Si chiude con la storica sentenza della corte d'Assise di Cosenza di oggi 6 marzo 2017 la incredibile ed annosa vicenda del fiume Oliva.
In verità il pubblico ministero Maria Francesca Cerchiara della Procura di Paola aveva chiesto la assoluzione ex art 530 secondo comma cpp (ovvero con formula dubitativa) dei quattro proprietari dei terreni, dove – secondo l'impianto accusatorio – sarebbero stati interrati materiali altamente pericolosi che avrebbero contaminato l'area causando il disastro ambientale.
Si tratta di Vincenzo Launi, Giuseppina Marinaro, Antonio Sicoli e Arcangelo Guzzo.
Sempre il pubblico ministero Maria Francesca Cerchiara della Procura di Paola aveva chiesto, invece, la condanna di Coccimiglio a sedici anni e 6 mesi di carcere.
Oggi, invece, la Corte di Assise (presieduta dal giudice Giovanni Garofalo, a latere la collega Francesca De Vuono) ha assolto tutti gli imputati in base all'ex articolo 530 cpp per non avere commesso il fatto.
La vicenda ha avuto origine dal ritrovamento di una serie di rifiuti tossici e nocivi lungo la foce del Fiume Oliva, nei territori compresi tra Amantea, Aiello Calabro e Serra d'Aiello.
La Procura della Repubblica di Paola aveva contestato all’uomo di aver realizzato una enorme discarica con accumulo di decine di migliaia di metri cubi di fanghi contaminati con metalli pesanti ed altri inquinanti, tossici, nocivi e cancerogeni, e di avere avvelenato le acque del Fiume Oliva, destinate al consumo umano.
Nel giudizio si erano costituiti come parti civili numerosi enti, quali i Comuni della zona interessata, le organizzazioni ambientaliste e sindacali, ed il Comitato Civico "Natale De Grazia" di Amantea.
Secondo l'accusa, inoltre, proprio a causa dell'intombamento di quei veleni nella zona compresa tra Amantea, San Pietro in Amantea, Aiello Calabro e Serra d'Aiello si sarebbe verificato un nesso anche con la diffusione di tumori nell'area e avrebbe provocato tra l'altro la morte di Giancarlo Fuoco, un pescatore amatoriale che frequentava la zona e le lesioni a un amico del pescatore. La Procura di Paola, che ha svolto le indagini nei terreni dell'Oliva, sosteneva che fossero stati rinvenuti da 120 a 160 mila metri cubi di rifiuti e fanghi di varia natura, anche industriali, contaminati da metalli pesanti.
Inquinanti che avrebbero causato un disastro ambientale nella zona e che sarebbe stato causato, stando alle accuse, dall'interramento di rifiuti da parte della società di cui era titolare l'imprenditore amanteano.
Accuse sempre respinte dagli imputati, in particolare da Coccimiglio e smontate punto per punto dal difensore dell'imprenditore, l'avvocato Nicola Carratelli.
In sede dibattimentale l’avvocato Nicola Carratelli avrebbe dimostrato come l'accumulo del materiale inquinante non sarebbe potuto essere ricondotto all'attività dell'imprenditore, essendosi per contro dimostrato che per diversi anni quell'area era stata addirittura adibita a discarica da parte di alcuni Comuni.(vedi foto)
Secondo la difesa, si tratta di un processo che non avrebbe avuto modo di esistere.
«Cesare Coccimiglio - ha detto l'avvocato Carratelli - non è un criminale ambientale. Ma è un imprenditore onesto e serio che ha dato e da' lavoro a centinaia di persone. Una vicenda processuale durata quattro anni che avrebbe distrutto qualsiasi imprenditore».
Le motivazioni della sentenza saranno rese note tra 90 giorni.
Intanto continuiamo a mostrare la foto della discarica nel fiume Oliva ed il cui percolato è potuto essere alla base del reale inquinamento insieme ad altro …….