Siamo a Napoli non nella Striscia di Gaza o in Israele o in Ucraina, siamo in un ospedale non in trincea o in un bunker sotterraneo dei guerriglieri di Hamas. Quelli che indossano per provocazione il giubbotto antiproiettile sono dei medici non dei soldati e come i soldati in guerra anche loro pigliano delle precauzioni per difendersi dagli assalti nemici. Indossano, mentre fanno i turni negli ospedali, un giubbotto antiproiettile e un elmetto perché sono in guerra. I medici sono in trincea come i veri soldati e questa loro provocazione ci fa comprendere quanto sia importante la sicurezza e l’incolumità nei nostri ospedali, in quelli di Napoli e nel circondario in particolar modo. Siamo ridotti davvero malissimo. Ma perché alcuni medici si sono presentati in corsia e nel pronto soccorso vestiti in quel modo, con un giubbotto antiproiettile sopra il camice bianco? Perché anche loro sono in guerra come i palestinesi e gli israeliani o gli ucraini e per paura che venissero uccisi o aggrediti dalle forze nemiche hanno preso questa estrema precauzione. Il loro sindacato ha fatto circolare un video e tutti lo hanno potuto vedere e commentare. Il filmato è arrivato dopo l’ultima aggressione subita da una dottoressa, colpita a calci e pugni dalla figlia di una paziente, perché i tempi di attesa nel pronto soccorso erano troppo lunghi. Il video che dura circa un minuto ci dovrebbe fare riflettere a lungo. Ha un solo scopo: la professione medica e infermieristica negli ospedali italiani è in serio pericolo. Ha ragione da vendere quando il segretario regionale di un sindacato afferma che oramai non è più possibile lavorare negli ospedali, i turni lavorativi durano troppe ore, i medici sono pochi e quelli che giornalmente si sacrificano vengono continuamente maltrattati, insultati e spesse volte anche massacrati di botte. Molti medici, i più anziani resistono e restano negli ospedali, spinti dalla passione, pur sacrificando la propria vita messa in pericolo da qualche scemo o da qualche esagitato. I giovani, invece, vanno via. Ecco perché nei nostri prontosoccorsi non ci sono più medici. Alcuni anni fa sono stato ricoverato presso l’Ospedale Civile dell’Annunziata di Cosenza e ho trascorso tre giorni presso il pronto soccorso prima di essere trasferito nel reparto di cardiologia. Ho assistito davvero a delle scene drammatiche. Grida, spinte, maledizioni, maltrattamenti. Una mattina, per mancanza di personale, il Primario del Pronto soccorso, è venuto ad aggiustarmi il letto. Nessun commento.
