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Nell'anniversario della scomparsa dell'ufficiale della capitaneria di porto di Reggio Calabria, nuovi studi fanno luce sulle deleghe di indagine che De Grazia portava con sé la notte che è morto

Di Andrea Carnì Dottorando in Studi sulla criminalità organizzata, università di Milano

 

La notte tra il 12 e il 13 dicembre del 1995 l'ufficiale della capitaneria di porto di Reggio Calabria Natale De Grazia è in viaggio con due colleghi verso il Nord Italia. 

Il capitano di corvetta De Grazia ha con sé la sua valigetta nera: all’interno, deleghe di indagine firmate dal sostituto procuratore di Reggio Calabria Franco Neri e dal procuratore Francesco Scuderi, il giorno prima, per indagare sulle cosiddette "navi a perdere". 

De Grazia, però, non arriverà mai a destinazione: il viaggio si concluderà presto, all’ospedale di Nocera Inferiore (Sa), sotto la pioggia battente, dove il capitano morirà inaspettatamente, dopo la cena in un ristorante a Campagna.

Da allora molte pagine sono state scritte su questa vicenda: indagini giudiziarie, inchieste giornalistiche, persino una relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti.

Dopo venticinque anni di silenzi, depistaggi e inchieste interrotte, rimangono ancora molte le domande senza risposta: cosa accadde quella sera?

Quale sarebbe dovuta essere la prima destinazione di quel viaggio?

De Grazia è morto di morte naturale, come riferito nelle prime due autopsie della dottoressa Simona Del Vecchio; per cause tossiche, come scritto nel 2012 dal dottor Giovanni Arcudi per conto della Commissione parlamentare; o fu pestato e torturato, come ipotizzato negli ultimi anni?

E ancora: quante erano le deleghe e cosa contenevano? Almeno a questa domanda, grazie alle ricerche che ho avuto modo di condurre negli ultimi mesi, ora possiamo rispondere con certezza.

Il capitano Natale De Grazia

Natale De Grazia è un uomo con la schiena dritta.

Nato a Catona (Rc), dopo aver prestato servizio in Libano durante la guerra civile, a Vibo Valentia, Reggio Calabria e Carloforte (Su), ritorna a Reggio Calabria. Mentre presta servizio alla Capitaneria, nei primi mesi del 1995 il sostituto procuratore di Reggio Calabria Franco Neri richiede la sua presenza.

Dal marzo 1994, Neri coordina le indagini su traffici di rifiuti e affondamenti di navi con carichi sospetti nel Mediterraneo. “Navi a perdere”, così le ha chiamate un indagato. Un sistema di occultamento di rifiuti pericolosi e radioattivi tramite affondamento doloso delle navi che li trasportano.

Serve un uomo di mare, qualcuno che sappia leggere rotte e bolle di carico.

Qualcuno che capisca ciò che menti raffinate non lasciano trapelare dalla documentazione marittima.

De Grazia accetta e inizia a collaborare con la procura.

In poco tempo le indagini subiscono un’accelerazione.

Perquisizioni, interrogatori e documenti provenienti da servizi segreti e da altre procure consentono di mettere a fuoco quello che, secondo l’accusa, è a tutti gli effetti un grosso traffico di materiale nucleare.

Non solo scorie ma materiale riutilizzabile.

Accelera l’indagine e nascono i primi sospetti, le prime tensioni. I magistrati notano di essere seguiti. Qualcuno sta loro con il fiato sul collo.

Secondo alcuni, c’è una talpa all’interno della procura, qualcuno che fa il doppio gioco. Persone vicine al capitano De Grazia raccontano di suoi dubbi su un collega, il maresciallo Domenico Scimone, punto di congiunzione tra il pool e due ufficiali del Sismi (il Servizio per le informazioni e la sicurezza militare, ora Aise, Agenzia informazioni e sicurezza esterna, ndr) che lavoravano nella stanza accanto. Forse anche per questo in pochi sanno di quella missione, l’ultimo viaggio di Natale De Grazia.

