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L’angolo del passato: i lavatoi comunali

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vascheLe vasche pubbliche quando ancora nelle nostre case l’acqua non era arrivata e le lavatrici non erano ancora state inventate, erano molto frequentate. Furono costruite in località Pantani e che noi chiamiamo Quattrocanali nell’anno 1898 ed una lapide ne ricorda anche l’anno di costruzione. Erano tante le donne di San Pietro in Amantea che al mattino giungevano ai Quattrocanali con il loro grande cesto in testa pieno di panni da lavare. Dopo averli insaponati e lavati per bene, li risciacquavano e poi li strizzavano per poter togliere più acqua possibile. Poi con le loro ceste sulla testa ritornavano nelle loro abitazioni e spandevano il bucato. Il lavatoio comunale, simbolo del lavoro femminile e della cultura di una intera comunità, è stato restituito di recente a nuovo splendore, grazie ad un intervento di manutenzione straordinaria eseguita dall’Amministrazione Comunale. E’ stata costruita una tettoia in legno. Il lavatoio presenta tre vasche di contenimento dell’acqua, due più grandi per il lavaggio dei panni e una molto più piccola per il risciacquo. L’ampiezza delle vasche consentiva il lavoro contemporaneo di più donne, però durante l’inverno, non essendo coperte, non offrivano riparo dal freddo e dalle intemperie. Le vasche sono alimentate da 5 fontane che sia d’inverno che d’estate permettevano alla popolazione locale non solo di lavare i panni, ma anche attingere acqua potabile molto fresca. Lo scolo dell’acqua serviva poi per irrigare i terreni circostanti. Il lavatoio, specialmente durante i mesi estivi, era frequentatissimo. Era un luogo di aggregazione sociale soprattutto per le donne, dove le ragazze da marito si scambiavano opinioni e pettegolezzi. Gli uomini non frequentavano il lavatoio. Erano addetti ai lavori dei campi. In alcune regioni d’Italia era proibito agli uomini avvicinarsi ai lavatoi quando c’erano le donne. (Vedi foto scattata a Tivoli). Esso, ormai, ha perso la sua funzione originaria di “lavanderia all’aperto”, di approviggionamento di acqua potabile, di eventuale abbeveratoio per gli animali. I panni ora si lavano con la lavatrice e non più a mano. Non c’è più bisogno di andare con i barili e i cannatielli a rifornirsi di acqua potabile. L’acqua l’abbiamo in casa. L’abbeveratoio non serve più, perché non ci sono più animali domestici che vengono allevati nel nostro territorio. Asinelli, mucche, capre, pecore, animali completamente scomparsi. Le mandrie di Felice e don Micu e di Peppino Rende sono solo ricordi del passato. Ora l’acqua potabile, sin dal 1970, raggiunge tutte le case del nostro paesello e negli ultimi tempi anche quelle delle nostre contrade. Le lavatrici elettriche hanno trasformato le nostre abitudini. I panni si lavano in casa e le donne possono dedicarsi ad altre occupazioni meno gravose. Così i lavatoi comunali sono diventati ormai solo luoghi di storia e di memorie. Non hanno più nessuna funzione e quindi sono stati abbandonati alla loro sorte. Oggi ai Quattrocanali non ci va più nessuno, nei lavatoi non si sente più il vivace chiacchierio delle donne intente al lavoro. Vi regnano sovrane la quiete e il dolce mormorio delle acque.

