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Redazione TirrenoNews

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La notizia è di venerdi mattina, ma abbiamo atteso che venisse confermata dalle autorità di Pubblica sicurezza.

Un fermo è scattato venerdi su Campora San Giovanni, da parte dei Carabinieri di Amantea alla guida del Maresciallo Munafò, per una donna del luogo di 41 anni, imprenditrice ed incensurata, l'accusa, in attesa di giudizio, è pesante detenzione e spaccio di droga oltre che furto aggravato di energia elettrica.

 

La stessa donna, pare che fosse da tempo sotto controllo da parte delle forze dell'ordine, poiché più di un sospetto era in mano alla locale Caserma dei Carabinieri di Amantea.

Cosi venerdi mattina i militari, assieme ai colleghi di Paola, hanno fatto scattare l'operazione di perquisizione alla ricerca di droga e denaro.

 

Dalle operazioni di perquisizione della abitazione della donna e della attività commerciale, dalla stessa gestita, è scaturita anche una denuncia per furto di energia elettrica, poichè i militari hanno trovato una cassetta di derivazione della pubblica energia elettrica modificata e e danneggiata, dalla quale, di fatti, partivano delle diramazioni abusive, considerate,  dai tecnici dell'enel intervenuti, molto pericolose per se e per gli occupanti della abitazione.

 

La donna è stata associata al carcere femminile di Castrovillari, in stato di fermo, alla donna sono stati sequestrati denaro contante per circa €10,000,00 e droga, del tipo cocaina, per circa 3.000,00 euro, sono stati sequestrati anche numerosi cellulari e diverse schede telefoniche, oltre che due bilancini di precisione e materiale di scarto per il confezionamento delle dosi.

 

Dalla conferenza stampa di sabato mattina abbiamo appreso che sono in corso ulteriori accertamenti in merito al fermo della donna, non si escludono, di fatti, nuove misure di perquisizione in abitazioni collegate alla donna ed ai propri contatti.

 

 

 

bimbo
Nella prima fase epidemica, di chiusura totale o quasi, i problemi erano sicuramente molti, ma la condotta era in qualche modo prescritta, non c’era bisogno di fare scelte individuali importanti, c’erano delle regole a cui adeguarsi.

Oggi la situazione è molto diversa, e quello che ci viene costantemente ripetuto è che molto, rispetto alle possibilità di sconfiggere o almeno contenere il virus, dipende dalle nostre scelte individuali, dalla nostra capacità di mantenere le precauzioni necessarie.

Oggi si è abituati a parlare di norme restrittive, lockdown, chiusura dei negozi e delle scuole, ma nessuno ha mai fatto attenzione alla psicologia dei nostri bambini. 

 

In particolar modo, molti sostengono che i decreti non lascino spazio ai giovani, alla loro vita sociale e relazionale.

Questi elementi in realtà sono molto importanti nella loro crescita fisica e psicologica, poiché, se soggetta a variazioni forzate e brusche, l loro psiche può portare a gravi conseguenze.

Tutto è cambiato in quest’anno pieno di paura, condizionamenti e isolamenti.

A risentirne di più sono i più piccoli, i quali sono stati reclusi da ogni possibilità di divertimento e libertà. 

 

Questi due fattori hanno incrementato la voglia, il desiderio, di isolarsi, chiudersi in se stessi e tagliare i rapporti sociali.

Quelle che prima erano attività scontate, per esempio andare a fare la spesa, adesso richiedono una serie di attenzioni che non ci saremmo mai aspettati di dover avere: entrare/non entrare in un negozio affollato, usare/non usare la mascherina, aspettare in coda a quale distanza …

Allo stesso tempo, però, siamo in una condizione di totale incertezza rispetto a quali siano queste precauzioni necessarie.

Dobbiamo prendere delle decisioni, fare delle scelte, senza avere ben chiare quali sono in realtà le regole del gioco 

Decidere quindi è difficile, e dobbiamo riconoscere che decidiamo e decideremo in una situazione di incertezza.

 

Ma è ancora più difficile quando non decidiamo solo per noi stessi, ma anche per altri di cui siamo responsabili, i nostri figli.

Quando, come genitori, decidiamo per i nostri figli, ci assumiamo un rischio, e questo non è facile da affrontare: rischiare noi adulti è un conto, mettere a rischio un bimbo è altra cosa. 

La sensibilità e la percezione del mondo dei bambini sono diverse rispetto agli adulti ed è proprio questo a scaturire reazioni differenti.

Si sa infatti che, se già i più grandi hanno difficoltà a controllare le emozioni, i figli ancor meno.

Pertanto è fondamentale l’appoggio del genitore, unica persona in grado di tranquillizzarlo e stimolarlo.

 

L’educazione genitoriale è sempre stata una delle basi fondamentali per lo sviluppo psicologico, insieme all’esperienza e all’istruzione.

Per questi motivi, è necessario non rifiutare i bambini, non opprimerli o addirittura sopprimerli da qualcosa.

Ciò non significa essere accondiscendenti in tutto, ma ascoltare il bambino, capire e interpretare le sue emozioni.

Aiuta dunque farlo giocare il più possibile, continuare a infondergli sicurezza e protezione. 