Le prime cinque deleghe

È la procura di Paola (Cs) a porre per prima, nel 2005, il problema: quante sono le deleghe?

Un quesito motivato dal fatto che, il 26 aprile di quello stesso anno, il Nucleo operativo del comando dei carabinieri di Reggio Calabria invia un totale di cinque deleghe di indagine, sebbene lo stesso comando, pochi giorni dopo la morte, ne segnali sei.

Qualche anno più tardi, la Commissione rifiuti liquida la questione segnalando la presenza di sei deleghe – non cinque – e dedicando poche righe a ognuna di esse, senza trarne nulla di rilevante. 

L'11 dicembre del 1995, il sostituto Neri e il procuratore Scuderi sottoscrivono sei deleghe di indagine a cui, per semplificare, affideremo un numero. 

La n. 1 e la n. 2 sono indirizzate al procuratore di Salerno: nell'aprile del 1994 un container con tracce di torio si spiaggia e viene posto sotto sequestro dalla procura di Salerno.

Con queste deleghe Nicolò Moschitta – il maresciallo in viaggio con De Grazia e il carabiniere Rosario Francaviglia – ha il compito di acquisire la documentazione inerente alle indagini in questione. Il torio è un elemento radioattivo prodotto dal decadimento dell'uranio, proprio quel materiale che, in tempi passati, veniva lavorato presso l’Impianto Itrec Enea di Trisaia di Rotondella (Matera) e su cui erano finite le indagini di Neri e di Nicola Maria Pace, procuratore di Matera. 

Alcuni rifiuti presenti sulle navi dei veleni dirette in Libano

Con la n. 3 e la n. 4 si richiede al procuratore di La Spezia di autorizzare Claudio Tassi della polizia giudiziaria – che il 13 dicembre avrebbe dovuto ricevere Natale De Grazia e i suoi colleghi a La Spezia – a svolgere le indagini delegate per conto della procura di Reggio Calabria. La delega n. 4 è particolarmente criptica o, forse, fin troppo esplicita. Si legge di indagini "già concordate" che si sarebbero dovute svolgere anche "fuori sede", ovvero lontano da La Spezia. Forse l’attenzione si era spostata su Napoli, porto in cui nel dicembre del ‘90 si potrebbero essere incrociate le navi Cte. Rocio – poi affondata – e Rosso – poi spiaggiatasi.

Con la n. 5 Moschitta è incaricato di interrogare Cesare Cranchi, residente a Pianello del Lario, in provincia di Como. Quest'ultima destinazione, spesso dimenticata, avrebbe consentito di interrogare un soggetto che ha intrattenuto rapporti commerciali e societari con il principale indagato, l'ingegnere Giorgio Comerio. I documenti provenienti dal Sismi consentono di notare come l'ottava divisione fu informata in merito agli affari portati avanti da Comerio sul finire degli anni Ottanta, da una fonte confidenziale: Cesare Cranchi?

La sesta delega: quale ruolo per il Capitano?

Non può passare inosservato come in nessuna di queste cinque deleghe compaia il nome di De Grazia. Stando a quanto detto dal compagno di viaggio Scimone, lui e non De Grazia avrebbe dovuto compiere quel viaggio. Il maresciallo Scimone racconta che solo la mattina del 12 dicembre – quindi dopo la compilazione delle deleghe ma prima della partenza – De Grazia gli avrebbe telefonato per dirgli che preferiva andare lui a La Spezia, trattandosi di elementi di indagine in cui servivano conoscenze tecniche nel settore marittimo.

Eppure, nella delega n.6 – quella non presente nel plico inviato dai carabinieri di Reggio Calabria e diretta al presidente della sezione penale del tribunale di La Spezia – si chiede di autorizzare De Grazia e Moschitta a prendere visione ed estrarre copia degli atti del procedimento relativo all’affondamento della nave Rigel, avvenuto il 21 settembre 1987. Un affondamento su cui, ad oggi, non vi sono certezze.

