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Andrea Marchese

Tecnico Informatico. Vivo e lavoro a Reggio Emilia, dove tento di costruire un futuro familiare e professionale.
Appassionato di Informatica e Tecnologia, amo e non dimentico il mio paese, Amantea, il mare e tutti gli amici e non, conosciuti ed incontrati durante il mio percorso di vita.
Ex collaboratore di "Calabria Ora" e de "La Provincia Cosentina".
Realizzatore, Webmaster e Giornalista (con il poco tempo rimasto) del portale TirrenoNews.Info (già Amantea.Net).

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Lamezia come Beirut: un’altra bomba in centro

Domenica, 06 Gennaio 2013 16:08 Pubblicato in Lamezia Terme

Ancora una bomba in centro. Ancora una volta una strage sfiorata. L’ordigno ha danneggiato la vetrina di un negozio di abbigliamento in corso Nicotera e un'auto in sosta. La bomba è esplosa prima di capodanno. Non si sono registrati feriti. Vigili e Carabinieri sono immediatamente intervenuti. Stamattina il sindaco di Lamezia Terme, Gianni Speranza, si è recato sul luogo dell'attentato. “Un episodio gravissimo che ha suscitato tanta paura in un’ora in cui tantissime persone affollavano le vie del centro”. Nessuna ipotesi ufficiale ma la pista del racket sembra la più attendibile anche vista la ripetitività delle azioni delittuose che non danno tregua alla cittadina, che ne soffocano lo sviluppo e l’economia, minano la tranquillità e la incolumità degli abitanti.

Lamezia Terme. La Procura della Repubblica di Lamezia Terme ha emesso un avviso di conclusione indagini nei confronti di tre imprenditori, padre e figli, accusati di associazione a delinquere finalizzata alle estorsioni e frode fiscale. Secondo l'accusa, Angelo Martino, di 75 anni, e i figli Salvatore (47) e Valeria (36), attraverso le loro aziende, avrebbero taglieggiato per anni molti loro dipendenti costringendoli a firmare buste paghe sulle quali veniva attestato che venivano pagati regolari salari corrispondenti a quelli previsti dai contratti nazionali di categoria mentre, invece, i lavoratori percepivano la metà delle somme spettanti e se non accettavano tali condizioni rischiavano il licenziamento. Le indagini, avviate dalla guardia di finanza del Gruppo di Lamezia Terme dopo la denuncia di un dipendente, nel marzo del 2011 avevano portato agli arresti domiciliari Salvatore Martino, titolare di un distributore di carburanti sull'autostrada. Secondo l'accusa Martino, dal 2005, aveva estorto al dipendente circa 50mila euro. Proseguendo le indagini, i finanzieri hanno segnalato alla Procura della Repubblica anche i figli dell'imprenditore. Secondo l'accusa della guardia di finanza sarebbero emersi 40 dipendenti costretti a firmare le buste paga senza percepire completamente lo stipendio per una somma di oltre 550mila euro per la quale i finanzieri hanno segnalato i Martino per frode fiscale, perché, avrebbero dichiarato al fisco l'erogazione degli stipendi ma avrebbero anche incassato ''in nero'' le somme non pagate. Nell'inchiesta, denominata ''Primo Maggio'', sono indagati anche cinque dipendenti dei Martino per i quali viene ipotizzata l'accusa di favoreggiamento in quanto, nonostante fossero a loro volta vittime, hanno negato la circostanza. Dopo l'emissione dell'avviso di conclusione indagini del pm Santo Melidona, gli indagati potranno produrre memorie difensive o chiedere di essere interrogati

Le denuncie anonime

Domenica, 06 Gennaio 2013 16:03 Pubblicato in Reggio Calabria

Sono fogli d’accusa che documentano il denaro pubblico saccheggiato. Lettere non firmate, in cui si coglie la rabbia e lo sdegno di chi accusa. Succede a San Luca dove denunciano ma sempre in anonimato. Come fare diversamente? Sono forestali con il dente avvelenato che, dopo anni e anni di ingiustizie e soprusi, scrivono e svelano l’assenteismo dilagante all’Afor. Ed ora 26 dipendenti dell’Azienda forestale della Regione Calabria sono stati catapultati in un’indagine della Procura della Repubblica di Locri E devono fare i conti con una miriade di missive anonime in mano ai carabinieri di San Luca. Sono anni di soprusi ed ora le reazioni. Ora - raccontano gli inquirenti - gli operai Afor più che delle inchieste che rispolverano vecchi legami e un’antica nobiltà mafiosa, più che dei blitz dei magistrati sembrano angosciati dalle continue soffiate di anonimi scribi. Come cambia la società . Ora resta il «a megghiu parola è chilla chi un si dici», ma manine ignote recapitano denunce per informare gli “sbirri”.
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