
Riccardo Clemente
Collaboratore dal 2009, da tempo ormai realizza insieme alla redazione articoli su Amantea, ma di fondamentale importanza è il ruolo di "informatore".
Splendidamente, infatti, raccoglie informazioni preziose su vicende locali ed in numerose occasioni ha permesso la realizzazione di veri e propri scoop di cronaca locale realizzati dallo Staff del portale TirrenoNews.Info
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L'uomo del dialogo tra laici e cattolici
Il pluralismo culturale ed educativo a Torino ha nel Centro “Pannunzio”, diretto dal prof. Pier Franco Quaglieni, un punto essenziale di riferimento, contrastando ogni tendenza “monocolore”, anche se “laica, di sinistra” dei tempi della Giunta Bresso e del collegato “Circolo dei lettori”.
Tre punti essenziali di referimento: la fedeltà alla Repubblica nata dalla Resistenza (esemplare la rivalutazione del “partigiano bianco” Valdo Fusi con il sostegno intelligente alla riedizione del celeberrimo Fiori rossi al Martinetto); il dialogo laici-cattolici, con un interesse non formale alla dimensione religiosa della nostra storia; il rilancio del filone liberaldemocratico, come una delle colonne delle istituzioni e della società civile.
L’impegno del prof. Quaglieni (cui l’Ordine dei Giornalisti ha assicurato una collaborazione significativa e non formale) s’inscrive nella linea di una minoranza intelligente, mai rassegnata o rinunciataria, fedele alla “mission” del suo grande fondatore, Mario Pannunzio, leader carismatico nel mondo intellettuale e giornalistico, con un foglio che “pesava”, anche se non aveva i numeri del “Corriere della Sera” o de “La Stampa” di Giulio De Benedetti.
Peraltro la storia c’insegna che Cavour promosse l’unità d’Italia con una pubblicazione che non superava le 1.500 copie (“Il Risorgimento”), ma molto più incisiva della “Gazzetta del Popolo” di Botero (25 mila copie).
L’iniziativa torinese del “Pannunzio” del prof. Quaglieni è come “la goccia che scava la pietra”, con una permanente disponiblità al confronto, mai alla subalternità ai “poteri forti”, industriali finanziari o politici. Questo filo ininterrotto, che ha superato la prima e la seconda Repubblica, prosegue il suo percorso anche nella terza, che sta per aprirsi con la XVII legislatura repubblicana. In una “politica politicante”, in un giornalismo che sembra premiare chi urla di più, ove l’apparenza sembra dominare sul contenuto delle idee e dei valori, la serietà, la concretezza e il senso dello Stato del “Pannunzio” permangono un essenziale punto di riferimento. Per questo l’augurio di “buon lavoro” al prof. Quaglieni è sincero e valido, come 45 anni fa, nonostante l’apparente trionfo dei populismi, di destra e di sinistra. La fede nel dialogo e nella ragione appare ancor più essenziale per il futuro democratico del Paese.
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Lorenzo Infantino racconta il prof. Pier Franco Quaglieni
Giovedì, 22 Settembre 2016 16:43 Pubblicato in Italia Pier Franco Quaglieni è un gentiluomo di altri tempi, il cui comportamento si caratterizza per un grande rispetto nei confronti del prossimo e per una spontanea e straordinaria generosità nei confronti degli amici.
Questi suoi tratti facilitano a chiunque l’ingresso nel suo mondo, che è poi un luogo popolato soprattutto da figure esemplari, da vite motivate da molto nobili ideali.
Si comprende così la ragione per la quale, sin dalla fondazione, egli ha legato il suo nome al Centro “Pannunzio” di Torino, che dirige ormai da quarantacinqueanni.
Nei momenti cruciali della storia del Novecento, il nostro Paese ha patito di un deficit di cultura liberale. Se ciò non si fosse verificato, non avremmo avuto l’affermazione del fascismo.
Poi, nel secondo dopoguerra, i princìpi liberali hanno svolto una rilevante funzione soprattutto tramite l’opera di Luigi Einaudi.
