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Ricordi di un vecchio maestro 1° Ottobre: Inizio anno scolastico

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vecchioEra il 1976 e dall’anno successivo una legge stabilì che l’inizio delle lezioni veniva anticipato a settembre. Ma c’era una volta la scuola che cominciava lo stesso giorno per tutti gli studenti italiani, appunto il primo di ottobre. Ora che la scuola è incominciata in Calabria il 14 settembre le voglio parlare di molte cose, caro direttore, e anche ai tanti lettori calabresi sparsi nel mondo che giornalmente leggono il suo giornale. Forse le avete dimenticate. Ve le siete scordate? Non fa niente. Io vi aiuterò a ricordarle, Ma quali cose? Sono così importanti ed interessanti? Sì, lo sono. Così scrisse Giovanni Mosca:- Di quelle cose perdute che voi ora ritroverete nei vostri figli e vorreste, tanto sono belle, che non le perdessero mai -.

La scuola elementare di una volta, quella che io ho frequentato e nella quale ho insegnato per 40 anni, aveva questo gravissimo compito: Insegnare agli scolari a scrivere, leggere e far di conto. Si acquisivano, anche se alla buona, i primi rudimentali strumenti del sapere e le prime competenze strumentali indispensabili per la vita di allora. Bisogna rendere omaggio a quella scuola perché da essa sono uscite diverse generazioni di alunni che poi hanno fatto grande l’Italia.

Nostalgia, rimpianto di quei tempi lontani? Tantissimo. Non mi vergogno davvero nel confermarlo. Non credo che qualcuno voglia farmi sentire in colpa se ricordo ancora con tanto affetto la mia prima aula scolastica, la mia maestra di prima elementare, il suo sguardo materno, il suo dolce sorriso, i cari, i vecchi compagni di classe, molti dei quali avevano la testa rapata a zero non solo per paura dei pidocchi ma anche per risparmiare il taglio dei capelli. Impossibile non pensare a loro. Se chiudo gli occhi li rivedo uno per uno. E rivedo il tavolo dove era seduta la mia maestra, i ritratti del Re e del Duce appesi al muro e l’immancabile bacchetta di legno ben levigata. Ahi, ahi, la bacchetta di infelice memoria. Io, da maestro non l’ho mai usata. Adesso non si usa più, i tempi sono cambiati ed i metodi di correzione sono completamenti diversi da quelli di una volta. Se nella deprecabile ipotesi rispondevi alla domanda della maestra che il poliedro era un asinello allora le bacchettate erano parecchie. Altri tempi, altra scuola, altri ragazzi, altri metodi. Se qualche volta capita a qualcuno di visitare una scuola e trovare una bacchetta sulla cattedra, non si deve allarmare, serve per individuare sulla carta geografica i fiumi, i laghi, i monti e i mari della nostra Italia. E se a qualche viandante distratto e occasionale passando sotto le finestre di una scuola capita di sentire tra le voci dei ragazzi un bel colpo sulla cattedra non si deve preoccupare. Non è scoppiata nessuna rivoluzione in classe. E’ stata la bacchetta. Che fine ingloriosa ha fatto! Povera, infelice, odiata bacchetta. Da simbolo dell’autorità magistrale e strumento di pedagogica correzione a mazza di tamburo.

Ho frequentato le scuole elementari e ho insegnato per tantissimi anni in locali improvvisati, privi di servizi igienici, di luce naturale e di luce artificiale. E non mi sono mai lamentato e non ho mai protestato. Insegnavo, portavo lo stipendio a casa, accumulavo punteggi che nel Concorso magistrale del 1974 mi servirono per raggiungere le scuole di Cosenza- Centro. Per un anno ho insegnato in una scuola ubicata in una vecchia stalla abbandonata con assoluta povertà di sussidi didattici e di suppellettili: un tavolo sgangherato, una lavagna, quattro banchi di legno e una carta geografica rattoppata. Anche l’armamentario degli scolari era povero: un libro di lettura, un sussidiario, una matita, una gomma, un quaderno a righe ed un altro a quadretti, un calamaio. Il tutto racchiuso in una cartella di legno o di stoffa. Ah, il calamaio! L’inchiostro sempre fuoriusciva e gli scolari avevamo sempre le mani impiastricciate di nero. E d’inverno per il riscaldamento? Con i miei scolari raccoglievamo nel bosco rami secchi e accendevamo in un angolo della stalla un focherello per riscaldarci un po’.

Questi difficili avvenimenti scolastici non li ho dimenticati, sono restati sempre vivi nella mia memoria.

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