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Lascio la direzione di questo giornale, per via di alcuni dissensi con la proprietà. Mi era stato chiesto di preparare un piano di ristrutturazione che prevedesse un fortissimo taglio del personale (si era arrivati ad ipotizzare fino a 50 licenziamenti su 75 redattori) e io mi sono rifiutato. Ho messo a punto un piano alternativo, che consentiva risparmi molto forti senza sacrificare il personale. Il mio piano è stato approvato all'unanimità dall'assemblea ma all'editore non è piaciuto. Non lo ha considerato sufficiente. E così, dopo travagliate discussioni e tentativi di trovare vie d'uscita, l'altra sera siamo arrivati alla decisione dell'editore di respingere il mio piano, procedere al mio licenziamento e nominare un nuovo direttore. Il motivo per il quale mi sono opposto ai tagli del personale non credo di doverlo spiegare a voi. Se in questi tre anni avete letto qualche mio articolo conoscete la mia posizione su questi problemi. La lotta contro i licenziamenti, contro il dilagare del lavoro precario, contro lo sfruttamento, è stata sempre una mia idea fissa. Tra qualche riga proverò a dirlo meglio, ma già lo ho scritto spesso: considero l’assenza di “Diritto nel lavoro” il problema principale di questa regione. Penso che è lì che avvengono le sopraffazioni maggiori. E addirittura penso che l’assenza del diritto sia un male più grande ancora della ’ndrangheta e della criminalità organizzata.

FALLIMENTO

Me ne vado da qui, e torno a Roma, con una grande amarezza e con la convinzione di avere fallito. Sia chiaro: non do la colpa a nessuno. È una vecchia abitudine, quando si va a sbattere contro un muro e ci si fa male, quella di strepitare: “è colpa sua, è colpa sua”. È semplice: se sono andato a sbattere vuol dire che guidavo male.

Volevo fare un giornale che desse una scossa vera all’intellettualità e alla classe dirigente calabrese. E che fosse un giornale davvero popolare, cioè vicino al popolo, ai suoi bisogni, capace di difenderlo senza assecondare le pulsioni populiste e qualunquiste. So benissimo di non esserci riuscito. E di avere dato poco a questa regione della quale – questo ve lo giuro – in questi anni mi sono perdutamente innamorato. Per questo sento l’angoscia di essere cacciato dalla Calabria. Quando si prende atto di un fallimento netto, chiaro, indiscutibile, come è stato il mio bisognerebbe avere la lucidità per capirne le cause, e dirle. Purtroppo non ho questa lucidità, o ancora non la ho. So di avere accettato troppi compromessi, perché pensavo di essere così forte e bravo da potere guidare io i compromessi, e di poterli utilizzare, e di sapere ricondurre tutto al mio disegno. Che sciocchezza! Non ci sono riuscito mai. E quando ho deciso di non fare più compromessi, ed ero ancora convinto di essere così forte da poter sconfiggere qualsiasi nemico, mi hanno stritolato in un tempo brevissimo.

