Che Francesco Gagliardi sia stato e sia un grand’uomo mai avuto dubbi. E credo nemmeno altri. Ma il suo racconto di stasera ne è una conferma infinita. Provate a leggerlo. Io mi sono commosso come non mi succedeva da tempo. E se mi è consentito un suggerimento leggetela ai vostri figli od ai vostri nipoti con tutta la passione di cui sarete capaci.
Un racconto che fa pensare chi ha ancora un cuore.
Ed intanto a tutti , a cominciare da Francesco, BUON NATALE.
“Ho avuto la fortuna di avere una nonna così buona, ma così buona, la compianta nonna Teresa, madre di mia madre, che non mi ha mai sgridato, qualsiasi cosa io facessi.
Ero piccolo quando mia madre si ammalò gravemente e fui costretto ad abbandonare la casa dove abitavo per andare a vivere in casa della nonna alla “Caciarogna”, così si chiama quella località caratteristica del mio paese prospiciente il mare e ridente località “Terramarina”.
Essendo mia madre ammalata stavo quindi giorno e notte con la nonna.
Quando andava in campagna, a “Sangineto”, non mi faceva mai camminare a piedi.
Mi metteva dentro una grande cesta che serviva per fare il bucato e mi portava sulla testa, come facevano le contadine di un tempo.
Ogni sera, poi, prima che mi addormentassi mi raccontava sempre delle storie bellissime.
Di storie e di “rumanze” ancora oggi ne ricordo parecchie.
Ne ricordo una, assai bella, che a distanza di 80 anni è rimasta impressa nella memoria.
Rosa, donna povera, povera, era vedova da tre anni e madre di cinque figli piccoli.
Abitava, fra lo squallore, in un tugurio in Via Pappone.
Ogni giorno, di buon mattino, andava in giro per le campagne circostanti del paese e dava la mano ai contadini ed alle contadine, ai braccianti, ai taglialegna, ai carbonari, a chi aveva bisogno, insomma, della sua opera e così riusciva ad avere un tozzo di pane da portare ai figlioli che nel freddo e nudo magazzino l’aspettavano con ansia e tremanti.
La vigilia di Natale di tantissimi anni fa, mentre fuori infuriava la bufera e dopo aver messo a letto i figlioli, con una lanterna in mano uscì di casa.
Si avviò lentamente verso una località denominata “I Comuni” dove vegetavano e vegetano tuttora alcuni pini ed abeti.
Anche per i suoi bambini mamma Rosa voleva preparare un bell’alberello di Natale con appese castagne, mele, arance e qualche moccolo di candela.
Con un’accetta, che s’era portata dietro, tagliò una giovane pianta di abete, quindi rifece lentamente la strada, mentre il vento pungente tagliava il viso della povera donna.
Prima che arrivasse in paese venne fermata da una guardia campestre e l’alberello le fu sequestrato. Rincasò e risvegliò i suoi bambini.
Un grido di dolore e di sgomento uscì da quelle boccucce.
Intanto dall’unica finestrella dai vetri affumicati era apparsa la testa di un bel signore che guardava commosso quella scena.
Mamma Rosa e i bambini, con gli occhi umidi di pianto, si addormentarono, mentre il freddo si faceva ancora più pungente anche perché il fuoco che ardeva nel piccolo camino si era completamente spento.
Ad un tratto, senza che la porta si aprisse, comparve un uomo.
Aveva con sé un bell’alberello di abete, un fascio di legna e un sacco pieno.
I bambini si svegliarono di soprassalto ed ebbero paura..
Stupiti guardavano quell’uomo, che senza profferire parola, accese il caminetto, preparò un bell’albero di Natale e mise sotto l’albero tantissimi regali.
Poi, senza dare alcuna spiegazione andò via, ma si fermò a spiare dai vetri della finestra.
I bambini saltarono dal pagliericcio poggiato sul pavimento ed incominciarono ad aprire i regali: mele, pere, arance, castagne, noci, caramelle, cioccolata, scarpe, vestitini, pantaloncini, pasta, ceci, lenticchie e due pagnotte di pane ancora calde.
La signora Rosa aprì la porta e non vide nessuno, nemmeno un’orma sulla soffice neve.
Fuori, intanto infuriava la tormenta e la neve cadeva a folate.
Gesù Bambino, quella notte, nel giorno della sua nascita, aveva voluto visitare la stamberga della povera donna e portare un po’ di gioia a quei poveri orfanelli.
Ricordo ancora la voce della nonna e mi sembra di avvertire quel calore che c’era intorno a quella “Vrascera” accesa dove tutta la famiglia era riunita in quell’inverno di circa 80 anni fa.
I nonni di oggi sono capaci di raccontare ai propri nipotini le belle storielle che raccontavano i nonni di una volta?
Ne hanno il tempo e la voglia?
E i nipotini di oggi hanno il tempo e il desiderio di ascoltare le storielle che i nonni vorrebbero raccontare?
Hanno pochissimo tempo, invero.
Col tempo che passano davanti al televisore, al computer, ai video giochi, al tablet, ai telefonini, sono stanchi ed intontiti.
Non hanno tempo per ascoltare la voce dei nonni, figuriamoci le vecchie storie e le “rumanze” inventate da vecchi “rimbambiti” vissuti in un altro mondo, provenienti da un’altra cultura.
Il nostro passato per loro non conta, non interessa. Non lascerà tracce nel loro futuro. Che mondo sarà il loro?
Certamente più bello e più comodo, pieno di divertimenti, pieno di soddisfazioni materiali, ma sul piano affettivo, sul piano dell’esperienza e del sapere spirituale, molto, ma molto povero.