Mario Aloe, autore de La fine di non sogno risponde sui temi e il carattere del suo romanzo edito da Mannarino.
Il suo romanzo descrive la precisa realtà storica della sua terra di origine, cosa o chi hanno ispirato tale argomento?
Il romanzo è nato nei mesi precedenti la celebrazione dei 150 anni dell’Italia unita e in un momento di forte contestazione da parte della Lega Nord dello stato unitario.
I personaggi vengono dal sud perché è necessario mettere in risalto il ruolo avuto dai meridionali nella costruzione dello stato unitario. La mia città, la Calabria il Regno delle Due Sicilie in cui si svolge l’azione del romanzo hanno rappresentato per tutto un periodo il tentativo di tanti italiani di farsi nazione.
Quanto è importante per lei documentarsi su fatti realmente accaduti?
I personaggi principali sono invenzione letteraria ma la scena e i fatti raccontati il più delle volte sono reali e nella quasi totalità verosimili. Allora la ricerca diventa necessaria: occorre sentire l’epoca, conoscerne i costumi, vederne le strade, avere negli occhi i vestiti, sentire nelle orecchie il suono della musica colta e popolare e nelle papille il gusto dei cibi. Alla base del romanzo vi è infatti una ricerca minuziosa, basti pensare al salotto, al suo arredamento, ai giochi e agli intrattenimenti.
Nel romanzo lei ha inserito molti dialoghi in dialetto calabrese, ritiene dunque che il dialetto sia un’espressione linguistica da non perdere nella nostra narrativa contemporanea?
Sì penso che il ritorno del dialetto sia importante e dia linfa nuova al racconto. I mezzi di informazione e di intrattenimento hanno uniformato i costumi ma non cancellato l’idioma. Gli uomini e le donne diventano reali, sono legati così alla terra e hanno un passato mentre agiscono nel presente.
Quanto influisce la propria ideologia politica nella stesura di un romanzo?
Appartengo ad una generazione che ha vissuto l’ideologia come mezzo per cambiare il mondo: ora questo modo di pensare è residuale. Tuttavia, quello che penso, il modo di affrontare le cose, il desiderio di giustizia sociale, l’inorridire per l’iniquità, condividere il disagio e il dolore influiscono sui personaggi del romanzo. Anche i dubbi e le incertezze, insomma le cose non risolte hanno avuto dei risvolti nei protagonisti. Il romanzo è un racconto, una storia che lo scrittore vede per gli altri e mentre la racconta percepisce le emozioni dei lettori.
A quale fascia di lettori consiglierebbe il suo romanzo?
Non ho un riferimento specifico e la domanda per la prima volta mi mette di fronte ad un dilemma: il romanzo è adatto alla lettura di tutti? Non lo so. Il libro potrebbe essere utile nelle scuole superiori per una rilettura della storia, penso proprio che il luogo idoneo sia quello.
Nell’eventualità di progetti letterari futuri, a quale genere di narrativa preferirebbe dedicarsi?
Mi piace il noir, le sue tinte fosche, il raccontare la vita mentre le forze eterne che agitano l’animo umano entrano in azione: avidità ed altruismo, amicizia ed odio, amore e separazione. Sì, mi piacerebbe scrivere un noir sulla crisi. Un mondo di difficoltà, i beni da consumare che diminuiscono, i sogni dorati delle tv che si strappano e sul fondo e dietro la scena i potenti, coloro che amano il potere e consumano la vita degli altri.