Le deleghe sono redatte l’11 dicembre per cui è possibile affermare che i procuratori di Reggio Calabria avessero espressamente richiesto la presenza di Natale De Grazia a La Spezia. De Grazia avrebbe dovuto compiere e portare a termine quel viaggio.

Di questo, oggi, siamo certi grazie al ritrovamento e all’attenta lettura di questa sesta delega. Pertanto, Scimone avrebbe reso informazioni false o, quanto meno, inesatte. 

Importanti quesiti, urgenti risposte

Il procuratore Pace ha riferito in Commissione rifiuti di aver sentito De Grazia la mattina del 12 dicembre e che lo stesso gli avrebbe riferito che “con una delega di Neri” si sarebbe dovuto recare “prima a Massa Marittima e poi a La Spezia” e che, al rientro, lo avrebbe aspettato a Reggio Calabria per portarlo sul punto esatto in cui era affondata la Rigel.

Ma dov’è la delega che fa riferimento a Massa?

Stranisce, inoltre, la sistematica trascuratezza riservata alla testimonianza di Cranchi consolidatasi nel corso degli anni nella narrazione comune, portando a dimenticare quella meta.

Se le deleghe consentono di puntellare lo scenario, di contro mettono alla berlina l’assordante silenzio che ruota attorno a esse. È oramai inderogabile fare luce su ciò che in quelle deleghe non è stato scritto, ciò che era stato “già concordato”. Chiarire ciò che accadde nel maggio del 1995 a casa di Gerardo Viccica e sapere con quali persone del Sios (il Servizio informazioni operative e situazione, un'articolazione dei servizi segreti italiani, ndr) si sarebbe incontrato Natale De Grazia. Su alcune domande ha di recente provato a fare luce anche Nuccio Barillà nell’ultimo rapporto Ecomafia.

È possibile declassificare in toto la documentazione prodotta più di trent’anni orsono dal Sismi, dal Sisde (il Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica, oggi Aisi, Agenzia informazioni e sicurezza interna, ndr), dal Comando generale della guardia di finanza, dal Sios e da tutti gli organi che prestarono attenzione all'ingegnere Comerio e alle navi a perdere.

È possibile, oltre che necessario, porre fine a quella lunga notte tra il 12 ed il 13 dicembre del 1995.

Una delle notti buie della democrazia italiana.

Pubblicato in Calabria

La stampa locale in questi giorni "approfitta" delle dichiarazioni del commissario straordinario alle discariche abusive, il generale dei carabinieri Giuseppe Vadalà, rese alla Commissione bicamerale sulle ecomafie a Roma.

Ma che cosa ha detto il generale Vadala nominato commissario a marzo 2017?

Ha detto che:

In 22 mesi di attività le discariche abusive in procedura di infrazione sono passate da 80 a 52, con altre 8 già bonificate al vaglio della Commissione europea.

La multa semestrale pagata dal nostro Paese è scesa da 42,8 milioni di euro a 11,6 milioni di euro. "Stiamo lavorando almeno su 20 siti al momento di cui 10 da chiudere entro il 2 giugno 2019 e 10 entro il 2 dicembre 2019, con l'obiettivo di lasciare altri 24 siti al 2020 e 2021".

Si tratta, ha spiegato, di discariche abusive nate tra gli anni Sessanta e Ottanta, quando "le amministrazioni comunali, non sapendo come smaltire bene questi rifiuti, li gettavano dalla sommità delle colline negli alvei torrentizi, o li lasciavano in depositi temporanei".( tra queste quella dell’Oliva…ed altro)

Quanto è vero anche se non tutte sono state censite e valutate!

"Abbiamo inviato 19 informative all'autorità giudiziaria (presto saranno 20) e fatto un protocollo con la Direzione nazionale antimafia, che su tre di queste sta svolgendo approfondimenti .

