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San Giovanni in Fiore: Chiudono l’ ospedale ma i cittadini non hanno diritti di tutela.

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Sempre più difficile per un cittadino “qualsiasi” capire la “Giustizia” italiana. Si, è vero, può sembrare un luogo comune. Ma se ne cercate davvero la conferma leggete la seguente sentenza.

La vicenda:

  1. 1)Il Presidente della Giunta Regionale nella qualità di Commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro, con decreto n. 106 del 20.10.2011 avente ad oggetto “Riordino rete ospedaliera ex dPGR n. 18/2010. Determinazione dei posti letto per acuzie e post acuzie pubblici e privati. Obiettivi: G.01 S.01 – G.01 S.02”, dispone la riconversione dell’Ospedale di San Giovanni in Fiore, privandolo di tutti i posti letto per i reparti della Chirurgia generale, dell’Ostetricia e Ginecologia e della Pediatria;
  2. 2)Un gruppo di cittadini ne chiede l’annullamento previa sospensione e si rivolge al Tar calabria;
  3. 3)Si è costituita in giudizio la Regione Calabria, la quale ha eccepito, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso, atteso che i provvedimenti impugnati –trattandosi di atti generali di organizzazione - non ledono, in maniera diretta, attuate e concreta la posizione soggettiva dei ricorrenti, alcuni dei quali nemmeno risultano residenti nel Comune di San Giovanni in Fiore; sempre in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso per omessa tempestiva impugnazione di provvedimenti presupposti; nel merito ha rilevato l’infondatezza del ricorso;
  4. 4)Si sono costituiti in giudizio anche il Commissario ad acta per l’attuazione del Piano di rientro, il Ministero della Salute e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, la quale ha eccepito, preliminarmente, l’irricevibilità per tardività del ricorso con riferimento al DPGR n. 18/2010, al DGR n. 908/2009, al Piano di rientro approvato con DGR n. 845/2009, ai DD GR n. 490/2010 e n. 492/2010, alla deliberazione di nomina del Commissario ad acta del 30.7.2010; ha, altresì, eccepito l’inammissibilità del ricorso per omessa impugnazione del DPGR n. 26/2010, con riferimento al quale gli atti impugnati sono meramente esecutivi; sempre in via preliminare, la difesa erariale ha eccepito il difetto di legittimazione passiva del Ministero della Salute e della Presidenza del Consiglio dei Ministri;
  5. 5)Ha anche eccepito il difetto di legittimazione attiva e la carenza di interesse a ricorrere in capo ai ricorrenti, considerato che i provvedimenti impugnati non ledono direttamente e concretamente alcuna posizione soggettiva degli stessi

Ed infatti il TAR ha dichiarato che “Nel caso in esame, pertanto, alla generica qualificazione dei ricorrenti quali “cittadini”, non si accompagna alcun elemento diretto a far supporre che in capo ad essi posso sussistere un interesse dotato dei necessari requisiti di attualità e di concretezza, che soli possono legittimare l’azione in giudizio”.

Cittadini senza diritti, cittadini senza difesa dinanzi allo strapotere dello Stato e dei suoi Commissari.

Per chi vuole ecco la sentenza integrale

N. 00565/2013 REG.PROV.COLL. N. 00566/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria(Sezione Prima) ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 566 del 2012, proposto da:
Giovambattista Nicoletti, Giovanni Bitonti, Giovanni Alessio, Francesco Scarcelli, Pietro Mazza, Alfonso Lorenzano, Francesco Antonio Loria, Francesco Antonio Talerico, Giuseppe Oliverio, Giuseppe Mancina, Giusi Gallo, Caterina Basile, Giuseppe Oliverio, Biagio Biafora, rappresentati e difesi dagli avv. Luisa Lopez, Franca Migliarese Caputi e Oreste Morcavallo, con domicilio eletto presso lo studio di quets’ultimo in Cosenza, corso Luigi Fera, 23;

contro

Regione Calabria, rappresentata e difesa dall'avv. Franceschina Talarico, dell’Avvocatura Regionale, con domicilio eletto in Catanzaro, Viale Cassiodoro 50 (Palazzo Europa);
Presidente Giunta Regionale - in Qualita' di Commissario Ad Acta per l'attuazione del Piano di Rientro, Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministero della Salute, rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata in Catanzaro, via G.Da Fiore, 34;

