
L’obiettivo è quello di evitare l'epidemia di overdose che infesta gli Usa.
La Commissione Ue ha proposto oggi di vietare due oppioidi sintetici, una famiglia di farmaci con effetti simili a morfina ed eroina che è la prima causa di morte per overdose negli Stati Uniti.
L'ultima e più grave minaccia nella famiglia degli analgesici è un oppioide sintetico chiamato Fentanyl, da 50 a 100 volte più potente della morfina: inizialmente sviluppato negli anni '60 per uso clinico, si sta ora diffondendo tra le droghe di strada dove spesso è mischiato e spacciato con eroina o altre sostanze.
Il cantante americano Prince sarebbe morto il 21 aprile 2016 proprio per un'overdose di Fentanyl, farmaco che assumeva per alleviare il dolore causato da un operazione alla gamba. Il Fentanyl, infatti, è così potente che è facile andare in overdose, anche inavvertitamente ed è molto difficile dosarne la quantità giusta: quella in grado di uccidere una persona potrebbe essere giusta per alleviare il dolore di un’altra.
Prince è solo uno degli oltre 20 mila nordamericani vittima ogni anno di questi analgesici.
Evitare in Europa quell'epidemia di morti per oppiacei sintetici che si registra negli Stati uniti. Con questo obiettivo finale la Commissione europea ha chiesto oggi di vietare nell'Europa unita l'uso di due nuove sostanze psicoattive, il Cyclopropylfentanil e il Methoxyacetylfentanyl, potenti oppioidi sintetici in grado di causare "seri danni" alla salute, anche letali, scrivono i tecnici di Bruxelles, e che rappresentano "una minaccia crescente" per i cittadini comunitari.
La proposta della Commissione verrà discussa dal Consiglio che, in consultazione con il Parlamento, deciderà se adottarla.
Secondo l'Emcdda (European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction), i due oppioidi, che vengono venduti on line come materiale per ricercatori o come sostituti "legali" per gli oppioidi illegali, ossia di eroina e crack, avrebbero provocato finora circa 90 morti nell'Ue.
Il problema potenziale è però ben più amplio, come sanno bene negli States.
La morte di Prince, causata da un'overdose accidentale di fentanyl, un potente analgesico prescritto fin troppo alacremente dai medici oltre oceano, e quella di altre migliaia di cittadini statunitensi hanno portato ad accendere i riflettori sul ritorno delle overdosi per oppiacei ed oppiacei sintetici.
I morti per overdose negli States sono più che triplicati in 17 anni, in alcuni Stati, come la Florida, in appena 8 anni.
Un aumento che viaggia sulle ali di queste droghe sintetiche, divenute oggi le più letali nel Paese, come riconosce il National Institute on Drug Abuse: su oltre 64mila decessi per overdose stimati nel 2016 negli States, l'incremento più cospicuo è avvenuto proprio per le morti legate al fentanyl e ai suoi derivati (oppioidi sintetici), con oltre 20mila decessi.
Nello stesso anno, l'eroina causava negli States 15.450 decessi, gli oppioidi naturali e semisintetici altri 14.430, la cocaina circa 10.600, la metanfetamina 7.600 ed il metadone 3.300.
La dipendenza da antidolorifici, assunti inizialmente dietro prescrizione medica, è diventata un problema sociale diffuso in alcune aree degli Usa, specie quelle economicamente depresse della 'Rust Belt' e degli Appalachi, pesantemente colpite dalla deindustrializzazione.
Nell'Ohio sono stati chiusi molti studi medici che spacciavano prescrizioni ai tossicodipendenti, i cosiddetti 'pill-mills', o fabbriche di pillole.
Uno dei derivati del fentanyl, il carfentanyl, viene utilizzato come anestetico per elefanti e alci, è considerato 100 volte più potente del fentanyl, e migliaia di volte più potente dell'eroina.
Incolore e insapore, viene talvolta utilizzato come addittivo per tagliare altra droga, moltiplicandone la pericolosità.
Esperti della Dea citati dal Times spiegano che bastano pochi granuli ingeriti per uccidere un uomo, tanto che gli agenti e il personale sanitario devono prendere precauzioni speciali quando soccorrono una persona, per evitare di rimanere vittime di un'ingestione accidentale.
Prince
Ricordi di guerra di un giovane calabrese che ha indossato la divisa dell’U.S.Army, S.N.11301482 e che si trovava ad Ascom City, nel 121° Evacuation Hospital, quando il 27 luglio 1953 a Panmunjon venne firmato l’armistizio tra due Coree.
