Ed ecco un altro pregevole intervento dell’avvocato Francesco Bernardo :
La rieducazione sociale che il Diritto Penale intende esercitare su soggetti ritenuti colpevoli è strettamente connessa al parametro dell’offesa, esistente tra la condotta lesiva posta in essere dal responsabile e il bene giuridico che quella norma penale intende tutelare.
Se, per caso, non vi è offesa al bene giuridico, nonostante una condotta (attiva od omissiva) colposa o dolosa, che integra gli elementi costitutivi della fattispecie, il soggetto non è passibile di rimprovero, di punizione, dunque, di rieducazione.
Si polarizza, dunque, la considerazione per cui il Diritto Penale costituisce extrema ratio e, in chiave garantistica e democratica, si assicura ostracismo a ipotesi di reato di pura disobbedienza al precetto sfornite di offesa.
È nota, presso i costituzionalisti, la tesi per cui lo Stato si caratterizza per il “monopolio legale dell’uso della forza” che, in chiave cogente e punitiva, esercita la propria deterrenza sulle condotte e le interazioni dei cittadini.
La Costituzione Repubblicana (tanto nominata in questo periodo di presunta necessità di formazione del Governo) ha esercitato ed esercita un ruolo dirimente per la modernità garantistica e democratica del Diritto Penale, chiamato ad attivarsi soltanto se si pone in evidenza un fatto, antigiuridico recante offesa a beni giuridici sensibili e strategici.
È in gioco, come si capisce bene, la democrazia, il garantismo, la tutela della libertà individuale la quale si pone su di un piano di presidio necessario tale da imporre agli operatori del diritto (i Giudici che intendano esprimere un giudizio di condanna) la necessità di vagliare se quel fatto attinto abbia o meno recato lesione.
L’imposizione del principio di offensività si esercita anche sul Legislatore, il Quale, nel “confezionare” in Parlamento, ovvero tipizzare un’ipotesi di reato deve descriverla nella maniera più opportuna a indicare la fenomenologia empirica della lesione (vedasi sul punto la famosa sentenza sul “plagio” da parte della Corte Costituzionale degli anni ottanta: ipotesi espunta dall’Ordinamento perché inesistente in natura).
Ha senso parlare di offesa in chiave criminogena ancor più se si pensa alle novità normative e giurisprudenziali in tema di “tenuità del fatto”, considerato il livellamento predisposto dall’Ordinamento sui gradi di offesa ai beni, capace di portare a situazioni di non punibilità.
È certamente nota l’actio finium regundorum ovvero l’attività chiarificatrice della Corte Costituzionale, che sul tema della distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere, ha fatto opportuna applicazione del principio di offensività, considerato che ogni pena deve essere proporzionata al grado dell’offesa al bene giuridico.
In altre parole, il dibattere sulla lieve entità dell’offesa comporta l’assoggettamento a regimi di pena diversi e graduati.
Come si capisce, al grado dell’offesa, oltre ad essere collegata la proporzionalità punitiva, per uno Stato moderno, è collegata la pretesa rieducativa insistente sul soggetto responsabile e condannato, nella prospettiva, condivisibile, di deflazionarne l’assoggettamento a regime carcerario, preferendo sistemi di recupero sociale alternativi.
In questo senso vive e si autolegittima il Diritto Penale accettato e accettabile poiché aderente ad una visione di interventismo attenuato della Giustizia punitiva, limitata alla tutela di entità giuridiche astratte (i beni, dunque) che ne segnano i ritmi di attuazione.
Avvocato Francesco Bernardo