Riceviamo e pubblichiamo:
“Mi telefona un collega, un avvocato che stimo, il quale mi parla del caso giudiziario di un suo cliente.
Il dialogo è ispirato al confronto, al consiglio e alla riflessione sul fatto attinto dall’interesse della Giustizia penale, che, molto lentamente, tenta di procedere verso la risposta, punitiva o assolutoria, su quella persona, interessata dal calderone giudiziario.
La centralità della discussione è costituita da una mia allegoria, una delle tante utilizzate per parlare di Giustizia, di Professionisti che indossano la Toga e di Processo penale.
L’allegoria rappresenta la nave, che dentro la nebbia più fitta, tenta di raggiungere esattamente Quel Porto, in cui la decisione del Giudice verrà ritenuta congrua per la democrazia che pretende un Sistema processuale, chiaro e bene oliato, capace di garantire la celerità, l’immediatezza e la concentrazione processuale.
A ben vedere, la giustizia penale oggi è lontana dall’immediatezza e dalla concentrazione e quantunque vi sia l’ideale di garantire un processo penale costituzionalmente orientato, la persona imputata è sovente dimenticata nelle aule di giustizia, per via dell’eccessiva durata dei processi (penali e civili).
Per personale inclinazione vorrei volgere lo sguardo alla Giustizia penale.
Il Procedimento penale, si compone di Indagini preliminari, Udienza preliminare e Giudizio (escludendo la fase esecutiva poiché successiva all’accertamento del fatto).
Nel Giudizio v’è l’istruzione dibattimentale, nella quale avviene la formazione di tutto il materiale probatorio (coltivato con testimonianze, perizie, confronti ecc..) da offrire al giudice del merito, affinché lo stesso possa decidere sulla fondatezza o meno dell’accusa.
Orbene, la soluzione del Legislatore per soddisfare la necessità di celebrare comunque i processi è stata quella di allungare i tempi della prescrizione dei reati.
La prescrizione del reato costituisce una cause estintiva del reato, desunta dal decorso del tempo senza che alla commissione del fatto delittuoso o contravvenzionale segua una sentenza irrevocabile.
Alla base dell’istituto, tipicamente di diritto penale sostanziale, sta l’inutilità della repressione, considerato che l’allarme sociale destato dal fatto oggetto di valutazione è venuto scemando, unitamente alle esigenze di prevenzione a seguito del decorso del tempo.
La legge stabilisce, in relazione alla pena massima edittale, il tempo entro il quale ogni reato si può considerare estinto.
La recente riforma della prescrizione ha rimodulato l’intervento dell’istituto prevedendone la sospensione dopo la sentenza di condanna (!) per un tempo comunque non superiore a un anno e sei mesi fino alla pronuncia del dispositivo della sentenza di condanna che definisce il grado di appello.
Parimenti, v’è sospensione dopo l’appello sino alla pronuncia del dispositivo della sentenza definitiva, per un tempo comunque non superiore a un anno e sei mesi.
A ben vedere, la politica del diritto dovrebbe ispirarsi con maggiore attenzione ad una cultura penalistica matura, evitando “sortite improvvide di giustizialismo estremista”, in questo caso verso chi è condannato, rispettando l’impegno degli operatori giuridici, Avvocati e Magistrati che nel rito attuale della Giustizia italiana sono impegnati ad esercitare con grande fatica.
Allungare i tempi di prescrizione è certamente la strada più comoda per consentire la risposta del giudice, tuttavia è diritto della persona non essere dimenticata nelle aule giudiziali dove si terrà il processo che intende vagliarne la condotta.
Si dovrebbe aggiungere una soluzione ancor più strutturata, mitigatrice della lentezza dell’iter procedimentale, puntando su una corposa semplificazione capace di attenuare l’ipertrofia normativa, molto spesso disorganica e consentire, in chiave procedimentale, la celebrazione di processi la cui durata sia ragionevole.
Avvocato Francesco Bernardo.