L’altra sera ho assistito a qualcosa che neanche uno come Bruno Vespa avrebbe mai sognato di attuare all’interno di un programma televisivo Rai. L’evento di cui mi accingo a parlare è il “programma” di una TV locale,“Zippa 29” di Amantea, in Calabria. Chi scrive ha lavorato in Rai a Roma per oltre 30 anni nel ruolo di ideatore, scrittore, regista e giornalista.
Dopo circa un’ora, ho pensato di aver assistito ad un format rivoluzionario rispetto agli standard nazionali.
Il format non contemplava più lo scontro one to one tra esponenti che avevano versioni diverse dell’ accaduto. Il politico, il Sindaco di Amantea,è stato la grande star, solista issato sulla scena televisiva, libero di dire qualsiasi cosa senza più l'incombenza di dover dimostrare a tutti i costi l'attendibilità delle proprie fandonie.La trasmissioneera ridotta a uno show in cui il conduttore e il politico erano la stessa personache ha sciorinatoun suo lungo monologo senza contraddittorio.
La telecamera, seguendo le indicazioni verbali del Conducator, mostrava un parterre de rois, composto da eminenze grigie a sostegno (senza emettere un suono proveniente dalle loro bocche), di ciò, a cui stava per dara la stura il nostro eroe!Addio al contraddittorio!
Quello che è emerso da questo monologo è un fenomeno reale e che da qui a poco potrebbe diventare molto diffuso. La “Zippa 29” potrebbe rivendicarne la primogenitura. Progressivamente andràscomparendo la trasmissione incentrata sul confronto, per fare spazio ad un vero e proprio monologo,come quello dell’altra sera con un unico attore.C'era una volta il contraddittorio in tv, ma ora non c'è più. Lontani, lontanissimi i tempi del Berlusconi vs Occhetto, che facevano presagire la nascita di un bipolarismo all'americana. Ma persino lo scontro Prodi-Berlusconi del 2006 sembra una prassi perduta nel tempo, pura preistoria televisiva.
Secondo la mia modesta opinione andrebbe verificato se esistono regole che pongono un argine ai soliloqui televisivi. Una prima indicazione, per così dire “di principio” si trova nella legge n. 28 del 2000, quella sulla par condicio, da cui si ricava in più passaggi come i politici non debbano essere i “signori dello schermo”.
Di conseguenza non può spettare a loro la scelta del “format” a cui partecipare. Allora, bisogna chiedersi se esiste una sorta di “obbligo al confronto” Forse un obbligo no, ma una forte raccomandazione sì. La legge assicura parità di condizioni “nelle tribune politiche, nei dibattiti, nelle tavole rotonde, nelle presentazioni in contraddittorio di programmi politici, nei confronti, nelle interviste e in ogni altra trasmissione”. Si può notare come la maggior parte delle modalità preveda appunto un confronto diretto.
Una conferma in questo senso si trova nella sentenza che qualche anno fa ha rigettato i dubbi di incostituzionalità di tale normativa. Per la Corte Costituzionale, la logica della legge sta nel diritto dei cittadini di essere informati nel modo più completo e obiettivo. Tale diritto è connesso “al corretto svolgimento del confronto politico su cui in permanenza si fonda, il sistema democratico”.
La Corte in quest’ottica ha sottolineato come nelle trasmissioni politiche “deve essere rigorosamente osservato il criterio della partecipazione in contraddittorio e del confronto dialettico tra i soggetti intervenienti, secondo il canone della pari opportunità”.
Del resto, è nella quotidianità che si può ricostruire quella normale dialettica politica quando le classi dirigenti si confrontano a viso aperto, secondo quell’insuperato modello di dialettica democratica che è il ‘QuestionTime’ a Westminster, dove ogni mercoledì il primo ministro e il leader dell’opposizione duellano uno di fronte all’altro sui grandi temi politici del Regno Unito.
Gigino A Pellegrini & G elTarik