Dagli 80 siti assegnati, 28 sono fuoriusciti, a cui speriamo se ne aggiungano presto altri 8. Se tutto va bene, rimarranno 44 siti".

Dopo questa confusone di dati, ahimè il commissario Vadalà avrebbe detto che la struttura commissariale sta lavorando su casi particolarmente critici come la discarica di Amantea, in Calabria, dove è stato smaltito il carico trasportato dalla nave a perdere Jolly Rosso: "Questa struttura commissariale non può non mettere in atto tutto quello che è nelle sue possibilità per capire cosa è stato effettivamente smaltito nel sito - ha detto il commissario -.

Amantea è attenzionata anche con il coinvolgimento della procura, su questo sito in particolare chiediamo una speciale attenzione da parte della Commissione “

“Bernimiachibuogliu”! Impossibile non “junnarsi”sulla povera Amantea!.

Quello che ci sembra strano, come abbiamo già scritto, è che si dimentichi che il materiale della Jolly Rosso più o meno legittimamente venne fatto scaricare a Grassullo( su questo nessuno ha mai voluto indagare) e che la bonifica della discarica di Grassullo è, almeno teoricamente , stata finanziata e , quindi, in corso.

Strano che la struttura commissariale non l’abbia elencata tra quelle da definirsi entro giugno-dicembre 2019( come faranno non si sa!)

Tanto per gradire e per amore di verità!

Pubblicato in Primo Piano

La vicenda è sempre la stessa; quella del Fiume Oliva.

Il geologo è Giovanni Michele Vizziello che è il direttore tecnico della Tomao Abele Trivellazione srl.

 

La Tomao Abele Trivellazione è la ditta che ha eseguito per conto dell’Ispra la caratterizzazione del fiume Oliva.

Il tutto è compreso nel processo che si sta svolgendo in Corte d'Assise a Cosenza.

 

Il dr Vizziello ha confermato la presenza di fanghi industriali nelle profondità del terreno del fiume Oliva.

Il tecnico è arrivato insieme a due suoi colleghi della società Materana che, però, non sono stati ascoltati in aula, ed ha “ripercorso quel lavoro minuzioso svolto per conto dell'Ispra che ha consentito di scoprire l'altissimo livello di contaminazione raggiunto nella vallata”.

In aula per l'accusa, il pm della Procura di Paola Sonia Nuzzo

 

Per la difesa i legali dei cinque imputati – l'imprenditorie edile Cesare Coccimiglio e altri quattro possessori di terreni nella vallata, tutti accusati, a vario titolo, di aver causato tra l'altro il disastro ambientale della zona e la morte in seguito ad avvelenamento delle acque.

Alcuni avvocati delle parti civili.

Il presidente della I sezione della Corte d'Assise di Cosenza Giovanni Garofalo ha aggiornato l'udienza al prossimo 17 novembre quando sarà sentito un altro testimone dell'accusa.

E successivamente ancora la udienza del 1° Dicembre.

Nessuna conferma invece della grande massa di rifiuti solidi urbani indifferenziati sversati nel letto del fiume come affermato dal geometra di Aiello calabro.

Quasi contemporaneamente si ha modo di leggere che Paola ( posta a metà strada tra la Cunsky cetrarese e la Jolly Rosso camporese) sarebbe la città dove i tumori imperversano in modo incredibile, quasi fossero “figli” di qualche “virus”, e che il misterioso fenomeno delle spiagge rosse si amplia.

Non solo ma, altro paradosso, nel mentre il presidente dei geologi calabresi Francesco Fragale “non esclude” l’origine naturale del fenomeno si ha anche modo di leggere che il fenomeno delle spiagge rosse inizialmente localizzato tra Fuscaldo e Paola, “ora il fenomeno si sarebbe allargato alle spiagge a sud del centro tirrenico. In particolare nell'area limitrofa al torrente Deuda che separa la cittadina tirrenica da San Lucido”. Quasi come se la sabbia asportata da nord si sia naturalmente portata a sud( chissà dove arriverà se vera questa ipotesi!)

