«In Sicilia sono finiti i candidati per Palazzo Madama e probabilmente il Senato avrà un seggio in meno perché abbiamo più seggi che candidati».
Luigi Di Maio dal palco della sua Pomigliano d’Arco si sbilancia, affermando che l’ondata a cinque stelle in Sicilia è stata così inaspettata da aver portato alla luce dei problemi nel nuovo sistema elettorale.
Conquistato tutti e 28 i collegi uninominali dell’isola, oltre al 49% dei consensi, la Sicilia porta in dote al M5S un nutrito numero di parlamentari: 57 eletti, con 28 parlamentari nella quota uninominale.
Alcuni dei vincitori al proporzionale sono già eletti nei collegi uninominali e, in caso di doppia elezione, prevale quella nell’uninominale.
Succede quindi che al proporzionale il successo è così grande che non ci sono abbastanza nomi in lista per occupare tutte le poltrone: per occupare quelle 57 poltrone ci sono solo 53 teste, quattro di meno.
E all’appello mancano tre persone per la Camera e una per il Senato.
Un effetto collaterale non nuovo alla politica, che nelle ultime ore ha acceso il dibattito, così come le polemiche.
Chi occuperà quelle poltrone?
Come verranno suddivisi i seggi?
In base al decreto del Presidente della Repubblica numero 361 del 1957, «qualora una lista abbia esaurito il numero dei candidati presentati in una circoscrizione e non sia quindi possibile attribuire tutti i seggi ad essa spettanti in quella medesima circoscrizione, l’Ufficio centrale nazionale assegna i seggi alla lista nelle altre circoscrizioni in cui la stessa lista abbia la maggiore parte decimale del quoziente non utilizzata, procedendo secondo un ordine decrescente.
Qualora al termine di detta operazione residuino ancora seggi da assegnare alla lista, questi le sono attribuiti nelle altre circoscrizioni in cui la stessa lista abbia la maggiore parte decimale del quoziente già utilizzata, procedendo secondo un ordine decrescente».
Secondo il leader del Movimento in Sicilia, Giancarlo Cancelleri, «abbiamo ottenuto una valanga di voti che ha mandato in tilt persino il sistema elettorale, facendo emergere tutte le criticità di una legge, il Rosatellum, scritta ad arte per fermare il M5s».
Secondo lui, il decreto del 1957 non sarebbe sufficiente: «Se per la Camera la situazione è chiara, per il Senato la norma ha un buco. I seggi a Palazzo Madama sono attribuiti su base regionale: chiederemo un chiarimento ufficiale».
Anche secondo Emanuele Rossi, costituzionalista della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, «nel caso del Senato il Rosatellum presenta un vero e proprio `buco´ che deve essere colmato» perché «se una lista ottiene più seggi dei candidati, alcuni seggi non possono essere assegnati».
La legge andrebbe inoltre corretta per «assicurare la possibilità di proporre un numero di candidati per ciascuna lista pari al numero dei seggi disponibili».
Se ora non si troverà una quadra, si potrebbe ripetere quanto già accaduto nel 2001 con la cosiddetta «legge Mattarella» , quando alla Camera ci fu un numero di deputati inferiore a 630.
Allora la «causa» non fu la valanga di voti ottenuta dalla coalizione della Casa delle libertà, bensì la presenza di numerose «liste civetta», create appositamente per non essere votate.
A mancare all’appello allora furono 12 eletti di Forza Italia: la Commissione elettorale della Cassazione diede un suo parere, ma alla fine la scelta fu politica e Montecitorio arrivò nel luglio 2002 a decidere di non assegnare i seggi.
Ma il «caso siciliano» non dovrebbe essere così grave: il dubbio ora è chi saranno i quattro parlamentari mancanti a rappresentare i siciliani nella prossima legislatura.
Palazzo Madama infatti non potrà eleggere la propria guida finché la Giunta provvisoria per la verifica dei poteri del Senato non dirimerà la questione del seggio conquistato in Sicilia dal Movimento 5 Stelle e non attribuito, per insufficienza dei candidati in lista.
Non un errore dei pentastellati, ma un vero e proprio bug del Rosatellum.
La composizione della Giunta in prima riunione è formata dai componenti rieletti che già ne hanno fatto parte nella scorsa legislatura. La situazione attuale non vede una maggioranza chiara.
Sui nove componenti, tre sono del Pd (Dario Stefano, Ada Ginetti e Giuseppe Cucca), tre del Movimento 5 Stelle (Vito Crimi, Mario Giarrusso e l'espulso Maurizio Buccarella), tre del centrodestra (due di Forza Italia, Giacomo Caliendo e Lucio Malan, e uno della Lega, Erika Stefani).
Va da sé che, in una situazione al 22 marzo ancora di confusione o di mancato accordo, se due o più forze politiche volessero ritardare l'elezione del presidente del Senato, attendendo lo sblocco dell'impasse e cercando di equiparare i tempi ai colleghi di Montecitorio, potrebbero avere uno strumento per farlo.
Si configurerebbe una situazione senza precedenti di caos istituzionale, e forse non si arriverà mai a un punto tale di involuzione della situazione politica.
Ma è un elemento di cui tener conto.
Sarà il forzista Caliendo, in qualità di consigliere anziano, ad assumere la presidenza pro tempore. Da lui e dai suoi colleghi potrebbe passare una fetta del destino della prossima legislatura.
Ma a pressioni tali ci sono abituati.
Sono loro infatti che decisero la decadenza di Silvio Berlusconi da senatore.
Con tutto quel che ne è conseguito.