Ero partito da un piccolo paese della provincia di Cosenza sperduto in mezzo al verde, avevo lasciato una casetta dove ancora l’acqua potabile veniva portata in casa da mia sorella Anna con un barile riempito nella pubblica fontana ed ora invece mi sentivo protagonista della storia mondiale in una terra dove si decidevano i destini dell’umanità. Il passo fatto era enorme, avevo mutato in poco tempo il mio tenore di vita ed avevo imparato per forza e per necessità nuovi modi di agire e di pensare, non fosse altro per non essere stritolato dagli ingranaggi e dalla routine militare. Non potevo morire senza rivedere il paesello natio, le piante di “Nmienzu u largu”, i volti amici, il muro della mia casa dove, bambino, avevo scritto “Vinceremo”, le colline dove avevo visto spuntare tante volte il sole. Già, il ricordo del sole di quelle lunghe giornate d’estate; di quella pace celestiale che regnava ovunque; dei suoni, delle voci, degli odori che salivano al cielo; del battito del martello sull’incudine e della figura di mio cugino, ancora bambino, che tirava il mantice nell’officina del padre; del canto delle cicale, monotono e regolare, che ti accompagnava sempre durante la pennichella pomeridiana. Non potevo morire ed infatti anche per questa volta la fortuna fu dalla mia parte. L’avanzata dei soldati Nord coreani venne fermata dal pronto e miracoloso intervento dei marines. La firma dell’armistizio era imminente e le agenzie “Tass” e “Nuona Cina” precisavano che la linea di demarcazione avrebbe seguito esattamente la linea del fronte, quale essa si sarebbe presentata dodici ore dopo la firma dell’armistizio. Il dramma coreano era entrato nella fase culminante: il vecchio Presidente Sud Coreano Sigman Rhee non accettava le condizioni dell’armistizio ed era disposto a condurre la guerra da solo. Eravamo convinti che la strada per tornare a casa passava necessariamente per Panmunjon ed ogni qual volta apprendevamo che si era riunita la Commissione per l’armistizio, l’America si avvicinava sempre di più. Sul fronte, intanto continuano violenti gli attacchi comunisti. La situazione è critica non solo militarmente, ma anche politicamente e diplomaticamente. Si teme da un momento all’altro un colpo di mano militare da parte del Presidente sud coreano. Syngman Rhee crea dunque nuove complicazioni e la fine della guerra in Korea viene rimandata di giorno in giorno ed intanto altre centinaia di soldati continuano a morire. L’opinione pubblica americana è stanca della tensione psicologica creata dalla lunga guerra in Korea, le madri piangono le perdite dei loro giovani figli morti ammazzati in una terra tanto lontana e sconosciuta, Wall Street rimpiange le spese militari di milioni di dollari sostenute in questi tre anni di guerra ottenendo scarsa soddisfazione e mediocre gloria. I cino nordisti con altoparlanti fanno sapere che la firma dell’armistizio è vicina e che per Natale saremo di ritorno in patria. Non ci credo molto, anche perché nel 1950 il Generale Mac Arthur aveva detto la stessa cosa, così pure il Generale Eisenhower prima di essere eletto Presidente degli Stati Uniti d’America nel 1952. Staremo a vedere. 27 luglio 1953, fine delle ostilità, da mezzanotte non si sparerà più, a Panmunjon viene firmato l’armistizio. E’ la prima buona notizia dopo sette mesi di inferno. Nelle baracche, nelle corsie dell’ospedale si sentono ripetere alcune frasi come:- Abbiamo avuto salva la vita -. – Ritorneremo finalmente a casa -. E’ la pace, è la pace, ma non c’è pace dentro il mio cuore. Immagini della guerra mi ritornano nella mente e rivedo davanti ai miei occhi gli amici che mi hanno lasciato. E’ ancora davanti ai miei occhi il triste spettacolo di uomini e donne, giovani e vecchi, frugare tra le rovine e le macerie alla ricerca di qualche oggetto domestico; il volto dei ragazzi che ti guardano con occhi impauriti e che pietosamente stendono la mano con la speranza di ricevere qualcosa; gli sguardi avviliti delle ragazze che si vendono per un pacchetto di chewing gum ed una tavoletta di cioccolato. Ma soprattutto i volti di migliaia e migliaia di soldati, avviliti, tristi, polverosi, infangati, in marcia lungo le strade e in mezzo alle risaie che vanno verso la morte. E’ impossibile dimenticare tutte queste brutture della guerra. L’inferno finalmente è finito, però porterò con me per sempre vivo il ricordo di questa triste avventura coreana. Cin cin, ragazzi, buona fortuna. Chiudo gli occhi e rivedo la mia casetta, la mia gente, i miei compagni. La giornata è splendida, molto bella, caldissima. Penso sarebbe bello un giorno rivedere i luoghi dove sono nato e ritrovare gli amici di un tempo. Chi troverò.