LA CALABRIA

Ma siccome la presunzione è una malattia inguaribile, resto presuntuoso, e prima di andarmene voglio dirvi cosa credo di avere capito di questa regione. Di solito, se si parla della Calabria, si dice che il suo problema è l’illegalità. Io non ho mai creduto al valore della legalità, anzi, disprezzo la legalità. Credo a un principio molto diverso: quello del Diritto e dei Diritti. La legalità può essere ingiusta, può essere oppressiva, può essere conformista, bigotta, vetusta, persecutoria, conservatrice – anzi: è sempre conservatrice – e non è affatto detto che sia garanzia dei diritti. La legalità è il contrario della ribellione. Non mi è mai piaciuta.  Il Diritto è un’altra cosa: il diritto – e i diritti – sono quei grandi valori della civiltà, in continua evoluzione, che si oppongono alla sopraffazione, al dominio, e tendono ad affermare l’uguaglianza delle donne e degli uomini e la primazia della loro dignità rispetto agli interessi dell’economia e del potere. Il Diritto tende all’uguaglianza. Ed è il contrario del Potere. Quando si dice che il problema della Calabria è la legalità si cerca di irrobustire quel vecchio pregiudizio del Nord, secondo il quale la questione meridionale è una questione criminale. E così è facile trovare la soluzione: più polizia, più giudici, più manette, un po’ di esercito e un po’ di razzismo sano e moderno, alimentato dalla buona stampa nazionale. Io invece penso che il problema all’ordine del giorno sia il Diritto, soprattutto il Diritto della Calabria nei confronti del Nord. È il Nord che da decenni viola i diritti fondamentali della Calabria. Prima di tutto il diritto del popolo calabrese ad essere popolo calabrese. Quello che solitamente viene chiamato il fenomeno dell’emigrazione – ma che io preferisco chiamare “la deportazione” e cioè il trasferimento al Nord di milioni di calabresi, sottomessi e spinti a lavorare per il miracolo economico lombardo, o piemontese, o ligure o romano – è uno dei più grandi atti di sopraffazione di massa compiuti sotto l’occhio benevolo della Repubblica italiana. È un delitto. E non ha trovato opposizione. Neppure la sinistra, nel dopoguerra, si è mai fatta carico di questa gigantesca ingiustizia. Perché? Perché purtroppo, in Italia, anche la sinistra è settentrionale. La Calabria – nonostante grandi personaggi politici isolati, come Sullo, o Mancini, o Misasi – non ha mai avuto una sinistra. Così come tutto il Mezzogiorno d’Italia. Nasce da qui, esattamente da qui, la consuetudine di cancellare il Diritto della Calabria, e in particolare il Diritto del lavoro. Mi piacerebbe raccontare qualcosa di scandaloso ai miei amici e compagni di Roma e del Nord, compresa Susanna Camusso, il capo del sindacato che recentemente è scesa qui da noi e ha anche detto cose sagge, perché sicuramente è una persona seria. Cara Camusso, lo sai quanto paga la ’ndrangheta un picciotto? Mille euro al mese. E sai quanto guadagna un coetaneo del picciotto che lavora legalmente a tempo pieno in un call center, o in campagna, o anche in ufficio e persino in un giornale, come giornalista? È facile che guadagni meno della metà. Qui ho imparato che un trentenne con uno stipendio di sette o ottocento euro si considera fortunato. Camusso, pensi che in queste condizioni ci sia da stupirsi se la ’ndrangheta prospera? E pensi che aumentando il numero dei poliziotti e dei giudici – ottime e spesso eroiche persone – le cose possano migliorare? Mi piacerebbe davvero, Camusso, conoscere la tua risposta, perché non sono domande retoriche, né polemiche, però sento che sono domande drammatiche e penso che sia giusto porle. Quando sono sceso a Cosenza, da Roma, e ho preso la direzione di Calabria Ora, ho scritto un editoriale nel quale dicevo essenzialmente una cosa: qui manca la classe dirigente. La Calabria ha bisogno di una classe dirigente che sappia rappresentare il popolo, sbattere i pugni sul tavolo a Roma e assumersi finalmente la responsabilità dell’affermazione dei diritti. Dopo tre anni confermo quelle cose, con l’angoscia di chi sa di non essere riuscito a smuovere nemmeno uno stecchetto di paglia per cambiarle. Vedete, io penso che la Calabria soffra dell’assenza delle classi sociali che hanno costruito l’Italia: la borghesia e la classe operaia. Qui non c’è borghesia: c’è il padronato. E non c’è classe operaia: c’è un popolo sconfitto, sfregiato, deportato, oppresso, e che non riesce ad uscire dalla rassegnazione. Sì: il “padronato”, proprio con quell’accezione assolutamente negativa della parola che usavamo noi ragazzi degli anni settanta. Un padronato che considera il proprio borsellino come un Dio, e tratta gli esseri umani come cose, accidenti, strumenti, “rifiuti”. Già lo ha detto il papa, ha usato, indignato questa parola: “rifiuti”. Per una volta fatelo scrivere anche a me, ateo e anticlericale: viva il papa.