Tantissimi anni fa per lavare i panni venivano utilizzate anche le “cibbie”. E nel nostro paese ce ne stavano parecchie, specialmente nelle contrade. Le acque delle cibbie venivano usate principalmente per irrigare i terreni. Certe volte, però, i proprietari permettevano alle donne di fare uso delle acque anche dietro un piccolo compenso o scambio di favore. L’acqua potabile nel nostro paese è arrivata nel 1900. Prima di allora le donne o andavano ad approviggionarsi ai Quattrocanali o nelle fontanelle di campagna. L’acqua è stata incanalata tramite una condotta idrica dalla sorgente di Piè dei Timpi ed alimentava soltanto tre pubbliche fontane. Venne costruita una grande fontana in Piazza IV Novembre, una volta non si chiamava così, avente anche un abbeveratoio per gli animali. C’era il divieto assoluto di usare la fontana per altri usi e di usare l’abbeveratoio per lavarvi i panni e la verdura. Coloro che venivano sorpresi a lavare nella vasca erano puniti severamente. La Guardia Municipale don Nicola Coscarella, molto ligia al proprio lavoro, elevò la prima contravvenzione alla propria consorte Rosalia Presta. Le acque superflue, poiché le fontane erano sempre aperte giorno e notte, venivano convogliate attraverso canaloni nelle cibbie di Terramarina. Nelle altre due piazze del paese c’erano altre due fontane, molto più piccole e non caratteristiche come quelle di Nmienzu u Largu.Una in Piazza Municipio, ora Piazza Pietro Mancini e un’altra Nmienzu u Puritu, Piazzetta Margherita. Le acque di Nmienzu u Puritu venivano convogliate nella cibbia di donna Irene Luciani, quella di Piazza Municipio conosciuta anche come Nmienzu a Chiazza nella cibbia di don Lisandro. La cibbia di don Lisandro, molto capiente,non esiste più. E’ stata demolita per consentire la costruzione della strada comunale che va da Piazza Madonna delle Grazie a Piazzetta Margherita. Quella di donna Irene esiste ancora, però senza più acqua. E’ completamente abbandonata. Le acque reflue vanno a finire nella fognatura comunale costruita nel 1948 dall’Amministrazione democristiana, Sindaco l’Ins. Carratelli Nervi Ines, una delle prime donne ad occupare incarichi istituzionali in Italia. La domestica di donna Irene, Teresa Marano, non voleva che le donne del paese, specie quelle a lei invise, andassero a lavare i panni sporchi nella cibbia di Terramarina. Infatti, diverse volte, attraverso bandi pubblici, invitava la gente a non andare a lavare i panni nella cibbia altrimenti avrebbe preso severi provvedimenti. Un bando pubblico che mi è rimasto in mente recitava così:- Nessuno jisse a lavare i panni alla cibbia e Terramarina e donna Irene. U primu che ci piscu u puortu alla Pretura da Mantia. E nun c’è riguardu ppe nessunu-. Donna Irene, però, che era davvero una gran signora, permetteva a tutti di andare a lavare i panni nella sua cibbia. Bastava soltanto farglielo sapere in anticipo. Non ha detto mai di no a nessuno.

Il 23 agosto 1901, mentre in San Pietro in Amantea si svolgeva l’annuale fiera di merci e bestiame di San Bartolomeo Apostolo, in Piazza IV Novembre viene inaugurata con una certa solennità la pubblica fontana monumentale, quella fontana che oggi si trova ubicata al lato della strada provinciale vicino le abitazioni di Emilio Lupi e Francesco Lucchesi. Luogo, per me, non adatto. E poi l’abbeveratoio non esiste più. Quella fontana da noi oggi viene ricordata come la fontana Du zu Tittu. Forse perché l’acqua scorge da un orciuolo tenuto da un personaggio famoso che assomiglia a Mastru Titta. “ Il dottore Michele Ianne la ideò, suo figlio Roberto la realizzò dopo 25 anni”. Questa era la frase che doveva essere scritta nella lapide ricordo posta dietro la fontana sopra l’abbeveratoio, però beghe personali, odi, rancori degli amministratori comunali del tempo, dimenticarono l’operato dei Sindaci Ianne che tanto bene avevano fatto al paese e non posero mai la lapide. Avevano portato per la prima volta l’acqua nelle tre pubbliche fontane del paese. E in quei tempi era già tanto. L’acqua apparteneva alle famiglie più influenti del paese. Ma i sampietresi, riconoscenti, intitolarono poi, dopo diversi anni, una via all’ex Sindaco Michele Ianne, via che va da via Michele Bianchi ora Via del Popolo a Piazza Municipio ora Piazza Pietro Mancini. La conduttura dell’acqua potabile portò allora finanche l’acqua nel cortile dell’abitazione della famiglia di don Lisandro Sesti. Era l’unica abitazione che aveva l’acqua in casa, forse per un diritto acquisito o forse perché la sorgente dell’acqua di Sangineto ricadeva nel terreno di sua proprietà.

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