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Il Fantasma della zia Maria

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Eravamo nella canonica dove c’era l’unico calcio balilla di tutta Catocastro.

Lo avevamo portato a braccia dalla falegnameria dove era depositato sotto una catasta di vecchie tavole ed una montagna di polvere e di segatura.

Lo avevamo riparato ed ora era NOSTRO.

Il parroco due volte a settimana ce lo faceva usare.

Una partita per uno.

Poi disse “un’altra partita a chi mi avverte la zia Maria che dopodomani mattina alle sette dirò la messa per suo marito”

E poi concluse” Mi raccomando di dirglielo perché se non viene non mi paga il servizio”

Ma nessuno di noi si offrì.

La zia Maria aveva la fama di essere una “magara” e tutti ne avevamo paura.

E così il parroco cambiò la persona alla quale dire messa.

Quando tornai a casa chiesi ai miei e ad altre persone chi fosse la Zia Maria

Ne ebbi risposte completamente diverse

“Una vecchietta difficile…”

“Una brava donna che la vedovanza ha reso intrattabile…”

“Una che fa l’affascino…”

“Una magara…”

“Una che parla con gli spiriti…”

Solo una vecchietta, invece, mi disse “ Una vecchia amica. Anzi se vai a trovarla dimmelo che mi ci porti i saluti e qualcosa … sai è molto povera e sola”

“Ma allora perché la gente ne ha paura?” Le chiesi.

“ Su chiù i vuci ca i nuci……! E pua a gente è malamente. Ma tu pecchì c’è jiri?”

Le raccontai il fatto ed anche che il parroco non le diceva più la messa al marito.

“No,no! Fatti dire un’altra data e vai a trovarla. Anzi portale i saluti e questo pacchetto di caffè e un kg di zucchero”

E così feci.

Abitava in uno stretto vicoletto che aveva però una finestra sul mare, dove lei si affacciava spesso, anche d’inverno e quando il mare era in tempesta, ed una finestra sul vicolo principale da dove passavano, al tempo, gli abitanti di Catocastro che salivano dagli orti sottostanti , quelli che erano la loro fortuna e che provvedevano a dar loro di che vivere.

Era settembre e sugli alberi ancora c’erano i fichi, quelli più dolci e più saporiti

Gliene raccolsi un po’. Erano il mio regalo.

Mi vide arrivare ma non pensava, mi disse dopo, che mi recassi a casa sua.

Soprattutto perché avevo le mani piene.

Le dissi chi ero, chi le mandava i saluti ed i regali, poi le dissi che il parroco le avrebbe detto messa al marito la mattina dopo alle sette

Lei fino a quel momento molto silenziosa mi fece un lieve, appena accennato sorriso, poi mi chiese:” Ma tu non hai paura di me? Non ti hanno detto peste e corna di me?”

“Si,si. Ma poi ho parlato con donna Franceschina che mi ha detto tante belle cose di voi….!”

Sorrise lievemente, poi socchiuse gli occhi e mi sembrò che stesse guardando indietro nel tempo, magari al tempo della loro giovinezza, spensierata come tutte le giovinezze, quando ricordate, e mi chiese :“ E che cosa ti hanno detto gli altri”.

“ Di tutto, persino che fate l’affascino, che siete una magara e che parlate con gli spiriti…”.

Ecco un altro sorriso, triste, questa volta, “E tu non credi agli spiriti?”.

Rimasi imbambolato, incapace di dare risposta.

“ Devi crederci!” mi disse guardandomi intensamente negli occhi .

”Gli spiriti esistono. Sono anime in pena che vagano per il quartiere, anche se pochissimi le vedono. A volte entrano anche nelle case senza che nessuno se ne accorga ed osservano quello che si fa, ascoltano quello che si dice, colgono il bene ed il male di quelle persone e di quelle famiglie”.

Po,i leggendomi il terrore negli occhi, aggiunse “Ma tu mi sembri un buon ragazzo e non devi averne paura. In particolare ora che conosci me.”

Non compresi quell’-ora che conosci me-, anzi ne ebbi un po’ timore.

Se ne accorse e cambiò il modo di affrontarmi : “Donna Franceschina ti racconta le favole, vero? Ti piacciono, vero? Quando lo vorrai ti racconterò le storie degli spiriti o, come li chiamano altri, dei fantasmi.”

“Ma ti vedo dubbioso. Forse non mi credi?”

Ero a due cuori, non sapevo cosa rispondere.

Temevo che se le dicevo di no si sarebbe offesa, ma, nel contempo, temevo che se le dicevo si, mi avrebbe raccontato storie che mi avrebbero impaurito.

Lei comprese il mio disagio, così come io compresi il suo bisogno di avere qualcuno al quale parlare, al quale raccontare.

Mi guardò negli occhi serenamente e mi chiese” I Fichi me li hai portato tu, vero? Scommetti che so dove li hai colti?”

?

