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Un paese di…brava gente.

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Appena ritor nato dal lonta no Canada, Gigi El Tarik si cala nelle brume morali del suo (no stro) paese e ne trae una sollecitazione per chiunque abbia la one stà intellet tuale e morale di accettarla più che di comprenderla. Sospettiamo che ognuno pensi che queste sollecitazioni siano dirette ad altri!

In una qualsiasi cittadina con un minimo di sensibilità “liberal democratica” quello che sta accadendo da noi sarebbe considerato inammissibile. Nei prossimi giorni si celebreranno le false “festività”, liturgia ormai inutile in quanto insignificante; ma che – nell’immaginario dell’Amministrazione sola al comando e dei suoi vassalli – significherà “ascolto e consenso”, come i sondaggi pilotati, gli incontri blindati, i Nazareni e le Leopolde. Nonostante tutto, la cittadinanza silenziosa continua a sostenerla, proprio con il silenzio, nella sua rovinosa progressione. A qualcuno potrebbe sembrare strano questo silenzio assenso. In realtà ci sono motivi atavici. La forza di questa Amministrazione è composta anche da una schiera ciarliera di Sparaballe, di giornalai che hanno dimenticato che l’adulazione e il servilismo minano profondamente la qualità della già barcollante situazione sociale. Il silenzio degli intellettuali locali in questo periodo ci dà un quadro che ricorda tristemente l’arroccamento nella turris eburnea della cultura ai tempi del Fascismo. Intellettuali: non dovreste avere a cuore la libertà? Dove è finita la responsabilità civile, sociale e politica che vi sono state affidate da donne e uomini coraggiosi vissuti prima di voi, che vi hanno consegnato un Paese che credeva nel proprio futuro, che anche l’oltraggioso silenzio della maggior parte di voi sta riducendo ad una farsa da operetta? Mentre in Municipio si “discute” con parole sempre più vuote di soluzioni per risollevare la città, si continua ostinatamente a ignorare le persone che soffrono. Disoccupati costretti a lavorare in nero, precari imprigionati nel limbo dei contratti a termine, pensionati che stentano ad arrivare alla fine del mese, immigrati preda dello sfruttamento, giovani che non studiano e hanno abbandonato la ricerca di un lavoro stabile. Persone, queste, che rappresentano una fetta consistente della popolazione: si tratta di una maggioranza invisibile, perché ignorata da politici e benpensanti, è silenziosa, perché incapace di riconoscere la sua forza. Bisognerebbe far luce sulle ragioni del disagio sociale che oggi paralizza questa parte della Calabria e ricostruire gli eventi che hanno condotto alla crisi in cui siamo impantanati, proponendoci una nuova visione progressista capace di dare voce a chi da troppo tempo lavora senza ricevere nulla in cambio. Una maggioranza invisibile, fatta da precari, disoccupati, volontari e pensionati. Benché oggi appaiano come realtà frammentate, dovrebbero diventare i protagonisti di un progetto politico inedito, dopo aver mandato a casa gli attuali padroni del paese. Questa maggioranza invisibile era ed è ancora convinta che la legge tutela il cittadino consentendogli di agire in giudizio contro l’amministrazione inadempiente. La legge, in teoria, dovrebbe stigmatizzare un simile comportamento della pubblica amministrazione, prevedendo dei meccanismi processuali rapidi e puntuali a difesa del cittadino. Corruzione, corrotti, corruttori. Non si parla d’altro. Ma come? Non avevamo stretto un patto col destino dopo Tangentopoli? Che mai più saremmo incorsi in simili peccati? Non erano discesi dal Sinai eserciti di Di Pietro, con il loro seguito di angeli vendicatori? E ancora non vi è chi tema le loro pene? Neppure i nipotini di Berlinguer e i giovani scout? Nulla dunque può spezzare l’aurea catena che dalle origini della patria va ai corrotti e abbraccia in sé destri e sinistri, senes, viri et iuvenes? Siamo un popolo corrotto, corruttore e corruttibile. Nessuno escluso. Amore e odio dunque, conformismo e simpatia si mescolano nelle parole. Voi mi sconvolgete. Siete i più simpatici tra gli italiani, siete gentili pieni di energia ed allegria ma allo stesso tempo complici di questa situazione aberrante.  Una visione d’insieme dovrebbe abbracciare anche i molti sintomi del saccheggio sistematico di risorse comuni praticato, in un’atmosfera d’impunità, da una cerchia corrotta e corruttrice: i “misteriosi” bilanci pubblici, i ricorrenti disastri ambientali, l’ignorare le innumerevoli richieste di chiarimento su varie faccende che riguardano tutti i cittadini, il consumo dissennato del territorio, il degrado di opere e servizi pubblici. Spesso realizzato “a norma di legge”, visto che di norme e regolamenti questa élite corrotta può condizionare contenuti, interpretazioni, rigore nel controllo e nell’applicazione. “Uno tristo cittadino non può male operare in una repubblica che non sia corrotta» (Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, Libro III, cap.8). Un paese può considerarsi corrotto quando chi la governa può credere gli sia lecito perseguire impunemente il “bene particulare” nello svolgimento del proprio ufficio. Che questo “bene” significhi mazzette, o essere “umani” con amici e clienti, “essere regalati” di qualche appartamento, manipolare posti nelle Asl o farsi le vacanze coi soldi pubblici, cambia dal punto di vista penale, ma nulla nella sostanza. Proviamo allora a immaginare l’ascesa lungo questa “scala di corruzione” fino ai piani più alti, dove “incenso e mirra” dei corruttori cedono il passo all’oro, espressione tangibile di un potere d’acquisto che si converte in esercizio arbitrario dell’autorità pubblica. “La corruzione” nel nostro sistema di governo cittadino significa replicare e perfezionare in ogni centro di potere gli ingredienti base della corruzione sistemica. Per vedere tutta la virtù di Mosè, diceva Niccolò Machiavelli, è necessaria tutta la miseria di Israele. Più prosaicamente, si coglie in questo quadro la piena sintonia con quel grumo di interessi opachi che accomuna ampi e trasversali segmenti della nostra classe dirigente verso un obiettivo condiviso: estendere il proprio invisibile dominio cleptocratico, rendendo più efficiente e sicura l’appropriazione congiunta della smisurata rendita della corruzione.

Redazione TirrenoNews

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