La notizia di questa settimana che ha fatto il giro del mondo, che ha fatto tanto scalpore e che la troviamo a carattere cubitale sulle prime pagine dei giornali anche stranieri è questa: Il capomafia, il pregiudicato, il superlatitante, l’imprendibile primula rossa di Castelvetrano è stato finalmente arrestato. Matteo Messina Denaro dopo 30 anni di latitanza finalmente è stato rinchiuso nelle patrie galere e mangia il rancio fornito dallo Stato come gli altri detenuti. Era a Palermo in una clinica privata. Si faceva curare per un tumore al colon. Non ha opposto resistenza, non ha provato neppure a mentire, ha dichiarato subito la sua identità: sono Matteo Messina Denaro. Versione ufficiale fornita dalla Magistratura palermitana. E’ un giorno di festa per il nostro paese. Tutti, ma proprio tutti, da Mattarella a Meloni, dai politici di destra a quelli di sinistra, si sono subito congratulati coi Magistrati di Palermo che hanno condotto le indagini, con le Forze dell’Ordine che hanno seguito l’arresto di questo super latitante. Caccia durata 30 lunghi anni. Troppi, troppi. Troppi sono 30 anni per acciuffare un super mafioso. Le Forze dell’Ordine, però, non si sono mai arrese, ogni giorno hanno dato la caccia a questo personaggio che ha sulla coscienza centinaia di morti e stragi, senza contare la morte del piccolo Giuseppe Di Matteo sciolto nell’acido, ma è riuscito sempre a sfuggire alla cattura. Ieri no. Oggi gioiamo per l’arresto, però ci sono voluti 30 lunghi e sanguinosi anni per catturarlo e non possiamo dimenticare le troppe vittime della mafia, le stragi di Palermo e di Capaci. Ora, però, dopo l’arresto, bisogna indagare sulla rete di eventuali fiancheggiatori, su chi lo ha coperto, aiutato, favorito la sua lunga latitanza, su chi lo ha accompagnato, su chi lo ha assecondato. Ora che è stato acciuffato tutto è stato risolto? No. L’unica cosa certa è che è stato arrestato senza che opponesse resistenza. E non era neppure armato. (Versione ufficiale). E se fosse stato tradito? Da chi? Per che cosa? La cattura di Messina Denaro mi ricorda la fine di un altro bandito siciliano, quel Salvatore Giuliano, tradito dall’unica persona di cui si fidava: il cugino Pisciotta, che poi venne ucciso in carcere con la stricnina nel caffè.
