Una interessantissima e poco conosciuta sentenza della Corte di Cassazione che sconfessa i due primi due gradi di giudizio e l’ipocrisia sociale di certi giudizi.
E’ il caso di leggere integralmente questo pregevole articolo di dottrina e di cultura :
“Un caratterizzante tema di indagine per gli operatori del Diritto odierno è costituito dall’incidenza della cultura d’origine dello individuo sulla considerazione di ciò che costituisce, invece, fatto penalmente rilevante nel territorio dello Stato che lo accoglie ed ospita.
Esistono usi e costumi in altre popolazioni che possono integrare fattispecie di reato se attuati nel territorio dello Stato italiano.
Orbene, il Diritto è certamente cultura e, parimenti, ogni cultura si evolve ed adegua al confronto della sensibilità tra esseri umani, al punto da indurre a ripensare sovente gli stessi paradigmi costitutivi di una fattispecie di reato.
Tale processo di rinnovamento del Diritto (penale nello specifico) si muove all’interno di una composita tendenza, capace di abrogare obsolete fattispecie di reato (si pensi ai delitti di opinione frutto di un vecchio passato) oppure a crearne di nuove, più al passo coi tempi e, soprattutto, al passo con nuove forme di aggressione a emergenti beni giuridici.
Il caso dei reati culturalmente orientati pone l’accento su quei costumi od usanze praticati da persone provenienti di uno Stato estero che, tuttavia, costituiscono ipotesi penalmente sanzionate nel nostro Ordinamento Giuridico.
In questi casi, per la Giustizia del Paese ospitante è necessario scandagliare il grado di consapevolezza dell’antigiuridicità da parte di chi compie un atto perché frutto della propria esperienza nel paese d’origine, per ragioni di matrice storica, culturale e religiosa.
Se la consapevolezza sulla illiceità non sussiste va escluso l’elemento soggettivo della commissione di quello che si considera fatto di reato.
Per uno Stato democratico che può aderire ad una concezione tripartita del reato (fatto, antigiuridicità e colpevolezza), la domanda è la seguente: vale la scriminante culturale per lo straniero che commette un reato?
È di tutta evidenza come sia necessario porre l’accento sulla consapevolezza di commettere un reato ponendo in essere condotte che nel paese di origine costituiscono consolidate estrinsecazioni di appartenenza sociale.
Molto interessante, il caso che vedeva alcuni imputati di origine straniera essere tratti a giudizio poiché in violazione degli articoli 609 bis e 609 ter cod. pen., in più occasioni, abusando delle qualità di genitori, costringevano il figlio minore, con violenza, al compimento di atti che per lo Stato vanno considerati di natura sessuale.
In questo caso, i giudici di primo grado avevano escluso la rilevanza penale di tali fatti per insussistenza del dolo, sulla considerazione dirimente del retaggio culturale della famiglia.
I giudici hanno considerato i fatti meri gesti di affetto e di orgoglio paterno verso il figlio maschio tipici della tradizione culturale di estrazione.
Segnatamente, per tale episodio, tuttavia, è stata adita la Corte di cassazione che, stravolgendo le sentenze di assoluzione di primo e secondo grado, ha fissato i veri paletti del confronto culturale tra l’Ordinamento giuridico italiano e i costumi sociali di appartenenza dello straniero.
Nello specifico, è noto che nel nostro sistema giuridico penalistico, viga anche l’art. 5 del codice penale, che rammenta come non possa essere invocata a propria difesa l’ignoranza della legge penale, a meno che (come ricorda la Corte costituzionale) tale ignoranza non sia stata inevitabile. Tuttavia, prescindendo dal riferimento all’art. 5 del codice penale, la questione si gioca tutta sul terreno del bilanciamento tra il diritto del soggetto a seguire le proprie tradizioni e le conseguenze penali della sua condotta, rilevanti per lo Stato italiano che non abdica né può abdicare alle proprie prerogative di cogenza e deterrenza.
Come è agevole comprendere, in un Ordinamento intriso dell’assiologia costituzionale che pone al centro il “bisogno” di solidarietà umana, è certamente la sfida dei tempi moderni coordinare le istanze dell’altrui cultura con i paradigmi costitutivi dell’attuale Stato di diritto, “obbligato” a garantire l’integrazione anche mediante la pretesa di adesione al patto sociale che si basa sulla convenzionale idea di convivenza.
Avvocato Francesco Bernardo