Qualcuno in maniera superficiale deumanizza le persone di cui parla, le rende un numero. A nessuno interessa guardare una persona negli occhi e vedere quanta sofferenza esprimano. Questo potrebbe essere definito un articolo contro l’indignazione. Ma come, replicheranno gli indignati, con tutto quel che accade per cui è sacrosanto indignarsi, stai a vedere che ora il problema è l’indignazione! Con gli scandali che germogliano a cadenza settimanale; la corruzione, le inefficienze, i disservizi, gli esempi d’inciviltà che affliggono i Calabresi ogni giorno – come sarebbe possibile non indignarsi? E poi l’indignazione serve a cambiare, se si pensa che dall’altro lato c’è soltanto la rassegnazione.
Meglio indignati che abdicati. A me sembra che il punto, però, sia un altro. Ed è concreto, storico, non astratto: il problema non è l’indignazione in generale, ma l’indignazione che è venuta montando in questa Terra negli ultimi anni. Un’indignazione che da qualsiasi punto di vista la si osservi non rappresenta più una soluzione. Negli ultimi tempi il governo regionale di potere è diventato un vero e proprio protagonista mediatico. Una Regione, la Calabria, in mano a commissari che addirittura non conoscono i propri doveri e in televisione chiede alla propria segretaria di dirgli quali sono i propri compiti.
Il tema è sempre lo stesso, quello dello “sdegno” da parte dei signori della Cittadella, che, attraverso i propri Sparaballe, diffondono la novella per le strade novembrine. Queste poche righe non vogliono essere di natura “strettamente” politica, ma esprimere una grande angoscia. Viviamo in un’epoca in cui la notizia deve viaggiare veloce, arrivare al cittadino senza preamboli o giri di parole. Sembra ormai che non abbiano nessuna importanza i perché, o l’importanza delle fonti, ma solo il carico emotivo. C’è però un anello mancante tra l’indignazione e la partecipazione attiva a bloccare tutte le malefatte di una Amministrazione come quella regionale, su questo c’è poco da discutere. L’anello è l’esercizio di indignazione a distanza, per così dire, che impigrisce, anche se è vero che c’è poco rinnovamento nei partecipanti alle manifestazioni: chi non partecipa si è abituato a riconoscere slogan e manifesti già visti altrove, anzi a tutte le manifestazioni di qualunque genere esse siano. A tutto questo disfacimento partecipano a pieno titolo i media regionali con quello di creare, si, proprio di creare un nemico esterno. Si osservi bene, per esempio, Salvini della Lega, una persona che cavalca l’onda dell’indignazione e della rabbia di un paese in ginocchio, indirizzandola verso delle minoranze a vantaggio del proprio partito.
Ritornando in casa nostra; a tutto questo aggiungerei che i “leaders” stessi dell’opposizione sembrano avere scarsa conoscenza del sistema che vogliono “abbattere” e precipitano in luoghi comuni di ingenuità imbarazzante. L'indignazione è lo sport nazionale italiano ergo dei Calabresi. I campionati, a cui partecipano i due terzi della popolazione, vengono trasmessi in diretta tv ogni giorno, nei telegiornali e nei salotti televisivi dei principali network nazionali.
Tutti i giorni sia sul cartaceo sia in video e nei social, la fa da padrone la “microcriminalità”, si fa per dire, poi vengono le tasse troppo alte e servizi pubblici inefficienti. La caratteristica di queste crisi di “collera” è che la reazione è eccessiva e inappropriata rispetto all’ episodio (solitamente banale. Pensiero benpensante) che l’ha scatenata. La rabbia viene espressa in modo esplosivo, non mediato dalla ragione e non di rado viene sbandierata con comportamenti che mirano, senza volerlo, all’autodistruzione. Malgrado le apparenze, le esplosioni di rabbia ripetute rivelano una profonda sofferenza interiore. In molti casi le persone che si indignano troppo, a causa della loro storia personale, sono particolarmente sensibili alle esperienze di perdita, rifiuto e abbandono.
All'improvviso, una indignazione collettiva sacrosanta si trasforma in disagio personale. Per questa ragione ogni minimo segnale di rifiuto o di disinteresse da parte di una persona significativa è in grado di innescare una sensazione di disperazione che si esprime con rabbia e accuse. Nulla di più. L’indignazione si vende oggi nelle strade e sui social in rete benissimo, meglio di quasi tutto il resto, forse meglio anche di Madonna che annunciava sesso orale per tutti se avesse vinto Hilary Clinton.
Motivi per indignarsi, questa nostro meridione ne ha da vendere. Ed è vero pure che a certe condizioni l’indignazione serve a qualcosa. Il punto, però, è un altro. Il problema non è l’indignazione vaga, generalizzata, ma l’indignazione che ultimamente viene montando ed è quell’indignazione che, malgrado all’inizio sia stata generata da fatti stramaledettamene concreti (la nauseante gestione della cosa pubblica), poi li ha trascesi, e s’è trasformata in una sorta di condizione dello “spirito”: uno stato d’animo autosufficiente e lievitante, pervasivo e stabile; che non ha più bisogno della realtà per sostenersi ma, al contrario, determina il modo in cui la realtà viene letta; e che in breve tempo si dilaterà a dismisura e inghiottirà qualsiasi avvenimento, cosa o persona. Che inghiottirà, alla fine, l’intera Regione e Nazione.
Gigino A Pellegrini & G elTarik in collegamento da Marte