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Un’altra truffa Via Web: la finta Polizia di Stato. NON PAGATE

Mercoledì, 06 Febbraio 2013 09:08 Pubblicato in Mondo

Continuano i tentativi di truffa via web. Da tempo ormai ,anzi da troppo tempo, sul web è presente un virus “ramsonware” (dall'inglese “ramson” che vuol dire ricattare e “ware” componente) che blocca il computer di numerosi cittadini.

Sul pc compare una immagine che riporta Il logo della Polizia di Stato e la scritta “Unità di analisi sul crimine informatico” Vedi foto

E’ la stessa Polizia di Stato che dice che :” NON E’ VERO !” E che : “SI TRATTA DI UNA TENTATA FRODE”

Sulla pagine viene evidenziato che il computer oggetto di blocco presenta contenuti illegali del genere: (immagini pedopornografiche - messaggi terroristici - violazione legge diritto d’autore, eccetera)con rilevantissime sanzioni penali.

Non sembra vero, quindi, al malcapitato, cavarsela con il pagamento di sole 100 euro per riassicurarsi il ripristino della funzionalità del PC.

Non solo ma si elimina anche l’imbarazzo che viene spontaneo se un altro della famiglia, dell’azienda prova ad usare il computer.

Secondo quanto accertato invece si tratta invece di un pagina elaborata da un server russo con la quale si tenta di trarre in inganno i navigatori del web facendo leva sul timore che può incutere l’Autorità di Polizia.-

Gli investigatori spiegano che il ramsonware è un particolare tipo di malware, un virus che si diffonde infettando il sistema operativo tramite note vulnerabilità nei servizi di rete, email con allegati eseguibili, navigazione su siti malevoli, attività non sicure all’interno di alcuni social network.

Per i meno “esperti” si consiglia di rivolgersi ad un tecnico per la rimozione del virus.

Qualcuno suggerisce anche di installare opportune difese per scongiurare il ripetersi di tali episodi, ma non sembra che sia possibile.

La Questura di Biella invece http://questure.poliziadistato.it/Biella/articolo-6-681-45557-1.htm per coloro che sono dotati di una conoscenza adeguata è possibile sbloccare il PC effettuando le seguenti operazioni:

- spegnere il computer e farlo ripartire in “modalità provvisoria”tenendo premuto (per la fase di accensione) il tasto “F8”

- cliccare con il mouse su START (oppure AVVIO o ancora sull'icona di Windows) posto in basso a sinistra della barra delle applicazioni e all’apertura del menu a tendina verticale fare clic su "Tutti i programmi", così da aprire l’elenco dei software installati;

- cercare la cartella "Esecuzione automatica" e una volta individuata, fare clic con il mouse sull’icona corrispondente sullo schermo;

-   viene visualizzata la lista dei programmi configurati per essere avviati automaticamente all’accensione del computer senza l’intervento di chi è alla tastiera;

-   dovrebbe apparire, tra gli altri, il file "WPBT0.dll" oppure un file con nome identificativo del tipo "0.<una serie di altri numeri>.exe" (il file si può presentare in altre varianti sintattiche);

-   selezionare il file ed eliminarlo con il tasto “CANC” oppure “DEL” o spostando il file nel cestino presente sul desktop del computer;

-   selezionare con il mouse il “cestino” sul desktop e fare clic con il tasto destro;

-   all’apertura della finestra in corrispondenza del cestino, selezionare “svuota cestino” così da procedere alla definitiva eliminazione del malware;

-   spegnere il computer e riavviarlo normalmente, così da poter constatare l’effettivo ripristino del regolare funzionamento dell’apparato a disposizione;

-   provvedere all’installazione (e al costante aggiornamento) di un programma antivirus per scongiurare il ripetersi di tali episodi, poiché il virus è in costante mutazione.

Ci chiediamo invece, come per altri casi in passato, perché non si riscontri dove finisce il denaro e da chi viene ritirato al fine di sanzionarlo penalmente ma anche di pretendere cessazione della truffa chiudendo le vie di accesso.

Arpacal. Si indaga sulla assunzione di un gruppo di funzionari. Il personale del Nucleo investigativo sanità e ambiente (Nisa) su disposizione della Procura della Repubblica di Catanzaro ha acceduto agli uffici dell’Arpacal acquisendo atti relativi d assunzioni ed incarichi del 2008.

Ora gli atti sono al vaglio degli investigatori e del sostituto procuratore della Repubblica, Carlo Villani, che dovranno valutare se siano state commesse irregolarità nelle assunzioni.

L'inchiesta della Procura della Repubblica è ancora nella fase embrionale ed è contro ignoti.

Si tratta di un nuovo filone di indagine dopo quello relativo al concorso per dirigente amministrativo dell'Arpacal e al conferimento dell'incarico di responsabile di struttura semplice avvenuti nel 2008 e che ha dato luogo alla comunicazione della chiusura delle indagini nei confronti di una undici persone.