per l'annullamento, previa sospensione cautelare,

-del decreto n. 106 del 20.10.2011 del Presidente della Giunta Regionale nella qualità di Commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro, avente ad oggetto “Riordino rete ospedaliera ex dPGR n. 18/2010. Determinazione dei posti letto per acuzie e post acuzie pubblici e privati. Obiettivi: G.01 S.01 – G.01 S.02”, nella parte in cui dispone la riconversione dell’Ospedale di San Giovanni in Fiore, privandolo di tutti i posti letto per i reparti della Chirurgia generale, dell’Ostetricia e Ginecologia e della Pediatria;

di ogni altro atto connesso, presupposto e conseguente e, specificamente, del citato decreto n. 18/2010 del Presidente della Giunta Regionale nella qualità di Commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro, della deliberazione n. 908/2009 avente ad oggetto “accordo per piano di rientro del servizio sanitario regionale della Calabria ex art. 1 comma 180 L. 311/2004, sottoscritto tra il Ministro dell’economia e delle finanze, il Ministro della salute ed il Presidente della Regione Calabria il 17 dicembre 2009 – Approvazione”, successivamente integrata dalla DGR n. 97/2010, per quanto di interesse del Piano di rientro, approvato con deliberazione n., 845/2009, delle deliberazioni della Giunta Regionale nn. 490 e 492 del 2.7.2010, della deliberazione del Consiglio dei Ministri del 30.7.2010, con la quale il Presidente della Giunta Regionale è stato nominato Commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Calabria e di Presidente Giunta Regionale - in Qualita' di Commissario Ad Acta Per L'Attuazione del Piano di Rientro;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 marzo 2013 il dott. Alessio Falferi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

Con ricorso straordinario ex art. 8 d.P.R. n. 1199/1971 e ss.mm., gli odierni ricorrenti impugnavano, chiedendone l’annullamento previa sospensione cautelare, il decreto n. 106 del 20.10.2011 adottato dal Presidente della Giunta Regionale nella qualità di Commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro ed avente ad oggetto “Riordino rete ospedaliera ex DPGR n. 18/2010 - Determinazione dei posti letto per acuzie e post acuzie pubblici e privati. Obiettivi: G.01 S.01 – G.01 S.02”, nella parte relativa alla riconversione dell’Ospedale di San Giovanni in Fiore, unitamente agli ulteriori atti in epigrafe meglio indicati.

A seguito dell’opposizione della Regione Calabria, con atto di costituzione in giudizio ex art. 10, comma 2, d.P.R. n. 1199/1971, i ricorrenti hanno riproposto, avanti a questo Tribunale, le proprie ragioni di ricorso ed hanno rinnovato la richiesta di annullamento degli atti impugnati, sempre previa sospensione cautelare.

Premesse le vicende che hanno condotto all’adozione del Piano di rientro dal disavanzo nel settore sanitario ed al commissariamento della Regione Calabria, i ricorrenti hanno evidenziato che, con il decreto n. 106/2011, l’Ospedale di San Giovanni in Fiore è stato riconvertito da ospedale generale ad ospedale di montagna, con conseguente riduzione dei posti letto in medicina generale, chiusura dei reparti di Chirurgia generale, di Ostetricia, di Ginecologia e di Pediatria, riconversione di detti due ultimi reparti in Day-surgery e trasformazione delle strutture complesse in strutture semplici.

In punto di legittimazione, i ricorrenti hanno precisato di essere cittadini, direttamente destinatari delle misure restrittive adottate, aderenti ad un Comitato pro ospedale “Pubblicamente”, alcuni di essi dipendenti dell’Ospedale stesso, che direttamente avvertono le conseguenze delle disposte chiusure dei reparti; pertanto, hanno interesse ad agire al fine di tutelare il mantenimento di un’assistenza ospedaliera congrua rispetto alle proporzioni ed esigenze del territorio in cui vivono, interesse direttamente riconducibile all’art. 32 della Costituzione.