Il geologo ha dichiarato infatti: “Non mi sento di escludere l'origine naturale del fenomeno. Anche se per avere certezza della vicenda occorrerebbero esami ancora più approfonditi sia petrografici che mineralogici”.

Poi ha aggiunto che in via teorica “la colorazione della spiaggia possa essere generata da un processo di ossidazione dei minerali” ed ha ricordato come “il vanadio, ma soprattutto il cobalto siano presenti nelle rocce metamorfiche dell'Appennino Paolano” e come “queste sostanze possono esser rilasciate in natura attraverso processi di diluizione delle rocce”.

Nè aiutano gli accertamenti fatti dall’Arpacal su disposizione della procura di Paola da tempo attenta alla vicenda.

Nel 2013 infatti erano stati registrati “ eccessi di concentrazioni di metalli pesanti (cobalto, vanadio, cromo totale e stagno) mentre ad una successiva analisi sono risultati con valori normali”.

Le analisi di oggi evidenziano invece che “ due elementi – il cobalto e il vanadio” sono stati trovati nella sabbia in “parametri più alti del limite di legge”.

Una sabbia ed un inquinamento flessibile, allora? Addirittura naturale?

No! Non basta , anzi c’è chi ricorda che se si esclude il vanadio ( usato nelle leghe di acciaio) il “ cobalto si presta a preoccupazioni molto allarmanti. Basti pensare che il 60Co, radioattivo, è un potente emettitore di raggi gamma, pertanto l’esposizione ad esso aumenta il rischio di cancro. Ingerito, viene eliminato dai tessuti solo lentamente”.

E sulla base di questi allarmi resta attuabile l’ordinanza del 18 marzo 2015 adottata dal sindaco di Paola Basilio Ferrari che ha interdetto al pubblico l’area demaniale (zona nord arenile) a margine del Torrente Regina e fino al Torrente Laponte, a causa dell’inquinamento della spiaggia”.

Pubblicato in Paola

La Boldrini annuncia che “Dopo la Terra dei fuochi cominceremo a desecretare anche le navi dei veleni !” «Sulle "navi dei veleni" ho ricevuto pochi giorni fa una richiesta da parte di Greenpeace e dei Verdi e ho sottoposto immediatamente la questione all'ufficio di presidenza, dove è stato condiviso da tutti l'avvio di una procedura per togliere il segreto sul più alto numero possibile di documenti in materia».

Poi continua aggiungendo che :

“Non so cosa avesse impedito precedentemente di avviare un percorso di trasparenza. Quello che so è che oggi la questione è assolutamente decisiva per la credibilità delle istituzioni: se vogliamo provare a ripristinare un rapporto di fiducia coi cittadini, è indispensabile togliere il velo del segreto ogni volta che sia possibile e giusto».

Ed ancora evidenzia che:

“I documenti di cui parliamo sono essenzialmente atti che le Commissioni parlamentari di inchiesta hanno acquisito da altre autorità, che li hanno trasmessi con il vincolo di riservatezza o segretezza. Per togliere il segreto dunque dovremo interpellare loro affinché possano rimuovere o confermare il vincolo».

Per gli altri atti o documenti «prodotti dalle Commissioni stesse, e poi sottoposti al cosiddetto "segreto funzionale" si potrà procedere alla loro desecretazione una volta verificato che ciò non intralci l'attività di altri organi dello Stato, a esempio inchieste giudiziarie in corso”.

Concludendo l'intervista al Manifesto , la Boldrini assicura che:

“La presidenza farà tutto quello che si renderà necessario perché il cammino che si è intrapreso vada a buon fine, nel rispetto delle regole dettate dal nostro ordinamento e delle competenze degli altri soggetti istituzionali coinvolti”.

