Riceviamo e pubblichiamo
Si è svolto sabato 14 marzo a Spadola il terzo convegno di presentazione, in Calabria, della lista civica di scopo TERRA NOSTRA, con la partecipazione dei candidati calabresi alle prossime elezioni europee, Carmen Altilia, Rosella Cerra e Francesco Tassone, quest’ultimo proprio nativo di Spadola.
Ha illustrato i lavori il responsabile regionale di Unione Mediterranea Roberto Longo. Il tema del convegno è stato introdotto dalla proiezione del cortometraggio “In Attesa dell’Avvento”, dei registi calabresi Arturo Lavorato e Francesco D’Agostino, vincitore della sezione Orizzonti al Festival del Cinema di Venezia nel 2011.
La parola è quindi passata al Sindaco di Spadola, Giuseppe Barbara, il quale ha plaudito al coraggio avuto con la presentazione di una lista meridionalista come TERRA NOSTRA, in controtendenza con l’andazzo politico odierno. Ha inoltre spiegato il perché dell’aumento di popolazione di Spadola nell’ultimo decennio, tra i pochi paesi calabresi che non hanno subito uno spopolamento, definendo il suo come un popolo attivo e produttivo , che vive in un luogo bello e fornito di servizi.
La capolista Carmen Altilia ha centrato il suo intervento sulla mala-politica accomodante e funzionale ad uno stadio di colonialismo che ha nei condizionamenti mafiosi un utile sostegno. Certo anche una finta storia ha favorito il mantenimento della condizione di colonia interna, che certo l’attuale sistema elettorale non aiuta a debellare.
L’altra candidata, Rosella Cerra, ha posto il discorso sulla definizione stessa di colonia, cioè luogo dal quale attingere manodopera e risorse, dove è utile e funzionale al colonizzatore, mantenere le genti deboli in uno stato di avvelenamento e inquinamento onde scongiurare qualsiasi tentativo di ribellione. Cita quindi alcuni esempi di nuovo colonialismo, come il caso ENI che a Crotone estrae il 15% del fabbisogno nazionale di gas metano , mentre di contro la media nazionale dei malati di tumore è circa il 30% in più.
Riprendendo direttamente il titolo stesso del convegno, nel suo intervento Francesco Tassone lo ha voluto ribaltare , omettendo il punto interrogativo, asserendo quindi che “L’avvento lo possiamo determinare noi”. Si parte certo da una presa di coscienza della condizione di colonia, ma ora che abbiamo finalmente visto l’affermarsi della verità sulla storia del Meridione, bisogna portare avanti la lotta per liberarsene. Il nostro popolo è impregnato dalla grande cultura contadina, di accoglienza, in grado di dare l’esempio di come raggiungere la pace nel mondo. Qualcosa è iniziato. Perché siamo colonia? A livello di diritti siamo tutti uguali, quindi siamo tratti in inganno; noi votiamo ed eleggiamo i nostri rappresentanti che poi non tutelano gli interessi del Sud. “In attesa dell’avvento”, uno scritto di Nicola Zitara del 1968, ha dimostrato la nostra situazione di colonia interna, e non è mai stato smentito.
Le motivazioni che hanno portato al perdurare negli anni una situazione di pseudo-arretratezza, che ha avuto origine sicuramente dall’inganno dell’Unità d’Italia, sono da ricercare anche nella spoliazione delle risorse e nell’induzione alla emigrazione. Una situazione che si è poi aggravata nel dopoguerra. In un parallelismo con la situazione attuale globale, dove l’esistenza dei paesi sviluppati avviene perché esistono i luoghi sfruttati e rapinati, lo sviluppo viene quindi definito come l’altra faccia del sottosviluppo. Mentre l’analisi sulla nostra situazione attuale prevede uno stato di dominazione attuato anche nel sistema bancario italiano, riformato nel 1989 con le Fondazioni Bancarie, le quali percepiscono gli utili sui nostri versamenti: il 96% va al Nord, il 4% al Sud! Non appare quindi per nulla eccessivo se giunge ad affermare che: la battaglia nel Meridione è quindi una battaglia per l’umanità.
È seguito un interessante e partecipato dibattito dai quali è emersa la necessità di coinvolgere il mondo culturale e scolastico affinchè la storia venga rivista e riscritta e quindi conosciuta, perché la verità non sta di mezzo, ma dalla parte dei deboli. Guardare all’Europa, certo, ma rimarcando quindi la nostra identità e soggettività.