ANIMA MUTA
L’ho riempita di odiosi commenti
L’ho issata in alto sull’albero
Con la corda della mia rabbia
l’ho annodata ad un ramo
compiendo un riverito linciaggio.
L’imposizione della guerra in Ucraina e il genocidio che si sta consumando nella Striscia di Gaza, ci vede nella condizione in cui tutta l’umana modernità, la potestà tecnologica, la globalizzazione, il mercato, ciò che in sintesi chiamiamo progresso, si trova improvvisamente alle prese con la “semplicità dell’esistenza”, come direbbe un credente.
L’altro ieri mi sono ritrovato a contare i passi del mio terrazzo a Beaumont sur Mer, come facevo durante il Covid, e mentre riaffioravano alla mente immagini un po’ sbiadite, del sottoscala del dipartimento di lingue romanze presso l’Università dell’Alberta in Canada e il fraterno amico Emilio detto Zapata raccontava la strana avventura dell’uomo che osò sfidare gli dèi, che osò sfidare la morte, ed il suo nome era Sisifo.
Seduto al lungo tavolo di fronte a me notai lo sguardo perplesso del caro amico Peter Cole. Interruppi di contare i passi e rientrai in casa alla ricerca di Sisifo nei libri sugli scaffali. In una delle tante leggende si racconta che Sisifo, Re di Corinto, fosse figlio di Prometeo (il titano che aveva donato il fuoco agli uomini) e che un giorno avesse visto Zeus violentare una bella ninfa, figlia del dio fluviale Asopo. Interrogato da Asopo su chi avesse rapito la figlia, Sisifo gli rivelò quel che aveva visto. Zeus per punizione gettò Sisifo nell’Ade.
Tuttavia Sisifo (che già una volta si era preso gioco della morte facendola ubriacare) aveva avvisato la moglie di non seppellire il suo corpo qualora fosse morto; così, non avendo ricevuto gli onori funebri, la sua anima era costretta a vagare alle soglie dell’aldilà, motivo per cui, furbamente, riuscì a persuadere Persefone (la sposa del dio degli Inferi) a farlo tornare sulla terra per tre giorni, affinché potesse convincere la moglie a dargli degna sepoltura.
La dea acconsentì ma ovviamente Sisifo non aveva alcuna intenzione di tornare e quindi rimase sulla terra. Tuttavia gli dèi lo catturarono nuovamente e, quando tornò nell’Ade per la seconda volta, la sua punizione fu durissima: infliggendogli la “fatica” che abbiamo descritto sopra, che l’ha reso celebre e proverbiale presso la posterità. Ebbene, per gli antichi quello di Sisifo è un altro classico esempio di empietà punita: chi sfida gli dèi viene sempre punito!
Ricordo ancora che lo sguardo di Peter; coincideva con le mie perplessità dovute in parte a ciò che scriveva lo scrittore Albert Camus, secondo il quale Sisifo rappresenta l’umanità, quell’umanità che è sempre in “cammino” nonostante i suoi limiti, nonostante “il macigno rotola ancora”, quel macigno che ognuno di noi, tra le mille avversità della vita, continua malgrado tutto a spingere, contro tutto e tutti (anche gli stessi dèi).
Oggi l’espressione “fatica di Sisifo” è usata per indicare un lavoro inutile che, per l’appunto, richiede grande fatica senza raggiungere risultati. Eh già, perché la pena alla quale Sisifo era stato condannato negli Inferi era quella di spingere per l’eternità un enorme masso su per il pendio di un monte, ma una volta arrivato in cima lo stesso masso rotolava giù e costringeva Sisifo a ricominciare daccapo senza fine.
Ritornato sul terrazzo, guardai il mare di Ulisse e dimenticai di contare i passi, mentre le parole di Camus mi rimbombavano nelle orecchie: “La lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo”. Ecco, a me piace guardare a Sisifo così, come l’essere umano, che lotta contro il suo apparente destino, perché è il lottare che nobilita l’uomo, è l’incessante forza che mette nella lotta che lo rende ‘divino’ più della divinità stessa.
Perché il dio cristiano o gli dèi non potranno mai capire la nostra lotta. "La grandezza dell'uomo è nella decisione di essere più forte della sua condizione" Albert Camus.
Gigino A Pellegrini & G el Tarik