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RACCAPRICCIO

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giggino pellSe abbraccio la mia stessa arroganza, quella altrui non mi potrà turbare: potrò notarla, ma non avrà alcun effetto su di me. La letteratura, come sempre, offre una espressione meno patologica anche se altrettanto efficace. Si tratta di una favola di Esopo che narra di una volpe cui una tagliola mozzò la coda. La bestiola si vergognava, così deturpata nella sua eleganza, e gli altri animali, suoi amici, decisero di farle una coda di paglia. La coda era così bella che, chi non sapeva della disgrazia, non avrebbe mai potuto sospettare fosse finta.

Un giorno un gallo si lasciò scappare il segreto e la notizia della volpe con la coda di paglia arrivò fino all’orecchio dei contadini. Conoscendo il punto debole della volpe, questi accesero dei fuochi vicino ai pollai, perché non potesse più rubare i loro polli. La volpe sapeva che la paglia prende fuoco facilmente, e per paura di bruciarsi non si avvicinò più ai pollai.

Da qui “avere la coda di paglia”, che significa temere ogni tipo di critica per un comportamento, o un difetto, su cui si teme che gli altri possano infierire. Come dice un proverbio toscano: “Chi ha la coda di paglia ha sempre paura che gli pigli fuoco”. Di conseguenza, è sempre sospettoso per timore di essere scoperto; la versione tradizionale (e un po' in disuso) del più recente e “mediatico” avere uno scheletro nell'armadio.

Oltre il proprio naso si può cercare l’altro in estate, nel caldo bagliore delle stelle cadenti. Lo si può cercare in autunno nei cangianti colori delle foglie appassite. Lo si può cercare in inverno nel candido bianco dei fiocchi di neve. Lo si può cercare in primavera nel dolce profumo dell'erba che nasce. Lo si può cercare invano senza sapere che era in ogni stagione.

Il tempo delle bugie sembra essere finito, si continua a ripetere,… ma per contrastarle basta citare i dati, quelli veri ed attendibili. Oggi, che scrivo, avverto nell’aria che gli uomini sono stanchi di subire e di essere "cornuti e mazziati", non possono e non devono più tacere.

Certamente l’affaticamento che affligge l’umanità in questo momento mostra il limite di questo mito antropologico. Mostra il filo conduttore del sogno narcisistico di diventare padroni di noi stessi, di realizzare la nostra persona a prescindere da quello dell’Altro. Questa ultima grande crisi economica mostra tutti i segni della gravissima patologia che affligge la civiltà occidentale.

‘L'orrore!! L'orrore!! L'orrore!!’ Urlava Kurtz in "Cuore di Tenebra"; mostrando che, addirittura, lui stesso avesse percepito la folle crudeltà del proprio operato, consegnandoci il messaggio più autentico: la consapevolezza delle aberrazioni di cui l’uomo è capace di macchiarsi, spinto dalle proprie brame e privo dei freni della civiltà.

Gigino A Pellegrini & G elTarik

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