
E dov’è la novità, vi starete chiedendo leggendo il titolo di questo articolo?
In Calabria la politica fa quello che vuole da sempre, apparentemente sorretta dai poteri forti, in realtà garantita soprattutto dal silenzio dei calabresi
Si! Ma la sanità è un’altra cosa. Una sanità malata porta anche alla morte, perfino di chi fa parte del “sistema” , se non ha il tempo di prendere un aereo e andare nel nord ( come sembra facciano tutti i politici , i potenti ed i ricchi calabresi).
La ulteriore riprova sta nella distribuzione dei posti letto per province.
Questa la divisione per tipologie:
a)per le acuzie:
- sono 4407 i posti letto ordinari,
-396 quelli in day hospital e
-474 in day surgery.
Per la riabilitazione :
-847 sono gli ordinari,
-81 in day hospital,
mentre per la lungodegenza ci sono 356 posti letto.
Rimangono ancora da assegnare 289 posti.
Questa la distribuzione per province:
- 2373 alla provincia di Cosenza (3,2 per 1000 abitanti),
- 591 a quella di Crotone (3,3),
- 1558 a Catanzaro (4,2),
- 359 a Vibo Valentia (2,0)
- 1657 a Reggio Calabria (2,9).
Squilibri inaccettabili!
Praticamente si passa dai 2,89 posti ogni 1000 abitanti, ai 3,3 : ben 820 nuovi posti letto!.
Che si siano accorti che i calabresi che non trovavano posti letto in Calabria si ricoveravano nel nord?
Ora Oliverio ha cominciato la guerra contro Scura che ha osato distribuire i NUOVI POSTI LETTO senza concordarlo con il Governatore!
Ah, ovviamente , nessuno per favore pensi che sarà costruito ad Amantea quell’ospedale che ci venne assegnato a fine anni sessanta e che nessuno ha voluto!
Nessuno invece che si preoccupi degli squilibri della medicina preventiva.
Parliamo della casa della salute di Amantea per avere la quale ( anche se qualcuno dice che già ci sia !?) si è dovuta costituire una rete di associazioni che ha assunto il compito di operare in tale direzione e sarà ricevuta da Fatarella giorno 8 marzo pv.
Speriamo bene!
E mutuando la famosa pubblicità diciamo “ Toglieteci tutto ma almeno lasciateci gli Sparatrap” !!!
L’Associazione Socio -Culturale “Prospettive” che opera da anni ad Amantea e nel suo comprensorio, finalizzata ad apportare un contributo alla crescita e allo sviluppo della società civile, il 19 febbraio scorso ha organizzato una conferenza-dibattito dal titolo: “Alla ricerca di uno stile di vita: la cura della casa comune, uomo, natura, ambiente”.
Nel salone del Convento di san Bernardino, dopo i saluti di rito del presidente dott. Aldo Andreani, e una breve introduzione al tema in discussione della socia Giuseppina Ferraro, come da programma, hanno parlato Padre Francesco Celestino, Custode provinciale dei Frati Minori Conventuali, Superiore del Convento di San Bernardino ed il professore Giuseppe Chidichimo ordinario di chimica-fisica, direttore del Dipartimento di Chimica e Tecnologie Chimiche – CTC dell’Università della Calabria.
Padre Celestino, in un attento e preciso commento dell’Enciclica “Laudato sì” di Papa Francesco, mette l’accento sugli aspetti ecologici del documento papale, in particolare la preoccupazione del Pontefice per il destino della “casa Comune”, l’oikos, minacciata e offesa da un’economia capitalista che emargina ed esclude i più deboli.
L’uomo deve comprendere di non essere il dominatore assoluto della terra, ma di far parte di un equilibrio che lui stesso deve preservare e custodire.
Il professore Chidichimo, nel suo intervento denuncia lo sfruttamento selvaggio della natura, la globalizzazione di una economia e di una politica sottomessa al potere finanziario delle multinazionali che perseguono soltanto il profitto, mettendo a rischio la sopravvivenza del nostro pianeta.
Evidenzia come l’uomo, con l’inizio dell’era industriale, sia diventato l’artefice dell’inquinamento e del surriscaldamento terrestre, accelerato in questi ultimi decenni da un’economia miope ed egoistica caratterizzata da un consumismo esasperato.
