voglio augurarmi che il botto sia arrivato anche a Roma e che Mattarella non faccia come fece alcuni anni fa Napolitano quando fece finta di non aver udito il botto che arrivava dalla Sicilia.

Un bel segnale per Roma e per quei politici nostrani che a Roma dormono e amoreggiano, fregandosene del voto espresso dagli italiani.

Il crollo dei 5 Stelle dopo appena due mesi dal voto nazionale ha una logica spiegazione.

Paga il fatto di non essere riuscito a formare un governo dopo 56 giorni dalle elezioni politiche del 4 marzo u.s. dalle quali uscì come primo partito con il 32% dei voti.

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elezioni regionali urnaIl 22 aprile si è votato nella più piccola regione italiana e il centro destra ha conquistato la Regione che fino ad ieri era governata da una coalizione di centro sinistra. Anche in questa piccolissima regione è continuata la parabola discendente del Pd il quale è sceso al di sotto del 10%. Ma quello che più mi preme sottolineare è che Il Movimento 5 Stelle che alle ultime elezioni politiche del 4 marzo scorso era risultato il primo partito è stato sonoramente sconfitto e nel giro di appena due mesi ha perso ben sette punti. Questo significa: Addio sogni di gloria per Di Maio, aspirante Primo Ministro, il quale aveva puntato sull’elezione del candidato grillino a Governatore della Regione Molise. Il risultato ottenuto dai grillini significa oltretutto che il voto di protesta degli elettori si è fermato e che essi hanno capito di che pasta sono fatti: incapaci ad amministrare una regione, figuriamoci a governare una nazione come l’Italia. E’ dunque chiaro a tutti ormai, ma forse sarebbe meglio aspettare le votazioni della prossima settimana in Friuli Venezia Giulia e un’altra vittoria del centro destra, che il clima è molto favorevole a Matteo Salvini che a Di Maio. Quest’ultimo si aspettava che il Molise fosse la prima Regione italiana conquistata dai grillini, invece si ritrova con un candidato sconfitto al di sotto del 40%. L’ambizione dei 5 Stelle che ambivano ad eleggere il loro primo Governatore per continuare a chiedere con maggiore insistenza il ruolo di Premier per Di Maio si è sciolta come neve al sole di aprile. Dalle urne è uscito un centro destra vincente, compatto, più frizzante del previsto, e il partito di Berlusconi anche se di poco è risultato il primo partito della coalizione. Questo dato di fatto ha scombussolato i piani segreti di Matteo Salvini e di Di Maio. Il 4 marzo scorso Di Maio ebbe facile gara nel promettere agli elettori italiani il reddito di cittadinanza e gli elettori del Sud hanno abboccato, gli hanno creduto e gli hanno dato il voto. Subito dopo, però, sono rimasti delusi e presi in giro. Si sono recati in massa nei vari comuni alla ricerca dei moduli per incassare subito il reddito promesso, il sussidio gratis, e non trovandoli hanno capito subito la bufala del guagliune napoletano dal sorriso smagliante e in Molise l’hanno punito. Scomparso il reddito di cittadinanza dal contratto che voleva firmare con un suo eventuale alleato, Lega o Pd pari sono, sono scomparsi anche i voti. In questo lasso di tempo che ci separa dal 4 marzo Di Maio ha voluto fare lo spaccone, il puro, il prezioso, l’incontaminato, l’incorruttibile, l’uomo dalle mani pulite che non se l’avrebbe mai sporcate andando a governare l’Italia con gli altri e ora si trova impelagato nella palude dei tatticismi e dei veti incrociati e siamo arrivati alla conclusione che se vuole diventare Premier dovrà ingoiare molti rospi e deve fare i conti col “delinquente” Berlusconi, col “condannato Berlusconi, col male assoluto. Ora che ha fatto la prima donna per due mesi dovrà scendere dal piedistallo, dovrà prendere un vecchio pallottoliere che si usava una volta nella scuola elementare e incominciare a fare i conti e vedrebbe che per governare l’Italia i voti di Forza Italia sono indispensabili. Il successo ottenuto nelle elezioni del 4 marzo gli ha annebbiato il cervello. E proprio questo insperato successo sarà la sua rovina. Un movimento basato soltanto sulla protesta, senza radici nella storia, né ancoraggio ideologico, non potrà avere un domani. Ma ciò non toglie che oggi ha un presente. Infatti il Presidente della Repubblica Mattarella ha dato mandato esplorativo al Presidente della Camera con il compito di verificare se sia possibile una intesa di maggioranza parlamentare col Pd, uscito dalle elezioni politiche sconfitto e umiliato, a formare un nuovo governo. Impresa alquanto difficile. Sperano molto nel successo i vari Franceschini e Co. che non vogliono mollare la comoda poltrona.

