La letteratura detesta l’ipocrisia. La vita, invece, non può farne a meno.
‘Là giù trovammo una gente dipinta
che giva intorno assai con lenti passi,
piangendo e nel sembiante stanca e vinta’.
Questi tempi di perbenismo e tutela della propria persona a tutti i costi, mi pare che quella degli ipocriti sia diventata una categoria generale, un mare magnum, un canale di scolo: quando qualcuno delude, quando fa scelte impreviste che feriscono, quando mente, quando, insomma, il suo comportamento e i suoi sentimenti sfuggono alla comprensione, allora lo si chiama ipocrita, bollandolo, sigillandolo in uno scatolone e rinunciando a comprendere i suoi perché - e perciò rinunciando a reagire con intelligenza.
A tutti sarà capitato di vedere scritte frasi profonde come "Io odio i falsi e le falsità". La frase per eccellenza di un vero ipocrita è: "Io odio gli ipocriti e le ipocrisie". Sono ovunque. Modi come altri per dire "Io rinuncio a capire".
L'etimologia della parola ipocrita rimanda alla finzione, alla recita. Dal greco: ypo sotto krinein spiegare. Nell'antica Grecia l'ypokrites era l'attore. Ipocrita è l'attore, colui che interpreta una parte, che finge di essere ciò che non è. Quanta ipocrisia nella vita pubblica del nostro Paese, e non soltanto tra i politici di professione!
Seneca aveva le idee abbastanza chiare sull’argomento:“Se vuoi sciogliere del tutto l'ambiguità delle parole, insegnaci che non è felice l'uomo definito tale dalla massa, e che dispone di molto denaro, ma quello che possiede ogni suo bene nell'intimo e si erge fiero e nobile calpestando ciò che desta l'ammirazione degli altri…”.
Si va dal professore universitario che ha (del tutto legittimamente, si badi) accettato di fare il consulente del ministro pro tempore dell'Università e che però continua a scrivere editoriali fingendosi un esperto indipendente, al politico fustigatore del malcostume amministrativo del quale si viene a scoprire un'impressionante serie di piccoli e grandi privilegi ingiustificati e violazioni dell'etica pubblica. Per non parlare dei difensori a parole e a"dichiarazioni" dei cosiddetti valori della tradizione, dalla famiglia alla religione, dei quali la vita e i comportamenti concreti attestano quanto meno una certa difficoltà e tiepidezza nel praticare quei valori.
Oppure, di quei gruppetti di persone seduti in piazza o davanti ad un bicchiere di vino in un qualsiasi “pub” del Sud e nelle case dove è d'obbligo far mostra di solidarietà a poveri e immigrati, salvo disinteressarsene completamente quando uno di questi bussa alla propria porta.
Le persone sono consapevoli della possibilità di dare l'impressione agli altri della propria ipocrisia, di essere immorali su altri che osservano una discrepanza tra il loro comportamento effettivo e un livello morale dichiarato; quindi, sotto la pressione della gestione delle impressioni, un individuo può inibire la propria ipocrisia di fronte ad altri.
Guarire dalla “vera” ipocrisia non è facile, in quanto suppone un freddo ed intelligente calcolo, il possesso di notevoli qualità personali che costituiscono una tentazione all’ambizione e alla presunzione. Inoltre un atto ipocrita proprio perché legato ad una lucida autocoscienza, comporta una forte volontà e tenacia, la quale aumenta l’orrore. L’orrore come quello del “folle” Kurts in Cuore di Tenebra del Polacco Joseph Conrad.
Gigino A Pellegrini & G elTarik