La libertà è solo un'altra parola
per dire che non c'è più niente da perdere.
Niente, è tutto ciò che Josef K mi ha lasciato.
Sentirci felici è stato facile.
Sembrava bastare a me e a Josef K.
Qualcuno deve aver pensato che, nella surreale Calabria, schiava della burocrazia, delle intimidazioni, delle falsità e della corruzione, che emergono dalle opere di Franz Kafka, fossero solo racchiuse fra le pagine dei suoi romanzi.
Il grande Scrittore conosceva poco l’Italia e in particolare, molto poco il Meridione. Il libro che ho recentemente riletto e che mi ha fornito molteplici spunti e riflessioni, è stato “Il Processo”, il capolavoro dello scrittore praghese che più di ogni altro ha dato voce ai dubbi, alle angosce, alle inquietudini dell’uomo moderno.
L’angoscia era per l’Autore, il frutto della paura del nulla che ogni uomo nutre nel proprio animo, della mancanza di qualsiasi forma di libertà individuale. ‘Se sono condannato, sono non solo condannato a morire, ma anche a difendermi fino alla morte’.
Qualche tempo fa, mi è stata notificata dai Carabinieri una specie di avviso di garanzia perché a seguito di una minaccia di morte da me subita e denunciata, mi si accusa di aver violato la proprietà privata di chi mi ha minacciato di morte insieme a tutta la sua famiglia e ad un suo ‘bravo’ che, all’uscita dall'uscio di casa di un mio caro amico in quel di Coreca, hanno pensato bene di minacciarmi semplicemente per aver denunciato un’appropriazione indebita di un bene demaniale.
Nel ‘Processo’ di Kafka, l’assurda avventura, si trasforma in un incubo, nel quale viene definitivamente annientata la dignità dell’uomo, che è costretto a rivedere ogni scelta di vita, proiettandosi in un futuro tenebroso, dove diviene sempre più arduo il tentativo di far luce sul proprio infelice destino.
Eppure nonostante i molteplici tentativi, nessuno riuscirà mai a spiegargli il motivo del suo essere processato da un’autorità giudiziaria, incalzante ed enigmatica. Pensando ad un errore, decide di intervenire con tempestività per risolvere quello che ritiene essere uno spiacevole (ma temporaneo) malinteso.
Purtroppo ogni tentativo di difesa si rivela invano al suo desiderio di salvezza e il protagonista avverte la misura della propria reale insufficienza e percepisce il proprio isolamento.
Questo anche grazie ad una organizzazione giudiziaria che, nel ‘Romanzo’, si rivela un gigantesco, impenetrabile muro di gomma, mentre la città assomiglia inspiegabilmente, sempre di più ad un immenso tribunale, in cui tutti sono misteriosamente a conoscenza del processo.
Così dopo mille avversità che il destino gli ha riservato, abbandonato da chiunque, il protagonista del ‘Processo’, ferito nel proprio animo, si rassegna ad accettare passivamente una condanna che lui stesso, senza saperne il motivo, ritiene ‘inappellabile’.
Per creare una situazione astorica,Kafka si aiuta anche non specificando né il tempo, né lo spazio. Difatti del primo non viene specificato né il tempo storico, né quello della storia anche se quest'ultimo è intuibile, in quanto si capisce che la vicenda dura nel complesso solo pochi anni.
Finito il ‘processo’, il protagonista viene prelevato da due agenti del tribunale e condotto in una cava, dove viene giustiziato con una coltellata.Muore in conseguenza di una condanna inflittagli da un tribunale che non lo ha mai informato in merito alla natura delle accuse a suo carico.
Se così dovesse essere, che tramontipure l’Occidente insipido, ipocrita; vigliacco e guerrafondaio, che, rinnegando la propria identità, sputa sulla propria storia, calpestando la propria cultura genitrice. Tutto sembra far credere che il protagonista sia vittima di un oscuro disegno, di un atroce inganno; eppure l'innocenza più volte ribadita non nasconde nient'altro che la sua colpa profonda, la colpa di chi ignora la natura della leggedel padrone.
Gigino A Pellegrini & G elTarik