Tristemente in questi lunghi mesi di post-pandemia ho scoperto che un considerevole numero di Amanteani fa parte, anche senza saperlo, della fabbrica degli ignoranti, cioè di quell'insieme di persone che ha tutto l'interesse a tenere per sé stessi le nozioni apprese nel corso degli anni, e a far apprendere agli altri esattamente l'opposto di quello che si ritiene utile per sé stessi.
E' la tecnica della bugia, dell'imbroglio, della truffa, dell'inganno. Il che mi porta a dire che in questi tempi di menzogna universale, dire la verità può diventare un atto rivoluzionario e dunque pericoloso per il sistema.
Ho una gran voglia di chiedere ai bugiardi e ai loro seguaci ignoranti, cosa pensano della verità. La potenza della menzogna è evidente e andrebbe semplicemente riconosciuta. Spesso invece noi ci aggrappiamo alla menzogna della “forza della verità” e ci rifiutiamo di ammettere la verità della “forza della menzogna”.
La forza della menzogna risiede nel suo potere di ricreare la realtà, di plasmarla a piacimento, di manipolare altre persone inducendole a credere e a fare ciò che noi vogliamo in base alle nostre menzogne. L’uomo sente il proprio potere molto più mentendo che dicendo la verità, che attenendosi alla faticosa e opaca adesione e corrispondenza tra le parole e i fatti. Grazie ai bugiardi che hanno sparso la notizia in tutto il mondo attraverso i media, Amantea è diventata “razzista” e “mafiosa”.
Per allontanarmi da questa dura realtà in Calabria, ho fatto un breve viaggio a Salerno dove proiettavano un piccolo grande film americano dal titolo: Leave No Trace “Senza lasciare traccia” della 55enne regista americana Debra Granik. Il film si sviluppa in una foresta dell’Oregon. Nel bosco, ben attenti a non farsi infastidire, vivono tranquilli Will e Tom: lui è un ex militare statunitense affetto da stress post-traumatico, rimasto vedovo; lei, nonostante il nome che suona maschile, è la figlia adolescente, cresciuta in quella che gli americani chiamano “wilderness”, ma abbastanza colta per la sua età.
Padre e figlia vivono in autarchia nella foresta. Due persone intrecciate e profondamente agganciate l’una all’altra fino a fondersi e a volte confondere le loro posizioni relazionali esplorando al massimo il concetto di autosufficienza. Dal vivere in città si riconoscono alcuni oggetti ma utili, coltelli, sacchi a pelo, una tenda a ridosso di una piccola grotta per ripararsi, pentole, un fornello a gas, anche una doccia artigianale. Ogni tanto scendono in città per rifornirsi di cibo, Will vende ad altri reduci gli psicofarmaci che gli passa il governo, e se ne tornano tra gli alberi. Finché non vengono scoperti, un po’ per caso.
Limitando il più possibile i loro contatti con il mondo moderno, padre e figlia formano una famiglia atipica e molto unita. Quando vengono costretti ad abbandonare il loro rifugio, ai due vengono offerti una casa, una scuola e un lavoro. Tuttavia, mentre il padre fa fatica ad adattarsi, Tom scopre con curiosità la nuova vita. È forse giunto per lei il tempo di scegliere tra l'amore filiale e questo nuovo mondo che la sta chiamando.
La “traccia” il film l’ha lasciata nel mio animo mentre me ne tornavo pensieroso verso la Calabria. A far capolino nella mia ormai poca memoria servì l’aiuto di un forte temporale sulla Salerno- Reggio Calabria che sollecitò ciò che Shakespeare scrisse nella sua “Tempesta”: "Vuoto è l'Inferno" Tutti i demoni sono qui!"
Gigino A Pellegrini