Un altro successo, un altro premio per l’amico Sergio Ruggiero
Vogliamo segnalare questo ennesimo apprezzamento ottenuto dallo scrittore amanteano con la bellissima recensione di Rita Mantuano .
Ecco cosa scrive la Presidente dell’Associazione Culturale “Bruzia libera:
“Una narrazione sorprendente, un meraviglioso incastro di destini, in un crescendo di emozioni che a tratti sfocia nella commozione.
Per la conclusione del racconto, per la poesia dei sentimenti proposti con intensità struggente, per il tenore degli argomenti e per la rappresentazione di una Calabria eroica e dignitosa in cerca di riscatto, ricca di misteri, di tradizioni e di Storia, che grazie ai romanzi di Sergio Ruggiero posso dire di conoscere un po’ meglio e di amare un po’ di più.
E’ difficile spiegare quale sia la caratteristica saliente di questo libro di 500 pagine.
E tuttavia emerge la scrupolosa ricostruzione storica e la definizione dei contesti.
Il racconto dipana una storia d’amore, di guerra, d’amicizia e di coraggio.
E di un mistero che si risolve solo alla fine consegnando a Betta la beghina, la figura più oscura del romanzo, la definitiva condanna.
Di altissimo livello sono i dialoghi sulla morale e sulla stregoneria, tra Betta e don Remigio, un sacerdote dai viziosi trascorsi, sullo sfondo dell’atmosfera controriformista calabrese che stava ancora consumando il dramma dei Valdesi.
Bello il personaggio di Petrilishca, giovane eroico e maledetto, così come ottimamente disegnati sono i due protagonisti principali, Sbardo e Mariella, due popolani di Amantea che un destino avverso vorrebbe separare e condannare all’infelicità.
Si affiancano importanti comprimari: il priore francescano, un saggio dall’etica granitica e dallo spirito eletto, e la Curandera, esempio di quella cultura sincretica e maghesca un tempo tanto diffusa, abile nell’erboristeria, nell’esorcismo e nella pronuncia di formule segrete tramandate.
La partecipazione di Amantea alla battaglia di Lepanto, combattuta nel 1571 tra Cattolici europei e Islamici ottomani, ricostruita nel romanzo con estrema accuratezza anche nelle implicazioni politiche, è la circostanza storica di riferimento rappresentata sia dal punto di vista dei combattenti, sia dal punto di vista del popolo, con le sue speranze e le sue paure, espresse talora nella forma della maledizione ai Saracini, talora con l’invocazione di un soccorso al Padreterno o alla Madonna michelizia, la Pinta, icona amanteana a me tanto cara, assurta a ruolo di protettrice dei combattenti della Cristianità.
Rappresentativi di un’epoca di caste e privilegi sono i nobili guerrieri, ardenti di una devozione “crociata” che ne significa le memorabili gesta, così come espressiva di un universo di superstizione e pregiudizi è la cornice orripilante del racconto quando pennella gli anfratti popolari dell’Amantea del XVI secolo, e di corrusca violenza nelle malfamate locande delle città di mare dove i combattenti andavano a concedersi sapidi pasti con il coltello in mano e l’occhio attento ad ogni movimento, tra contrabbandieri e mala gente d’ogni sorta.
Emergono diverse chiavi di lettura, ma mi piace sottolineare la morale incarnata dalla famiglia dell’islamico Ramadan, prima nemico e poi amico e protettore di Sbardo: ci parla di solidarietà tra le genti, e ci invita a riflettere sulle ragioni e sulle colpe dei popoli di fronte alle tragedie della Storia.
Concludo dicendo che un romanzo del genere, senza dubbio accostabile ai romanzi storici più celebrati, è il frutto di un talento capace di rendere la Storia nella forma della grande narrazione, grazie a una solida conoscenza dei fatti storici, all’abilità di incastrare storiografia e immaginazione e al possesso di un raffinato registro linguistico che si attaglia a ogni circostanza: epico e incalzante nelle scene di battaglia, poetico e scrupoloso nelle descrizioni, profondo nei momenti introspettivi, delicato e lirico nei momenti dell’amore, restituendo una lettura fluida, intensa e altamente evocativa, in grado di farti scuotere e condurti ad occhi aperti nei luoghi e negli avvenimenti.
Se dovessi inquadrarlo cinematograficamente lo definirei un Colossal, uno di quei film spettacolari capaci di far piangere, ridere, sudare, soffrire, e di accompagnare lo spettatore nell’universo perduto di gente e di popoli che abbiamo nel sangue e che per tutti quanti noi sarebbe doveroso non scordare.
Rita Mantuano (Presidente Associazione Culturale “Bruzia libera”)