I GIUDICI

Prima di tornarmene a Roma devo dire qualcosa sui giudici. Perché in questi anni sono stati un mio bersaglio fisso. In realtà ho grande stima per quasi tutti gli investigatori calabresi, credo però che il compito di un giornale sia quello di mettere sempre sotto controllo e sotto accusa il potere. E io sono persuaso che oggi in Italia – ma soprattutto in Calabria – il potere dei magistrati sia insieme al potere economico e padronale – di gran lunga il potere più forte. Per questo io considero il garantismo un valore assoluto, da difendere coi denti, come caposaldo della civiltà. Oggi il garantismo è pesantemente messo in discussione – anzi sconfitto – dal dilagare, nell’opinione pubblica, di un feroce giustizialismo. Talvolta ispirato dai più tradizionali principi reazionari, talvolta da forti spinte etiche. Recentemente ne ho discusso, in un dibattito a Gerace, in Aspromonte, col Procuratore di Reggio, Federico Cafiero De Raho. Lui, a un certo punto della discussione, ha sostenuto che la giustizia serve ai deboli, perché i forti non ne hanno bisogno. Io gli ho risposto che apprezzo la sua spinta etica, ma che giustizia ed etica non devono mai coincidere, perché il male dei mali è lo Stato etico, che può essere solo autoritario e fondamentalista. Come fu lo stato fascista, come furono gli stati comunisti. Devo dire, onestamente, che lui  Cafiero poi ha precisato meglio il suo parere, e che io ho apprezzato moltissimo la sua capacità di discutere – e ci siamo detti che avremmo proseguito la discussione in altra sede, e invece, con dispiacere, dovrò disdire l’appuntamento – ma in me resta questo grande timore: per i giudici – capaci, onesti – che pensano di svolgere una missione. Non è così, fare il magistrato è un mestiere, non una missione assegnata da Dio! E il prevalere di una concezione giudiziaria della vita pubblica non può che nuocere alla Calabria, ne sono convintissimo.

GLI EDITORI

Ho lavorato per tre anni e mezzo con i miei editori, la famiglia Citrigno, e spesso mi è capitato di difendere uno di loro, Piero, dagli attacchi della magistratura che ho sempre considerato come un vero e proprio accanimento. Non è che ora, perché mi hanno licenziato, cambio la mia posizione. Ho conosciuto molto bene Piero Citrigno e credo di avere capito i suoi pregi, molti, e suoi difetti, moltissimi (e gli confermo simpatia e affetto). Il suo difetto principale è uno solo: è un padrone. Qui in Calabria ho conosciuto più da vicino il capitalismo: è una brutta bestia. Alla famiglia Citrigno lancio solo un appello: ci ripensi e ritiri la proposta di licenziamenti di massa. Spero davvero che mi darà retta.

RINGRAZIAMENTI

Ringrazio soprattutto i lettori. I tanti che ci sono stati vicini in questi anni. Ci hanno dato forza, convinzione, tranquillità. Mi dispiace moltissimo lasciarli. Mi ci trovavo proprio bene. Poi ringrazio tutti i giornalisti e i poligrafici, e i tecnici del giornale, una grande squadra, davvero. Che può avere un gran futuro. In particolare, ovviamente, ringrazio il mio caro amico vicedirettore, Davide Varì. Non faccio altri nomi (potrei, forse e mio malgrado, danneggiarli....). Ringrazio anche i giornalisti che in questi anni hanno lasciato il giornale, per tante ragioni, qualcuno polemicamente, anche con me: non escludo di avere avuto qualche colpa per il loro allontanamento. E infine vorrei ringraziare – quasi fossi una persona perbene... – le autorità. Però c’è una sola autorità che ringrazio davvero. Lontanissima, da me e dalla mia cultura. Ma è l’unica che ho trovato veramente al fianco del popolo della Calabria, e quando è stato necessario anche al fianco del giornale: l’autorità ecclesiastica. E in particolare ringrazio due persone stupende: il vescovo Nunnari e il vescovo Morosini (anche gli altri, per carità, non si offendano: ma ci siamo conosciuti poco).

UN SALUTO SPECIALE

È chiaro che un saluto speciale lo rivolgo ad Alessandro Bozzo, ragazzo splendido, giornalista bravissimo, morto suicida poco meno di un anno fa. Lo ho scritto altre volte: nessuno sa spiegare un gesto così tragico e grandioso, come un suicidio. Ma tutti coloro che hanno vissuto accanto a lui, ed io per primo, si sentono in qualche modo responsabili: non lo abbiamo capito, non lo abbiamo aiutato, abbiamo commesso delle ingiustizie. È così. Arrivederci. Auguri a tutti, e soprattutto al mio successore Luciano Regolo. Non lo conosco personalmente. Mi dicono che sia un grande esperto di famiglie reali. Beh, qui in Calabria è pieno di famiglie reali: spero che troverà il modo per non farsi affascinare da loro e per tenerle a distanza.

Ndr Con Sansonetti che va via, la Calabria perde molto. Sansonetti poteva anche sbagliare ma tentava di dire ( come in questo suo saluto) qualche verità.