Ovviamente la presidente della Camera Laura Boldrini che ha già desecretato gli atti sulla Terra dei Fuochi chiude evidenziando che la desecretazione potrà avvenire anche in modo frazionato man mano che arriveranno le risposte richieste.

Potremo sapere così più di quanto sappiamo oggi: basterà andare a leggere, ma occorrerà andare a leggere!

La sala consiliare di Amantea è piena ( vedi foto media ) come raramente in altre occasioni valutate da taluni come “passerelle politiche”.

Ci sono diversi sindaci, tra i quali identifichiamo senza un posto privilegiato quello di Longobardi( Giacinto Mannarino) , quello di Fiumefreddo Bruzio( Vincenzo Aloise) , quello di Fuscaldo (Gianfranco Ramundo ). Non abbiamo scorto quello di Belmonte Calabro, di falconara Albanese, di San Lucido,di Paola.

Nella sala molti titolari di titolari di aziende di prodotti ittici, di pescatori, di Lidi Balneari, di ristoranti, di alberghi, di esercizi pubblici, e poi commercialisti, tecnici, bancari.

Tra politici Antonio Rubino, Franco Chilelli, GB Morelli,Mario Pizzino, Biagio Miraglia, oltre, ovviamente, Monica Sabatino e Pasquale Ruggiero.

Ed ecco che arriva Michele Trematerra.( nella foto piccola)

Un buon intervento il suo. Conciso, tecnico, politico. Colpiscono alcune sue parole, quali quelle che ricordano la vicenda della Jolly Rosso che ha inopinatamente distrutto l’immagine di Amantea, quella che era in quel tempo se non “La Perla del Tirreno”, una delle poche perle del tirreno( da qui il nome del GAC) così che il GAC stesso deve essere inteso come una occasione che aiuti la città a superare una vicenda che senza alcuna giustificazione reale ne ha fortemente indotto la perdita di un futuro che si prospettava roseo e che tale non è certamente stato.

Una affermazione forte che merita di essere ascritta ad uno dei pochi politici regionali che conoscono la verità della Jolly Rosso e che la affermano.

An che se il GAC non dovesse sortire i risultati che taluni attendono questa coraggiosa presa di posizione ripaga la città.

Pubblicato in Primo Piano

Diffamazione a mezzo stampa. Questo il reato per il quale è indagato Lucio Cortese , segretario del circolo di Rifondazione comunista di Paola.

La storia è sempre quella della Jolly Rosso arenatasi sulla spiaggia di Coreca la nota frazione balneare turistica di Amantea e l’elemento scatenante le dichiarazioni rese su tale fatto.

La denuncia è stata presentata dalla società armatrice della nave, l’Ignazio Messina.

Con la stessa imputazione è indagato anche Francesco Saccomanno, che fa parte del comitato regionale di Rifondazione.

In una nota stampa, dell'agosto del 2009, avevano scritto sullo smaltimento di materiale tossico e radioattivo.

Lucio Cortese ha commentato: “Evidentemente hanno inteso creare problemi anche ad altri compagni, insieme a quelli che già sono stati fatti oggetto in passato di azioni di questo tipo; è una manovra a chiaro sfondo politico. A parte le considerazioni di carattere politico che lasciano bene intendere in quale direzione si vorrebbe colpire, e lo comprendo benissimo dal loro punto di vista, mi chiedo cosa è accaduto in questi ultimi quattro anni che ha indotto questi signori a prendere posizione proprio adesso. Evidentemente vogliono rifarsi una verginità innanzi a una opinione pubblica, e alle popolazioni calabresi, che si sono fatti, comunque, una idea precisa – ha concluso il segretario del Prc – che è figlia di un comune sentire. Staremo a vedere che cosa accadrà e, per quel che mi riguarda, sono fiducioso”.

 

Pubblicato in Basso Tirreno
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