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rita mantuano
Riceviamo e con molto piacere pubblichiamo una nota del “caro a noi” Circolo Culturale lo Scaffale che di seguito riportiamo

 

“Avevamo apprezzato l’artista cosentina in occasione della realizzazione dell’icona della Pinta oggi esposta alla venerazione dei fedeli nell’omonima chiesa dei “Cappuccini” di Amantea.

 

Ma la carriera artistica di Rita Mantuano viene da lontano, un lungo percorso iniziato nelle aule del liceo artistico di Cosenza per approdare agli scenari raffinati di mostre prestigiose e Concorsi d’arte che le hanno tributato importanti riconoscimenti.

 

Una delle tante esperienze artistiche di Rita Mantuano, alla perenne e feconda ricerca di nuove forme espressive e diverse fonti di ispirazione. Il suo linguaggio artistico si distingue per l’armonia delle forme, per la suggestione dei temi e l’impiego audace dei colori, interpretando i soggetti con una rara abilità figurale e un’originale carica emozionale.

Ma come tutti gli artisti veri, “sofferenti di una eterna inquietudine”, non paga del cimento iconografico nel quale Rita è una eccellenza assoluta, e delle sue molteplici avventure artistiche, la Mantuano sperimenta altre forme espressive come ad esempio la lamina sbalzata, ossia la lavorazione di una lamina metallica sottile di cui esistono antichissime testimonianze sin dal VII secolo a.C. Egizi, Cretesi, Greci, Romani, Longobardi, Bizantini ed altri, hanno lasciato magnifici esempi di questa raffinata artigianalità.

Opere rinascimentali di gran pregio hanno visto l’impegno di sommi artisti come Cellini, Botticelli, Verrocchio, Donatello, Pollaiuolo.

La tecnica dello sbalzo è complessa.

Prevede fasi diverse che partono dal disegno su carta per poi passare al lavoro di cesello sulla lamina metallica, consegnando infine un’immagine a rilievo dal delicato effetto di tridimensionalità.

Particolarmente adatta all’oreficeria, la tecnica a sbalzo si caratterizza proprio per l’idea della preziosità.

Ed è proprio questa la sensazione che si avverte di fronte all’opera di Rita Mantuano, alla quale riconosciamo un contenuto di equilibrio estetico e abilità artistica.

Nell’opera “Passaggi” in rame sbalzato su tela e acrilici, l’artista cosentina dispone la lamina lavorata su un fondo giallo dorato aumentando il senso della preziosità dell’intera opera".

Un altro successo, un altro premio per l’amico Sergio Ruggiero

Vogliamo segnalare questo ennesimo apprezzamento ottenuto dallo scrittore amanteano con la bellissima recensione di Rita Mantuano .

Ecco cosa scrive la Presidente dell’Associazione Culturale “Bruzia libera:

 

 

 

“Una narrazione sorprendente, un meraviglioso incastro di destini, in un crescendo di emozioni che a tratti sfocia nella commozione.

Per la conclusione del racconto, per la poesia dei sentimenti proposti con intensità struggente, per il tenore degli argomenti e per la rappresentazione di una Calabria eroica e dignitosa in cerca di riscatto, ricca di misteri, di tradizioni e di Storia, che grazie ai romanzi di Sergio Ruggiero posso dire di conoscere un po’ meglio e di amare un po’ di più.

E’ difficile spiegare quale sia la caratteristica saliente di questo libro di 500 pagine.

E tuttavia emerge la scrupolosa ricostruzione storica e la definizione dei contesti.

Il racconto dipana una storia d’amore, di guerra, d’amicizia e di coraggio.

E di un mistero che si risolve solo alla fine consegnando a Betta la beghina, la figura più oscura del romanzo, la definitiva condanna.

Di altissimo livello sono i dialoghi sulla morale e sulla stregoneria, tra Betta e don Remigio, un sacerdote dai viziosi trascorsi, sullo sfondo dell’atmosfera controriformista calabrese che stava ancora consumando il dramma dei Valdesi.

Bello il personaggio di Petrilishca, giovane eroico e maledetto, così come ottimamente disegnati sono i due protagonisti principali, Sbardo e Mariella, due popolani di Amantea che un destino avverso vorrebbe separare e condannare all’infelicità.

Si affiancano importanti comprimari: il priore francescano, un saggio dall’etica granitica e dallo spirito eletto, e la Curandera, esempio di quella cultura sincretica e maghesca un tempo tanto diffusa, abile nell’erboristeria, nell’esorcismo e nella pronuncia di formule segrete tramandate.

La partecipazione di Amantea alla battaglia di Lepanto, combattuta nel 1571 tra Cattolici europei e Islamici ottomani, ricostruita nel romanzo con estrema accuratezza anche nelle implicazioni politiche, è la circostanza storica di riferimento rappresentata sia dal punto di vista dei combattenti, sia dal punto di vista del popolo, con le sue speranze e le sue paure, espresse talora nella forma della maledizione ai Saracini, talora con l’invocazione di un soccorso al Padreterno o alla Madonna michelizia, la Pinta, icona amanteana a me tanto cara, assurta a ruolo di protettrice dei combattenti della Cristianità.

