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giggino pellIl mondo è lo stesso per tutti noi e bene e male, trasgressione e innocenza, lo attraversano tenendosi per mano. Chiudere gli occhi di fronte a metà della vita per vivere in tranquillità è come accecarsi per poter camminare con maggior sicurezza in una landa disseminata di burroni e precipizi. Una giovane amanteana ha deciso di raccontarmi com’è vivere nella zona rossa: “docciarsi con l’amuchina, in fila davanti al supermercato con la gente alla riscossa... Fuori di casa meglio non andare urlano tutto il giorno in televisione. Qui fuori come in TV è pieno di untori e di confusione Lavarsi le mani è molto importante come ci insegna Barbara d’Urso”.

Sono in molti a pensare che l’emergenza sanitaria che stiamo affrontando in questi giorni sia la sfida più insidiosa che potesse capitare a una società bizzarra come la nostra. Da dove nasce questo sentire comune? Prima di tutto da una stampa serva, caciarona e religiosa. In genere le spiegazioni che si leggono su questi giornali ruotano attorno a un concetto chiave, quello di “fragilità”. Una fragilità sinonimo dell’attuale analfabetismo. Il vice presidente della Calabria oggi, durante un programma televisivo: "Non abbiamo bisogno di medici missionari africani, non abbiamo bisogno di essere schiavizzati nella nostra sanità”. Si riferiva alla possibilità di avere in Calabria un responsabile della sanità di nome Gino Strada.

L’idea di fondo è che la grande lezione che ci starebbe impartendo l’epidemia del dio Coronavirus è che siamo creature più fragili e analfabeti di quanto pensassimo. Il livello di ignoranza più elevato è quando si rifiuta qualcosa di cui gran parte delle persone non sa nulla. Quando, pur consapevoli del fatto che mancano informazioni e dati, si preferisce mantenere la propria posizione piuttosto che ricercare più elementi utili alla comprensione. Un atteggiamento di questo tipo è il seme dell’intolleranza e dell’assenza del sentire comune di cui tutti, in qualche momento della vita, sono stati partecipi. Tutti dovrebbero essere consapevoli che l’ignoranza più pericolosa è un seme che si incontra sempre sul sentiero della vita. Ma non tutti sanno che si tratta di erbaccia. Stamattina, per caso, mi sono ricordato di alcuni versi poetici letti qualche anno addietro e li ho trovati subito illuminanti per capire la concitata situazione politica che stiamo vivendo. Parlo degli "Ultimi versi" di Giovanni Raboni, scritti sì tra il 2002 e il 2004, ma di una attualità sconvolgente, segno che nulla è cambiato nella scena socio-politica di questa nostra Italia.

Questi versi sono la reazione feroce, precisa, chiara di questo poeta, che non viveva nel mondo incolore, indistinto della contemplazione, dove non ci sono nuvole e tutto è dominato dall’atmosfera dei “tarallucci e vino”, ma viveva in mezzo alla gente e si interessava della vita politica, civile, sociale italiana contemporanea.

Questo intellettuale “engagé", impegnato (per certi aspetti ci fa venire in mente il francese Jean Paul Sartre della Resistenza, ma anche il nostro Pier Paolo Pasolini che non hanno mai pensato di non sporcarsi le mani, di prendere posizione netta contro un certo modo aberrante di concepire e attuare il governo del Paese.

Le parole di Raboni chiariscono e affrescano la trama del tessuto sociale: astuzia, crimine, semplici, complici, mercatino, abuso, libito (capriccio, istinto). Sono tutti concetti che evidenziano una realtà comunitaria fatta di relazioni negative, di disvalori.

Il protagonista principale, dei suoi "Trionfi" è "il cavalier Menzogna", dalla "facciata di gomma o plastica che gli serve da faccia", che regala "una montagna di orologi e bracciali firmati delle più famose gioiellerie…a sudditi e compari…con pacche sulle spalle…mentre si gongola nella villa inaccessibile in compagnia dei grandi della terra". Nel trionfo dell'ignoranza l'unica cosa da notare è "l'invisibile bravura con la quale il Menzogna e i suoi spacciatori mediatici immettono, da vent'anni ogni giorno nelle vene dei sudditi, micidiali microdosi d'oblio."

Il "Menzogna" vuole rifare l'Italia insieme ad alcuni famigerati compagni di viaggio, ai quali di tanto in tanto "impartisce reprimende", estendendole anche agli avversari, spiegando loro "che ricevuta la prescritta unzione uno (uno, s'intende, come lui) diventa ipso facto padrone come se si trattasse d'una villa", dimenticando volutamente, o con un delirio d'onnipotenza, che l'Italia non è proprietà di pochi, ma dovrebbe essere la terra pubblica di tutti gli Italiani anche quella dove sono stati sotterrati negli ultimi mesi quasi cinquantamila di essi senza neanche salutare i propri cari.

Gigino A Pellegrini & G el Tarik

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