Servono non più parole ma un’azione congiunta di politica e scienza e soprattutto un’inversione di rotta, un nuovo stile di vita individuale, un controllo dei consumi e la promozione di una maggiore coscienza ambientale.
A conclusione dei lavori, i numerosi interventi dei presenti hanno evidenziato l’interesse suscitato dalla tematica e l’alto livello degli oratori.
Associazione “Prospettive” Amantea
La vita di una piccola cittadina dovrebbe avere tutti i vantaggi e le agiatezze delle grandi città, senza averne i danni. La popolazione dovrebbe abitare case rese più sane e più belle da chi le progetta e costruisce. Anche in questo caso, il mondo piccolo borghese apparecchia il terreno all'ormai matura trasformazione in peggio del vivere sociale. In teoria amerebbero il “bello”; mentre nella praxi, questo elemento viene considerato non molto importante. A segnare i confini dell’urbanistica di una moderna cittadina non è dunque uno specifico culturale, bensì, e soltanto, uno specifico urbanistico ed economico: un patrimonio abitativo fortemente degradato e deteriorato, l'assenza dei servizi sociali più elementari, la concentrazione in esso delle fasce marginali della popolazione urbana. Opere strutturali nate dalla cattiva coscienza di piccoli borghesi che hanno collaborato alla costruzione dello stato unitario, che ha visto non solo il proliferare di incarichi ma la loro distribuzione ad un personale impreparato ed inefficiente, la cui unica qualità era lo stare dalla parte del regime imperante. Balconi senza ringhiere, palazzi senza intonaco, muri che nascondono interni desolati. Scheletri tirati su e mai terminati, progetti faraonici che hanno visto la loro realizzazione solo su carta. Al massimo potrebbero sperare in una mezza vita tridimensionale sullo schermo di un computer. Altro orrore è il non finito calabrese, che fa da sfondo a manifestazioni, a campagne elettorali, a sfilate per le vie cittadine e al passeggio delle Madonne in giro per il paese, è una presenza costante e ingombrante, una bruttura che si è impadronita della quotidianità dei calabresi. Ciascuno si imbatte quotidianamente in questa architettura dell’assenza, del non finito, così tipico e caratteristico della Calabria. La incontriamo dappertutto, passeggiando sul lungomare e vedendo la bruttura di un palazzaccio nella parte sud del lungomare. Un condominio che non ha mai srotolato il suo tappeto rosso guadagnandosi l’oscar della bellezza. Case che sono state tirate su a caso per le generazioni future e per quelle che verranno, ma che probabilmente non ci abiteranno mai. Ecco cosa rappresenta il non finito. Case con i mattoni a vista, con i tondini di ferro che spuntano dai tetti, sono proprio il simbolo delle promesse mai mantenute. In molti casi il non finito è una struttura costruita con i propri risparmi da privati. Magari da gente che se n’è andata all’estero e che sperava di poter tornare al proprio paese d’origine. Basta guardarsi intorno e si leggono insegne in spagnolo, in inglese e francese. Nomi in moltissimi casi che determinano il paese dove il proprietario ha lavorato per anni, prima di tornarsene al paesello. Il non finito non si limita alla bellezza o bruttezza. Sembrerebbe necessario passare da una dimensione estetica a una etica. Il non finito non è il classico problema di abusivismo o di una casa non finita, è un problema di luoghi di vita. Un monumento alle aspettative deluse. Un monumento al fallimento delle politiche per il ripopolamento dei paesi e dei sacrifici fatti da chi in questa terra vorrebbe vivere o tornare ma che non può perché mancano lavoro e prospettive. Però è anche molto di più, e l’aspetto estetico non è secondario. Come si può convivere con queste casacce, dormitori o strutture incomplete, progettate da mediocri che hanno pensato di arrotondare lo stipendio di insegnante in qualche anonima scuola media, spolverando il proprio diploma di laurea. Questi orrori siamo talmente abituati a vederli, a viverci accanto, a sapere che ci sono, che ormai nessuno ci fa più caso. Appartengono alla normalità. Nessuno se ne sconvolge. Al di là del bello e del brutto. Fanno parte di noi, appartengono al nostro modo di “non vivere”.
Gigino A Pellegrini & G el Tarik