A luglio del 1961 sono ritornato definitivamente nella mia amata terra di Calabria.
Francesco Gagliardi
Via Guido Dorso,23
87100 Cosenza
Tel.0984-391835
Cell. 3287094710
Ancora una volta ci dobbiamo occupare di un femminicidio avvenuto però non in Italia ma questa volta in Pakistan.
Una bella ragazza di 25 anni si era pazzamente innamorata di un ragazzo italiano e per questo sgarro fatto alla sua famiglia è stata severamente punita.
E’ stata barbaramente sgozzata.
La ragazza era cresciuta in Italia e precisamente a Brescia, aveva frequentato le scuole italiane e aveva ottenuto finanche la cittadinanza italiana.
Si era pazzamente innamorata di un ragazzo che voleva sposare, che voleva passare i suoi giorni col ragazzo che lei aveva scelto liberamente e che da lui voleva avere dei figli.
Tutto questo non si è potuto realizzare perché la sua giovane vita è stata spezzata da un padre padrone che non ammetteva che sua figlia si comportasse come gli occidentali e che potesse sposare un uomo non scelto ed imposto dai familiari come del resto avviene in Pakistan e nelle altre nazioni islamiche.
Purtroppo è una regola di vita che ancora oggi esiste in quei lontani paesi.
Le ragazze non possono sposare i ragazzi che amano, ma i ragazzi che i genitori sceglieranno per loro a volte cugini o vecchi per pura convenienza.
La ragazza di nome Sana ha rifiutato le nozze combinate e imposte dalla famiglia e per questo sgarro è stata sgozzata.
Uccisa perché voleva vivere come le altre sue compagne di Brescia, perché voleva vestirsi e comportarsi all’occidentale, perché voleva sposare il ragazzo che amava e non uno sconosciuto e forse molto più grande di lei.
La ragazza aveva studiato a Brescia e a Brescia si era ben inserita.
Il viaggio in Pakistan fatto per andare a trovare i famigliari per un breve periodo forse per annunziare il giorno delle nozze le è stato fatale.
Non è più tornata in Italia.
La sua morte l’abbiamo appresa da un video postato dalla famiglia.
I funerali si sono svolti secondo il rito islamico.
Secondo i familiari la ragazza è morta in un incidente, secondo i tanti amici che aveva a Brescia è stata sgozzata dal padre e dal fratello.
Padre e fratello sono stati arrestati dalla Polizia, ma non ci sono conferme.
Infatti una sua amica ha scritto che i familiari inquisiti sono stati già liberati e la vicenda è stata chiusa.
La ragazza non è morta per incidente, ma di infarto.
Dal Pakistan, però, arrivano notizie contrastanti e frammentarie.
Addirittura si apprende che la ragazza non sia morta di infarto, ma si sia suicidata.
Non è la prima volta che ci siamo occupati di tristi vicende del genere, di giovani donne vittime di violenze da parte dei familiari solo per aver fatto scelte a loro invise.
Nell’agosto del 2006 a Ponte Zanamo un’altra ragazza è stata uccisa dai familiari e poi sepolta nel giardino di casa con la testa rivolta verso la Mecca, perché voleva vivere come le altre sue amiche all’occidentale, truccarsi, indossare pantaloni, camicette attillate, uscire di casa con le amiche, frequentare ragazzi italiani.
Si era opposta alle tradizioni familiari.
E il 15 settembre 2009 viene uccisa Sanaa Dofani di anni 18 mentre si trovava in auto con il fidanzatino italiano.
E ancora un’altra ragazza indiana di 27 anni nel maggio 2012 viene strangolata dal marito e gettata nel Po perché viveva l’occidentale.
Così hanno commentato gli amici e le amiche di Brescia della sventurata ragazza ancora sotto shock:- Ha pagato la sua voglia di libertà-.
E così Matteo Salvini, il leader leghista che vuole diventare Presidente del Consiglio, ha twittato:- Quanta tristezza, quanta rabbia!
In Italia nessuno spazio per chi viene a portare questa cultura-.
Secondo Giorgia Meloni, leader dei Fratelli d’Italia, Sana – è vittima di un fondamentalismo tribale, di una cultura da cui non abbiamo nulla da imparare -.
di Francesco Gagliardi