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“Sbarca”. Era il gioco infantile degli anni 50. Una sorta di gioco nel quale vinceva chi era più veloce a lasciare la propria posizione in uno dei quattro cantoni per trovare una nuova posizione. Perdeva chi non riusciva a trovare il nuovo posto.

“Sbarca” è ancora oggi un gioco molto praticato, dai politici ad ogni livello

Anche Diego Tommasi, ex assessore “verde” della Giunta Loiero, è sbarcato dapprima all'Api di Rutelli per dare successivamente ita a un movimento Alleanza ecologica, che si è progressivamente avvicinato al centrodestra di Scopelliti.

Ora il nuovo sbarco in Forza Italia rimesso in piedi da Silvio Berlusconi.

Soddisfatto Pino Galati il quale dichiara: «Forza Italia necessita della sensibilità ambientalista, maturata sul campo, di una personalità qualificata come quella di Diego Tommasi. Come partito liberale vicino ai diritti civili sentiamo fortemente l’esigenza di migliorare la qualità della vita dei calabresi che solo politiche virtuose sulle tematiche ambientali possono assicurarci».

Ancora più soddisfatto Ennio Morrone il quale dichiara «È stato chiesto a Diego Tommasi di collaborare col partito per la risoluzione dei problemi ambientali della Calabria che tanto ci stanno a cuore. Tommasi, dal canto suo, ha accettato di sposare la causa di Forza Italia e prestare la sua professionalità per cercare di superare le criticità presenti nel settore a partire dai rifiuti. La Calabria ha bisogno di nuove energie per fronteggiare le emergenze e noi siamo intenzionati ad operare in questa direzione».

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Venerdì 20 dicembre 2013 – Dal dono della parola e della dialettica alla cultura posta al servizio della politica, dalla disponibilità al dialogo all’affetto verso i cittadini, dal pragmatismo alla capacità di dare continuità all’opera avviata da chi l’ha preceduto; il rispetto per le istituzioni, la lungimiranza e la trasparenza nelle azioni. Ritratti e segni particolari, questi, di chi ha fatto di Villapiana la cittadina che è oggi; che ha avviato con dedizione, senza risparmiarsi mai, e sacrificando tempo alla famiglia e al proprio lavoro, quel percorso di crescita i cui risultati si vedono e si toccano anche a distanza di anni. Chi per un aspetto, chi per un altro, i sindaci che mi hanno preceduto, specie in questa particolare e difficile fase, sono modelli e punti di riferimento a cui guardare.

È quanto ha dichiarato il Primo Cittadino Roberto RIZZUTO, intervenendo, nella serata di ieri (giovedì 19), nel corso della cerimonia di conferimento dell’onorificenza “Castello d’Oro” agli ex Sindaci di Villapiana.

Il dottore Luigi BRIA, sindaco dal 1992 al 95 e dal 1999 al 2009, Nino FEILLACE, che ha guidato la comunità villapianese dal ‘95 al ‘99, l’avvocato Paolo MONTALTI, sindaco dal 1980 al 1990, ed il professore Gianni MAZZEI, primo cittadino per il biennio ‘90 – 92. Visibilmente emozionati, hanno ricevuto la prestigiosa targa raffigurante il Castello, simbolo della memoria storica di Villapiana, e, non a caso, nel 150esimo anniversario del nome con la quale è stata ribattezzata l’ex Casalnuovo.

Erano assenti per motivi familiari e di salute il notaio Eugenio GENTILE che ha ricoperto la carica di sindaco dal 1956 al 1960) e l’ingegnere Vito Antonio LA REGINA (1975 – 1980).

Un viaggio nel tempo, a ritroso, in quella che è stata la storia amministrativa degli ultimi anni. È quello che ha rappresentato per tutti, amministratori di ieri e di oggi, l’evento tenutosi ieri presso la sala consiliare di Piazza Umberto I.

È un piccolo segno tangibile - ha detto il Presidente Pasquale FALBO aprendo i lavori dell’assise - per gratificare il loro operato che sicuramente non è stato sempre agevole specie in periodi di crisi e di difficoltà. Grazie a voi tutti per aver dedicato parte della vostra vita, del vostro tempo, spesso sottraendolo alla propria famiglia, per dedicarlo alla crescita civile, sociale, culturale ed economica della vita di tutti i cittadini villapianesi.

Hanno preso la parola e sono intervenuti anche i consiglieri comunali Francesco CESARINI, Saverio DE LUCA, e gli assessori Felicia FAVALE e Giuseppe LEONE.

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