Ecco cosa scrive l’ex dirigente generale del dipartimento Lavoro della regione Calabria.
“La durezza del provvedimento interdittivo che oggi mi ha travolto, assolutamente inaspettato, mi impone questo scritto pubblico, per un'avvertita esigenza di difesa che invece - nelle dovute sedi che dovrebbero essere di garanzia - è stata negata sia a me sia ai miei avvocati; non un documento d'accusa ci è stato offerto o messo a disposizione, nulla, solo un interrogatorio "al buio" (tanto da essere costretto al silenzio); eppure il carteggio è immane, centinaia e centinaia di carte per decine di fascicoli per una vicenda che ha avuto inizio non mesi, ma anni prima che io venissi chiamato a svolgere il ruolo di dirigente generale del Dipartimento Lavoro (incarico che ho mantenuto per nove mesi, dal giugno 2014 al febbraio 2015) e che si è conclusa due anni dopo la mia cessazione della carica.
Incarico, è doveroso precisarlo, che ho assunto in un momento molto difficile per il Dipartimento, abbandonato a se stesso, con un carico di lavoro consistente e senza alcuna collaborazione interna, tanto che dopo alcuni mesi (il 24 novembre 2014), nel rassegnare le mie dimissioni, ho chiesto alla nuova Giunta con atto formale - quale condizione per rimanere al mio posto - la rimozione di alcuni dirigenti e la rotazione dei funzionari del dipartimento per manifeste inadempienze (dirigenti e funzionari che, contrariamente a me, sono rimasti al loro posto).
Ho piena fiducia dei professionisti avvocati che mi sostengono e credo nella verità processuale perché si basa su atti e documenti, su indagini e riscontri, e confido nella Magistratura, anche se mi è difficile comprendere il perché di questa decisione, tanto violenta quanto sproporzionata e che per questo avverserò in ogni sede giudiziaria con i leciti mezzi che il codice di procedura penale mi fornisce.
La mia non è "cieca obiezione", non venga letta come scontata autodifesa; è esigenza di spiegazioni, necessità di comprendere come possa basarsi la misura interdittiva di 12 mesi che mi è stata comminata, e dunque l'allontanamento forzoso dal mio lavoro per un anno intero, sulle dichiarazioni di un coindagato, di un soggetto che - cosi per come emerge letteralmente dall'ordinanza oggi notificatami - ha prima reso dichiarazioni in un senso e poi, senza alcuna spiegazione (da lui fornita e nemmeno richiesta dalla Procura), in senso esattamente contrario, così riversando su di me l'intera gogna e responsabilità di fatti rispetto ai quali mi professo estraneo.
È questo che risulta davvero difficile accettare: non documenti, atti, provvedimenti da me adottati o qualsivoglia altra prova diretta, ma solo la testimonianza di chi «diversamente da quanto dichiarato in precedenza» (questa è la sua versione messa nero su bianco) all'improvviso getta fango su di me. Ottenendo, questo va detto, di rimanere saldamente al proprio posto, e forse si spiega allora il cambio di versione.
Andrò avanti, mi difenderò, la verità verrà fuori e ogni circostanza falsa brandita contro di me verrà perseguita nelle sedi opportune.
Per completezza evidenziamo che c’è una sorta di “pentito” in questa vicenda, che è Pasquale Capicotto da Pianopoli, funzionario regionale e già responsabile dei lavoratori lsu-lpu.
Sono le sue ricostruzioni dei fatti la base dalla quale partire per arrivare all’interdizione dai pubblici uffici.
Ma il giudice Greco ha scritto che “La ricostruzione dei fatti fornita delinea uno scenario di decadenza da fine impero nel quale si osserva la definitiva subordinazione di fondamentali gangli della pubblica amministrazione a interessi privati.
La degenerazione è tale che numerosi dirigenti apicali di uffici pubblici mostrano di adoperarsi al solo fine di dirottare risorse pubbliche in complessi – per non dire “perversi” – meccanismi volti a captare il consenso elettorale necessario ad alimentare le basi del potere gestito con disinvolta arroganza nell’ambito di organi istituzionali di diretta investitura democratica.
Le dichiarazioni di Capicotto provengono dal cuore di un sistema degenerato nel quale le istituzioni della Repubblica, disancorate dal perseguimento dei propri fini istituzionali operano al prioritario fine di assicurare la sopravvivenza di un sistema che pare del tutto inconsapevole di essere ormai prossimo alla catastrofe economica e finanziaria”.
Insieme con Vincenzo Caserta, 59 anni, nato a San Costantino Calabro (Vv), ma residente a Catanzaro, la interdizione è stata comminata anche a Gianfranco Scarpelli (cl. ’56), ex direttore generale dell’Asp di Cosenza nella foto a dx insieme con Gentile)e ad Antonio Perri (cl. ’54) di San Fili (Cs) direttore del distretto di Rogliano.