 

Non è stato chiarito dal Governo alcun tipo di restrizione circa le passeggiate, all’interno del proprio comune, con i figli: sarebbe quindi un’ottima idea, nelle giuste norme precauzionali, portarli a prendere una boccata d’aria.

Altro elemento sottovalutato, ma decisivo per lo sviluppo psicologico del bambino, è guardare programmi alla tv. 

Informarli su quanto sta accadendo è sempre la scelta migliore da adottare, ma bisogna fare attenzione a non allarmarli.

Spiegare loro come comportarsi è giusto. 

Sono istruzioni semplici, che servono ai figli quotidianamente, ma importanti.

Quindi è importante che il nostro bambino sia consapevole, nel momento in cui prendiamo decisioni qualunque esse siano.

I nostri figli non sono esente da rischi, e sta nella nostra responsabilità di genitori decidere quale rischio è per noi accettabile.

iacucci

Riceviamo e pubblichiamo una nota del Presidente della Provincia di Cosenza, Franco Iacucci.

 

“Poco più di un mese fa avevo lanciato un grido d’allarme su quanto continua ad avvenire nel Mediterraneo: una strage infinita di cui siamo inevitabilmente corresponsabili e di cui dovremo rispondere di fronte alla storia. Se dovessimo raccontare questi anni bui non potremo essere assolti per la nostra indifferenza. 

Abbiamo seguito tutti, in questi giorni, l’ennesima storia del naufragio di un barcone di migranti al largo delle nostre coste: a farne le spese ancora una volta è un bambino troppo piccolo per poter capire che la sua unica colpa era essere nato sull’altra sponda del Mediterraneo. L’unica differenza con i nostri figli o nipoti. 

 

Joseph è l’ennesimo emblema del fallimento delle politiche internazionali, europee e nazionali di gestione dell’immigrazione.  Perché invece con una gestione migliore forse Joseph si sarebbe potuto salvare. Avrebbe potuto avere quella vita migliore che la madre, imbarcandosi, sognava per lui. Avrebbe potuto un giorno giocare con i nostri bambini, andare a scuola con loro, crescere e diventare un uomo. Questa cosa così scontata per molti gli è stata negata. 

Dai registri di bordo che pubblica il quotidiano La Repubblica si evince un buco di quattro ore in cui forse Joseph poteva essere salvato. Infatti, dopo ben tre operazioni di salvataggio, alle 16.00 Open Arms chiede l’evacuazione medica che arriverà soltanto alle 20.15 quando il bimbo di soli 6 mesi era morto da poco. Per questa ragione la Procura di Agrigento ha aperto un’indagine.  

 

Una storia come tante, di soccorsi arrivati troppo tardi ma se si fosse trattato di un bimbo italiano avremmo urlato tutti allo scandalo. Invece, dopo una immediata ondata di commozione per quelle urla strazianti della mamma che cerca il proprio figlio probabilmente anche questa storia verrà dimenticata fino alla prossima tragedia. 

Come dicevo in un’altra nota, nel Mediterraneo stanno morendo le nostre coscienze e forse ad un certo punto smetteremo anche di indignarci o di commuoverci perché tutto questo dramma sta diventando una nuova normalità. E mentre inermi restiamo a guardare un mondo che non difende più gli indifesi, per fortuna c’è Papa Francesco che ci ricorda che abbiamo il dovere di lavorare per trovare risposte adeguate e serie al dramma dell’emigrazione e del traffico di essere umani. 

 

Nella sua telefonata a Biden, Papa Francesco ha espresso la volontà “di lavorare insieme sulla base di una convinzione condivisa nella dignità e nell’uguaglianza di tutta l’umanità” riferendosi ai poveri e ai migranti. Dignità e uguaglianza: due parole patrimonio di una certa storia politica che ormai sentiamo pronunciare soltanto dal Pontefice, quasi si avesse paura dei rigurgiti di odio e di razzismo a prendere posizione chiara e netta sui migranti, a parlare di umanità. 

Un’umanità che, nonostante tutto, riesce ancora a squarciare il buio dell’indifferenza e a trionfare sulla disperazione.

Di ieri, infatti, la notizia che una migrante approdata a Lampedusa ha partorito sull’elicottero del 118 che la stava trasportando ad Agrigento: sia lei che il suo bambino stanno bene grazie anche allo straordinario lavoro del personale medico. In qualche modo, questa notizia, a poche ore dalla tragica morte di Joseph, ci dimostra che un’altra strada c’è ed è percorribile se si lavora tenendo a mente i valori di cui parla Papa Francesco. 

 

Mi auguro che il piccolo nato ieri possa avere la vita che a Joseph è stata negata e che da italiano possa contribuire, un giorno, a costruire un Paese migliore. Ma anche che la comunità internazionale e  l’Europa si impegnino a fare tutto quanto è in loro potere per fermare i conflitti armati e le persecuzioni nei Paesi da cui i migranti fuggono, per realizzare politiche di reale integrazione dei migranti e dei profughi, e di sostegno verso le Ong che quotidianamente salvano vite umane, a volte tra gli insulti, fornendo il necessario alle navi e, sempre, dico sempre, un porto sicuro”. 

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