Non è dato di sapere se anche questo filone abbia avuto input dal dettagliato esposto che aveva indotto il dr Dominijanni ad accendere i riflettori sull'intera attività dell'Ente.

Vibo Valentia. Se non fosse vero ( ma purtroppo lo è) ci si potrebbe ridere anche sopra, ma così non resta che piangere; e poi incazzarsi( non possiamo usare nessun eufemismo) e chiedere a gran voce che tantissimo se non tutto cambi in questa terra benedetta dal Signore e maledetta dai suoi abitanti.

Ecco l’altra verità che emerge.

Emerge dalla relazione pro verità (corredata dalla documentazione probatoria) consegnata, oggi pomeriggio 5 febbraio, dal direttore generale dell’Arpacal, dr.ssa Sabrina Santagati, a S.E. il Prefetto di Vibo Valentia, Dott. Michele di Bari, che presiede un apposito tavolo tecnico permanente sulla questione “Alaco”.

“Il 6 dicembre 2012 il personale dell’Asp di Catanzaro ha prelevato, su due punti dell’impianto in questione, altrettanti campioni che ha consegnato al laboratorio chimico del Dipartimento di Catanzaro Arpacal. L’esito delle analisi svolte dall’Arpacal recava chiaramente la non conformità dei campioni per la presenza dei cloriti oltre i limiti di legge (D.Lgs. 31/01 e s.m.i.) e per tali ragioni, in data 7 dicembre 2012, l’Arpacal ne comunicava i suddetti dati, tempestivamente e con la massima diligenza, agli uffici di Soverato dell’Asp di Catanzaro, competenti per territorio, a cui spettava attivarsi con le opportune azioni a tutela della salute pubblica. Già in quella data, con la suddetta condotta, l’Arpacal interveniva con la dovuta diligenza a tutela dell’ambiente e della salute collettiva, assolvendo pienamente i propri compiti istituzionali principalmente di prevenzione oltre che di protezione”.

Poi, prosegue la relazione : “L’Arpacal tiene a ribadire che sin dal 7 dicembre 2012 gli esiti delle analisi confermavano la presenza di cloriti in eccesso rispetto alla soglia consentita ex lege, e dunque prefiguravano la non potabilità dell’acqua”. Insomma l’acqua non era potabile.

Ma non basta, la relazione aggiunge che :“Successivamente, il 17 dicembre, l’Arpacal, adempiendo ai propri compiti istituzionali di controllo sugli enti gestori degli invasi e delle condotte idriche destinate alla potabilizzazione per il consumo umano, ha svolto un controllo sullo stesso impianto, il cui esito ha confermato il superamento dei cloriti, dovuto ad un eccesso di clorazione nel procedimento di potabilizzazione dell’acqua, e lo ha comunicato prontamente all’ente gestore Sorical”.

In sostanza l’acqua erogata non era potabile ma si è continuata ad erogarla. Ed ecco il resto della nota :“Vi è di più. L’Arpacal, infatti, ha ritenuto opportuno proseguire l’approfondimento tecnico-scientifico sui campioni prelevati il 6 dicembre 2012 dall’impianto dell’Alaco, sui quali permaneva l’eccesso di cloriti, e quindi la non potabilità. In questa ulteriore indagine veniva individuata una serie di componenti che, nella materia delle analisi per le acque potabili, non sono codificati dalla legislazione vigente: sono i cosiddetti “composti aromatici alogenati derivanti dal benzene espressi come benzene”, anch’essi prodotti dall’eccessiva clorazione nel processo di potabilizzazione, ma non indicati dalla normativa di settore.

Il laboratorio chimico di Catanzaro, in data 28 gennaio 2013, trasmetteva il referto su tale approfondimento scientifico, indicando, per un mero errore materiale, sotto la voce “benzene” (che in realtà corrispondeva a zero) la sommatoria dei valori dei “composti aromatici alogenati derivanti dal benzene espressi come benzene”.

In sostanza l’Arpacal ammette l’errore ma sostiene di non avere comunque prodotto alcun danno alla salute umana. Semmai questo solo poteva derivare dal fatto che pur in presenza di eccesso di cloriti si continuava ad erogare l’acqua dichiarata non potabile della stessa Arpacal.

Ora tocca Seppure i suddetti valori non presentano la medesima pericolosità del benzene, persisteva comunque la non potabilità dell’acqua a causa della presenza dei cloriti sopra la soglia consentita ex lege, così come comunicata in data 7 dicembre 2012, che non avrebbe potuto escludere l’intervento delle autorità competenti a tutela della salute pubblica

Insomma gli uffici di Soverato dell’Asp di Catanzaro sapevano dal 7 dicembre , la Sorical sapeva dal 17 dicembre ma nessuno ha fatto niente.

La verità, quindi, è che tutto dipende dall’eccessiva clorazione segnalata dall’Arpacal. Ma sembra normale che i vibonesi per poter bere acqua inquinata sono costretti a bere anche cloro e suoi derivati?

Se questa è la Calabria ,voglio scendere !!!

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