Quanto ai motivi di ricorso, in sintesi, i ricorrenti hanno denunciato l’incompetenza del Commissario ad acta ad assumere gli atti impugnati per violazione della legge n. 191/2009, l’illegittimità, con riferimento al D.L. n. 78/2009, convertito con legge n. 102/2009, della nomina del Commissario ad acta e l’illegittimità della mancata cessazione dall’incarico una volta approvato il Piano di rientro, nonché la violazione, a seguito dell’adozione del provvedimento contestato, delle indicazioni generali contenute nel Piano stesso e conseguente mancato rispetto dei livelli essenziali di assistenza; sotto altro profilo, è stato denunciato il mancato coinvolgimento dei Comuni, quali soggetti interessati, che direttamente beneficiavano delle prestazioni dell’Ospedale; ancora, è stato evidenziato che la riorganizzazione della rete ospedaliera di cui al decreto 106 ha determinato una evidente riduzione dell’offerta sanitaria su una vastissima area della provincia di Cosenza, disagiata dalla collocazione geografica e che, al fine di evitare una evidente disparità di trattamento, si doveva procedere alla riorganizzazione anche delle strutture ospedaliere private; si è, altresì, denunciato che la riorganizzazione è avvenuta senza una adeguata istruttoria, con evidenti distorsione nei “tagli” operati tra le tre aree (Nord, Centro e Sud) della Regione, senza adeguatamente valutare l’inappropriatezza delle prestazioni e la mobilità attiva e passiva; infine, è stato rilevato che a fronte della soppressione dei reparti e della riduzione dei posti letto, è mancata ogni misura di compensazione idonea a permettere alle popolazioni residenti di esercitare il diritto fondamentale alla salute, né è stata verificata la possibilità di utilizzare strutture limitrofe, con conseguente compromissione dei livelli minimi di assistenza.

Si è costituita in giudizio la Regione Calabria, la quale ha eccepito, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso, atteso che i provvedimenti impugnati –trattandosi di atti generali di organizzazione - non ledono, in maniera diretta, attuate e concreta la posizione soggettiva dei ricorrenti, alcuni dei quali nemmeno risultano residenti nel Comune di San Giovanni in Fiore; sempre in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso per omessa tempestiva impugnazione di provvedimenti presupposti; nel merito ha rilevato l’infondatezza del ricorso.

Si sono costituiti in giudizio anche il Commissario ad acta per l’attuazione del Piano di rientro, il Ministero della Salute e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, la quale ha eccepito, preliminarmente, l’irricevibilità per tardività del ricorso con riferimento al DPGR n. 18/2010, al DGR n. 908/2009, al Piano di rientro approvato con DGR n. 845/2009, ai DD GR n. 490/2010 e n. 492/2010, alla deliberazione di nomina del Commissario ad acta del 30.7.2010; ha, altresì, eccepito l’inammissibilità del ricorso per omessa impugnazione del DPGR n. 26/2010, con riferimento al quale gli atti impugnati sono meramente esecutivi; sempre in via preliminare, la difesa erariale ha eccepito il difetto di legittimazione passiva del Ministero della Salute e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché il difetto di legittimazione attiva e la carenza di interesse a ricorrere in capo ai ricorrenti, considerato che i provvedimenti impugnati non ledono direttamente e concretamente alcuna posizione soggettiva degli stessi. Nel merito, si è evidenziata l’infondatezza del ricorso.

Alla Camera di Consiglio del 5 luglio 2012, è stata chiesta la riunione dell’istanza cautelare al merito.

Alla Pubblica Udienza del 22 marzo 2013, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Preliminarmente, è necessario scrutinare l’eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse e difetto di legittimazione, formulata sia dalla Regione Calabria che dalla difesa erariale.

L’eccezione è fondata.

E’ opportuno ricordare che, in punto di legittimazione, i ricorrente hanno precisato di agire quali cittadini “direttamente destinatari delle misure restrittive adottate”, tutti aderenti “ad un Comitato pro ospedale “pubblicamente”; hanno, altresì, aggiunto, che alcuni di essi sono dipendenti dell’Ospedale e, quindi, “direttamente avvertono le conseguenze delle disposte chiusure dei reparti indicati ad ogni livello”.

Ebbene, il Collegio rileva che la mera qualità di “cittadino” non è sufficiente a legittimare il ricorso avverso specifici atti di portata generale assunti dalla Pubblica Amministrazione.

Invero, è stato autorevolmente osservato che “la legittimazione ad impugnare un provvedimento amministrativo deve essere direttamente correlata alla situazione giuridica sostanziale che si assume lesa dal provvedimento e postula l'esistenza di un interesse attuale e concreto all'annullamento dell'atto; altrimenti l'impugnativa verrebbe degradata al rango di azione popolare a tutela dell'oggettiva legittimità dell'azione amministrativa, con conseguente ampliamento della legittimazione attiva al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, in insanabile contrasto con il carattere di giurisdizione soggettiva che la normativa legislativa e quella costituzionale hanno attribuito al vigente sistema di giustizia amministrativa" (Consiglio di Stato, sez. IV, 28 agosto 2001, n. 4544; in tal senso anche Consiglio di Stato, sez. IV, 13 dicembre 2012, n. 6411).