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portroneSe fosse ancora in vita Dante Alighieri avrebbe potuto intitolare questo articolo così:-Non c’è maggior dolore che ricordarsi dei tempi felici nella miseria-. Il 4 marzo scorso si sono svolte regolarmente e democraticamente le elezioni nazionali per il rinnovo della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. Nessuno dei partiti in lizza è riuscito ad avere la maggioranza per poter formare da solo un nuovo governo. Comunque dalla competizione sono usciti vincitori il Movimento 5 Stelle e la Lega. Amara sconfitta del Pd di Renzi, uscito con le ossa rotte al di sotto del 20% dei voti. E Matteo Renzi, Segretario del Pd che fino al 4 marzo si vantava con orgoglio e baldanza di essere il primo partito in Italia col 40% di voti è stato costretto a dimettersi. Ha subito riconosciuto la sconfitta e si è messo momentaneamente da parte dicendo che da oggi in poi farà il semplice Senatore della Repubblica, invitando il suo partito a fare l’opposizione in Parlamento. Chi ha vinto è tenuto a fare il Governo, sempre se ci riuscirà ed avrà i numeri necessari. Ma non tutti i Deputati e Senatori del Pd vogliono fare opposizione. Non ci sono abituati. E poi non vogliono lasciare le comode poltrone che occupano. Infatti segretamente starebbero lavorando per fare fuori Renzi definitivamente e il grillino Di Maio, candidato del Movimento 5 Stelle a Presidente del Consiglio. Andrea Orlando e Dario Franceschini abbarbicati alle poltrone come l’edera hanno un piano segreto che dovrà materializzarsi dopo i fallimenti di Salvini e Di Maio a formare un nuovo Governo. Infatti stanno già interloquendo con alcuni parlamentari del Movimento grillino. Stanno pensando anche in questo senso due personaggi che il popolo italiano ricorda certamente. E i ricordi non sono belli. Uno è quel Romano Prodi che fu costretto a dimettersi sfiduciato dalla sua stessa maggioranza che per ben due volte aveva vinto le elezioni. L’altro è quel personaggio, Presidente del Consiglio da pochi mesi, che di notte tra il 9 e 10 luglio del 1992 mise le mani nelle tasche degli italiani rubando agli onesti cittadini che avevano un conto corrente bancario il 6 per mille su tutti i depositi. Mi riferisco a Giuliano Amato, il quale avendo ricevuto onori e gloria dal PSI e dal suo Segretario Bettino Craxi, non solo non è andato al suo funerale, ma neppure una sola volta è stato a depositare un garofano rosso sulla sua tomba ad Hammamet.

Quale sarebbe la condizione per formare un Governo Pd e Movimento 5 Stelle? Far fuori contemporaneamente Renzi e la sua pattuglia rimastagli fedele e Di Maio. Dicono Franceschini e Orlando che il Pd non potrà mai votare un Governo Di Maio e lo hanno fatto capire ai 5 Stelle. E lo dovrebbe capire anche Di Maio il quale dovrebbe fare un bel passo indietro: Rinunciare alla Poltrona. Ma è giusto, avrebbe detto alla Stampa uno dei registi della operazione, che ci arrivino piano piano. E chi dovrebbe essere il Premier? Un premier votabile. E chi potrebbe essere? Romano Prodi o Giuliano Amato. Mamma mia! E questi due personaggi sono la novità della XVIII Legislatura Repubblicana? Immagino che Franceschini e Orlando abbiano fatto una bella seduta spiritica alla quale abbia partecipato anche Romano Prodi come costui ha fatto 40 anni fa quando seppe dov’era prigioniero il grande uomo politico democristiano l’On. Aldo Moro. Renzi ha capito quello che si sta muovendo alle sue spalle e ha fatto dire al suo fedelissimo capogruppo al Senato Andrea Marcucci:- Il Pd non sosterrà mai nessun Governo del Movimento 5 Stelle. Se qualche dirigente vuol cambiare posizione, lo dica chiaramente-. Chiaramente non lo diranno mai. Sono, da vecchi marpioni della politica, a tramare in segreto e poi pugnalare alle spalle.

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