Rappresentativi di un’epoca di caste e privilegi sono i nobili guerrieri, ardenti di una devozione “crociata” che ne significa le memorabili gesta, così come espressiva di un universo di superstizione e pregiudizi è la cornice orripilante del racconto quando pennella gli anfratti popolari dell’Amantea del XVI secolo, e di corrusca violenza nelle malfamate locande delle città di mare dove i combattenti andavano a concedersi sapidi pasti con il coltello in mano e l’occhio attento ad ogni movimento, tra contrabbandieri e mala gente d’ogni sorta.

Emergono diverse chiavi di lettura, ma mi piace sottolineare la morale incarnata dalla famiglia dell’islamico Ramadan, prima nemico e poi amico e protettore di Sbardo: ci parla di solidarietà tra le genti, e ci invita a riflettere sulle ragioni e sulle colpe dei popoli di fronte alle tragedie della Storia.
Concludo dicendo che un romanzo del genere, senza dubbio accostabile ai romanzi storici più celebrati, è il frutto di un talento capace di rendere la Storia nella forma della grande narrazione, grazie a una solida conoscenza dei fatti storici, all’abilità di incastrare storiografia e immaginazione e al possesso di un raffinato registro linguistico che si attaglia a ogni circostanza: epico e incalzante nelle scene di battaglia, poetico e scrupoloso nelle descrizioni, profondo nei momenti introspettivi, delicato e lirico nei momenti dell’amore, restituendo una lettura fluida, intensa e altamente evocativa, in grado di farti scuotere e condurti ad occhi aperti nei luoghi e negli avvenimenti.
Se dovessi inquadrarlo cinematograficamente lo definirei un Colossal, uno di quei film spettacolari capaci di far piangere, ridere, sudare, soffrire, e di accompagnare lo spettatore nell’universo perduto di gente e di popoli che abbiamo nel sangue e che per tutti quanti noi sarebbe doveroso non scordare.
Rita Mantuano (Presidente Associazione Culturale “Bruzia libera”)

 

Pubblicato in Primo Piano

E’ stata una domenica speciale quella coincisa con il 9 luglio 2017.

Sarà ricordata negli anni, e speriamo nei secoli, come quella del ritorno!

La madonna miracolosa di cui ha parlato nel 1663 il gesuita Giulio Cesare Fazari, rettore del Collegio di Amantea, e riportata sull’Atlante mariano di Guillermo Gumppenberg del 1677, poi sparita misteriosamente, è ritornata

Ad accoglierla nella chiesa dei Cappuccini il parroco don Gino Zoroberto ed un numeroso pubblico di fedeli.

La chiesa dei Cappuccini venne così ricordata dal popolo perché quando venne fondata nel 1607 venne intitolata a Santa Maria di Portosalvo ma le venne affiancato un convento di frati Cappuccini. Poi per effetto dei decreti napoleonici, il convento fu soppresso nel 1811 e alienato a privati.

Nel 1822, vi fu eretta la confraternita di Maria SS. Addolorata.

La Chiesa dei Cappuccini dal 1823 porta il titolo di Santa Maria della Pinta e Santa Maria della Campana per ricordare due edifici religiosi andati perduti ( vedi http://siusa.archivi. beniculturali.it/cgi-bin/pagina.pl?TipoPag=prodente&Chiave=52285)

Il ritorno è figlio della vocazione alla ricerche storiche su Amantea de Lo Scaffale ( costituito da Sergio Ruggiero, Peppe Marchese, Giuseppe Sconzatesta ( autore della ricerca storica), Gregorio Carratelli, Pasquale Bonavita, eccetera), del pregevole lavoro della iconografa cosentina Rita Mantuano e della confraternita di Maria SS. Addolorata( di cui, in particolare, ricordiamo Cenzino Piluso, Franco Morelli e Salvatore Basso).

Ma alla celebrazione del ritorno non sono mancati i politici locali tra cui il sindaco Pizzino, il consigliere di maggioranza Enzo Giacco, la consigliera di minoranza Francesca Menichino.

Alla presenza di numerosi fedeli hanno preso parola il priore Morelli, il sindaco Pizzino e Rita Mantuano, autrice della icona.

Succesivamente è seguita “una relazione tecnica, corredata da proiezioni esplicative sui caratteri storici e simbolici dell’opera, da parte di Sergio Ruggiero de’ “Lo Scaffale”, il cenacolo culturale amanteano che ha ideato e realizzato il progetto avvalendosi della collaborazione di “Brutia libera” di Cosenza e della contrafernita dell’Addolorata di Amantea che lo ha finanziato”.

L’icona, è un’opera dall’impatto emotivo straordinario sia per l’intensità della figura che per il contenuto simbolico e devozionale, sarà collocata in posizione eminente nella stessa chiesa, alla venerazione dei fedeli.

Ci sembra che questa madonna miracolosa giorni fa abbia fatto un nuovo piccolo miracolo, quale è quello di mettere insieme la chiesa ed il comune, il popolo e la fede, la tradizione e la cultura storica e l’arte.

E forse così indicando la strada da seguire per una nuova e più bella Amantea.

E chissà che ne avanzi per i prossimi anni!

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