Nel caso in esame, pertanto, alla generica qualificazione dei ricorrenti quali “cittadini”, non si accompagna alcun elemento diretto a far supporre che in capo ad essi posso sussistere un interesse dotato dei necessari requisiti di attualità e di concretezza, che soli possono legittimare l’azione in giudizio.

In tale prospettiva, i ricorrenti sono portatori di un mero interesse diffuso, non assumendo la titolarità di alcuna posizione giuridica differenziata rispetto alla collettività, con riferimento all’impugnazione di atti di portata generale, concernenti la gestione di servizi; è’ appena il caso di aggiungere, infatti, che la mera sussistenza della residenza o domicilio nell’ambito del Comune nel quale insiste il presidio ospedaliero di cui si tratta, non è circostanza tale da integrare la dimostrazione di una lesione attuale e concreta della posizione giuridica dai medesimi vantata (TAR Liguria, sez. II, 15 febbraio 2012, n. 290).

Quanto al riferimento, operato in ricorso, al Comitato pro ospedale “Pubblicamente”, si osserva che, per giurisprudenza consolidata, ai fini del riconoscimento giurisdizionale della legittimazione ad impugnare atti amministrativi, occorre che il comitato spontaneo di cittadini sia munito di un adeguato grado di rappresentatività, di un collegamento stabile con il territorio di riferimento, e di un’azione dotata di apprezzabile consistenza, anche tenuto conto del numero e della qualità degli associati. Inoltre, occorre che l’attività del comitato si sia protratta nel tempo e che, quindi, il comitato non nasca in funzione dell’impugnativa di singoli atti e provvedimenti (in tal seno, T.A.R. Toscana,  sez. II, 25 agosto 2010, n. 4892). Del resto, anche con riferimento alle associazioni che si fanno portatrici di interessi diffusi, la giurisprudenza ne ammette la legittimazione ad agire dinanzi al giudice amministrativo per l’impugnazione di atti ritenuti lesivi dei predetti interessi a condizione che esse posseggano i seguenti requisiti: a) perseguano statutariamente in modo non occasionale obiettivi di protezione degli interessi dedotti nel giudizio; b) abbiano un adeguato grado di rappresentatività e stabilità; c) abbiano un’area di afferenza ricollegabile alla zona in cui è situato il bene a fruizione collettiva che si assume leso. Ciò in quanto lo scopo associativo non è di per sé sufficiente a rendere differenziato un interesse diffuso o adespota facente capo ad un parte più o meno ampia della popolazione. (in tal senso, Consiglio di Stato sez. V, 14 giugno 2007 n. 3192; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 9 luglio 2012, n. 1914).

Nel caso in esame, i ricorrenti si sono limitati ad affermare, in modo del tutto generico, di aderire “ad un Comitato pro ospedale “Pubblicamente” , senza allegare alcun altro elemento utile a dimostrare la sussistenza dei requisiti necessari per fondare la legittimazione ad agire.

Quanto, infine, alla circostanza che alcuni dei ricorrenti –peraltro nemmeno nominativamente indicati - affermano di essere dipendenti dell’ospedale oggetto dell’intervento di riconversione, si rileva, a prescindere da ogni altra considerazione, che i medesimi si limitano a sostenere che a seguito dell’atto impugnato avvertirebbero direttamente “le conseguenze delle disposte chiusure dei reparti indicati ad ogni livello”, senza minimamente dedurre quale lesione effettiva, concreta, attuale e diretta subirebbero della contestata riconversione, senza minimamente addurre, pertanto, una specifica doglianza in relazione alla compromissione del proprio interesse, nemmeno rappresentato, con conseguente inammissibilità dell’azione.

In conclusione, per tutte le ragioni sopra esposte, il ricorso è inammissibile, restando assorbita ogni altra questione sollevata dalle parti.

In considerazione della particolarità della questione affrontata, sussistono giustificate ragioni per compensare tra tutte le parti le spese di causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 22 marzo 2013 con l'intervento dei magistrati:

Giovanni Iannini, Presidente FF

Anna Corrado, Primo Referendario

Alessio Falferi, Primo Referendario, Estensore

 

Redazione TirrenoNews

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