La Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, ha chiesto al gup distrettuale il rinvio a giudizio nei confronti di due preti del Vibonese
Vibo valentia. Graziano Maccarone, 41 anni è il segretario particolare del vescovo di Mileto, mentre Nicola De Luca, 40 anni, di Rombiolo, è reggente della Chiesa Madonna del Rosario di Tropea.
Per entrambi è stato chiesto il rinvio a giudizio per il reato di tentata estorsione aggravata dalle modalità mafiose.
Maccarone inoltre, è anche accusato di aver inviato in due mesi oltre tremila messaggi a sfondo sessuale alla figlia, disabile, del debitore evocando poi l’intervento del clan Mancuso della ‘ndrangheta in caso di mancata restituzione del denaro.
Secondo l’accusa avrebbero costretto, con violenza o minaccia, una persona del Vibonese alla quale avevano prestato del denaro a restituire loro quasi novemila euro. Le contestazioni coprono un arco temporale che va da dicembre 2012 a marzo 2013.
I fatti oggetto dell’inchiesta
Le indagini condotte dalla squadra mobile di Vibo valentia e coordinate dal procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri e dal pm della Dda Annamaria Frustaci, sono partite nel 2012.
I due sacerdoti sono accusati di avere minacciato un uomo al quale, in precedenza, avevano prestato 2.500 euro De Luca e 6.700 Maccarone.
Somma che doveva servire a compensare un debito contratto dall’uomo e da una sua figlia con una terza persona.
Per evitare il pignoramento dei beni della figlia, l’uomo si era quindi rivolto ai sacerdoti.
Mentre avveniva questo Maccarone, secondo l’accusa, avrebbe iniziato ad inviare messaggi a sfondo sessuale alla figlia maggiorenne dell’uomo invalida al 100% per una disabilità.
In breve tempo, il prete avrebbe avuto oltre tremila contatti telefonici, prevalentemente messaggi a sfondo sessuale, facendosi inviare foto compromettenti e facendosi recapitare indumenti intimi dalla ragazza.
In un’occasione, il sacerdote aveva anche invitato la ragazza in un albergo di Pizzo ma l’incontro non ebbe poi luogo.
Successivamente, tra il dicembre 2012 ed il gennaio 2013, secondo quanto emerso dalle indagini, Maccarone avrebbe cambiato radicalmente atteggiamento, chiedendo al debitore l’immediata restituzione delle somme di denaro per sé e per don De Luca.
Il sacerdote invitò anche il debitore in uno studio legale per chiarire quanto accaduto con la figlia ed invitando anche la ragazza alla quale, il sacerdote dicendole che aveva salvato tutti i messaggi e le foto che lei gli aveva mandato.
Il prete e i suoi “cugini di Nicotera”
In un successivo incontro tra i due preti ed il debitore, don Maccarone fece riferimento ai suoi “cugini di Nicotera” evocando così, secondo l’accusa, la propria vicinanza alla famiglia di ‘ndrangheta dei Mancuso.
Alla successiva richiesta dell’uomo di avere, prima di adempiere al pagamento, una copia della liberatoria firmata dal creditore originario, don Maccarone avrebbe affermato, mentendo, di non avere alcuna ricevuta mentre invece era in possesso di una scrittura privata.
Quindi Maccarone, nel corso di un incontro, avrebbe specificato che “il cugino mio è Luigi, il capo dei capi”. Successivamente, secondo l’accusa, ha contattato un cugino di Nicotera ritenuto legato al boss Pantaleone Mancuso detto “Scarpuni” facendo poi arrivare, tramite De Luca, il messaggio al debitore di stare attento “che avrebbe fatto una brutta fine”.
Infine, sempre Maccarone, avrebbe detto all’altro sacerdote di farsi da parte perché sarebbero intervenuti i suoi cugini e avrebbe recuperato il denaro per “vie traverse”.
L’udienza davanti al gup che dovrà decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio è stata fissata per il 3 ottobre prossimo.
QuiCosenza Mag 31, 2019Calabria