“Ascolta. Donna Franceschina non ha terreni. La tua famiglia nemmeno. Tu non mi sembri un ragazzo che va a rubare … ed allora i fichi sono di ……. E lui nemmeno sa che li hai presi per portarli a me, vero?” e con mia sorpresa mi disse il nome del mio compare

Era tutto vero. Rimasi basito. Poi mi scappò un sorriso.

“ Caro ragazzo-riprese- , quello che non vedo io me lo raccontano .. loro … i miei buoni amici. Ma ora ogni tanto verrai a trovarmi tu e mi racconterai cosa succede in questo quartiere ed io ti racconterò le storie dei fantasmi che vivono intorno a noi”

Non si fermò e come un fiume continuò:“Cominciamo dalla più semplice. Ascolta. Ma prima giurami che non le racconterai agli altri fino a quando io sarò in vita!

Non aspettò nemmeno che io dicessi di si e riprese.

“ Sai intorno a noi c’è uno spirito buono. Io l’ho conosciuto diverso tempo fa. Si presentò la prima volta che mio figlio mi mandò dall’America il caffè che io abbrustolii. Gli piaceva tantissimo il profumo del caffè. Sai, anche a me piace. Ed ogni volta che preparo un caffè lui si avvicina. No , non aver paura non si fa vedere. Stai tranquillo.

Vedi qualcosa? Senti qualcosa? No , vero!

Ora stai attento.

Prese il macinino e macinò un po’ del caffè di donna Franceschina , poi riempi la ciucculatera , riattizzò le braci che covavano sotto la cenere aggiungendo qualche orfanello di mare e la mise sul fuoco rinato.

Poi continuò “ Sai questo fantasma è quello di un monaco che viveva in Catocastro moltissimi anni fa. Porta ancora l’abito bianco del suo ordine. Mi ha raccontato che amava girare silenziosamente di notte tra i vicoli buoi del quartiere accompagnato da una piccola lucerna che più che illuminare la strada illuminava il suo viso. Aveva un viso dolce, sorridente. Si vedeva che era incapace di fare male. E girare nei vicoli era il suo modo di fare penitenza per il male che era costretto a fare quando si trovava a giudicare all’interno del Tribunale di Inquisizione di cui faceva parte”

Il caffè aveva preso a bollire ed emanava un forte profumo.

Che sia stato questo o le parole della zia Maria non saprei dire, ma certo che mi sembrò di sentire una nuova presenza nella stanza.

La zia Maria prese tre vecchie tazzine ed in ognuno versò il caffè zuccherandolo.

Una per lei, una per me, ed una per lui.

Bevvi il caffè velocemente , lei, la zia Maria lo sorseggiò piano, piano come se fosse rosolio.

Poi, improvvisamente si spense la luce.

Era normale in quegli anni, bastava un po’ di pioggia( ma non stava piovendo), oppure un po’ di vento che facesse urtare i fili( ma non c’era vento).

Istintivamente mi irrigidii, ma zia Maria mi disse “Mo vene, un ti preoccupari!”

E così fu.

La stanza si illuminò ed anche il vicolo sottostante. Solo allora mi accorsi che era già sera.

Rividi così le tazzine del caffè.

Tutte e tre vuote.

Sgranai gli occhi e muto la interrogai.

“ Si è venuto ed ha spento la luce, come fa sempre. Ancora oggi gira al buio”

No,non poteva essere. Era stata lei! Mi dissi

“No- mi rispose lei- non è come credi. Ora è tempo di andare. Tua madre potrebbe essere preoccupata. Poi domani mi porterai i saluti a Franceschina e la ringrazierai. Io domattina andrò alla messa della buonanima.”

Mi guardò e comprendendo ancora i miei dubbi mi disse.

“Ora ascolta, poi vai via, e ricorda che la mia porta per te è sempre aperta. Mi farà piacere rivederti”.

Poi battè sul vecchio tavolo “ Toc, toc, toc”. Si pose il dito sulle labbra invitandomi al silenzio.

Dopo un po’ sentii nettamente “Toc, toc, toc” che non compresi da dove provenissero.

Feci cenno col dito al piano di sopra e chiesi “ Chi ci abita?”

“Nessuno” fu la risposta.

Mi alzai e cercai di scappare ma lei mi prese delicatamente per il polso e mi rifece sedere.

Poi battè ancora una volta sul tavolo “Toc, toc” due colpi ravvicinati e subito dopo “Toc toc” altri due colpi ravvicinati.

Il dito di nuovo sulle labbra.

Tesi l’orecchio ma non sentii nulla.

Ero sulla porta augurandole la buonanotte e lei sorridendo alzò il dito verso il soffitto e sentii“Toc, toc” due colpi ravvicinati e subito dopo “Toc toc” altri due colpi ravvicinati.

Volai per i vicoli semibui fino a quando non giunsi a casa.

Ma quella notte non dormii bene. Affatto. Fu una notte da incubo.

Colpa del caffè. mi dissi.

Forse. O forse no!

Redazione TirrenoNews

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