Ma questi ha lasciato un vuoto politico rimasto incolmato e un vuoto culturale in cui hanno agito delle minoranze, che hanno dovuto severamente lottare per la propria sopravvivenza. Si è verificato un paradosso: abbiamo beneficiato di un benessere direttamente ascrivibile alla libertà individuale di scelta, ma non sono stati molti coloro che sono stati capaci di individuare e accettare la ragione di quel benessere.
Gli anni Sessanta hanno portato la morte di Einaudi; e hanno pure generato una sorta di eclissi culturale, che ha oscurato i princìpi della cultura liberale. Quando nel 1975, l’Accademia dei Lincei ha organizzato la commemorazione del centenario della nascita di Einaudi, si sono trovati a discutere relatori di prevalente orientamento interventistico. Ne ha preso parte anche Friedrich A. von Hayek, fresco di premio Nobel. Ma la sua presenza è stata percepita come qualcosa di ormai fuori dal tempo. Contro ogni ragionevolezza, è sembrato che il mondo dovesse andare in tutt’altra direzione. Molti ne erano convinti. Non hanno percepito i pericoli per la libertà individuale di scelta e per lo sviluppo economico e sociale.
Come altre associazioni della specie, il Centro “Pannunzio” ha svolto la sua opera di orientamento culturale in un contesto storico-sociale estraneo (e ostile) ai princìpi liberali.
Pier Franco Quaglieni ha dovuto quindi muovere i suoi passi, camminando controcorrente.
Molto del suo tempo è stato puro contrattempo, perché in radicale contrasto con i suoi ideali di vita. Ma egli non si è lasciato sopraffare.
E l’esito dei processi sociali, che sempre si sottrae al dominio di presuntuosi controllori, lo ha ripagato abbondantemente. Viviamo oggi una “rivoluzione telematica”, che mette a disposizione di ciascuno giganteschi flussi di informazione, i quali alimentano un permanente procedimento di esplorazione dell’ignoto e di correzione degli errori. È l’affermazione pratica dei princìpi coltivati da Quaglieni.
Ed è una situazione esattamente opposta a quella immaginata dalla cultura della pianificazione. Manon è tutto. Quel che in Quaglieni è esemplare non è solo la difesa della cultura liberale.
È anche il fatto che egli abbia compiuto la sua opera con estremo equilibrio: perché quel che condanna spesso all’insuccesso una buona idea è presentarla in misura abnorme.
Stefano Bruno Galli racconta Pier Franco Quaglieni
Giovedì, 22 Settembre 2016 16:29 Pubblicato in ItaliaHo conosciuto il professor Pier Franco Quaglieni qualche anno fa, quando mi ha invitato a Torino a una delle tante – e intelligenti – iniziative culturali del Centro “Pannunzio”, che lui anima con grande impegno e instancabile passione.
L’argomento dell’incontro era di quelli che fanno discutere: «Patriottismo e federalismo nel Risorgimento».
Si trattava della manifestazione inaugurale del ciclo di incontri celebrativi che avrebbe caratterizzato, nel 2011, il 150mo dell’Unità.
Ricordo che con me, sul palco, c’erano Emilio Papa e Sergio Pistone. Arrivai tutto trafelato e non risparmiai nessuna bordata alla visione patriottarda – non patriottica nel senso alto del termine – delle vicende risorgimentali, sostenendo con forza dialettica e senza esitazioni ideologiche le ragioni del federalismo. Evidentemente questo federalista ‘impenitente’ – quale mi considero – era risultato simpatico al professor Quaglieni.
Tanto che m’invitò poi al convegno celebrativo del cinquantenario della morte di Luigi Einaudi. Tema del mio intervento – ça va sans dire! – il federalismo dello statista di Carrù.
Anche in quella circostanza non mi tirai indietro. E alla fine della serata, Pier Franco m’invitò a cena. Mi diede appuntamento di fronte a Palazzo Carignano nei pressi della statua di Vincenzo Gioberti e mi portò al “Cambio”, facendomi sedere esattamente dove si accomodava Cavour – com’è ricordato da una targa – e ‘imponendomi’ una cena del tutto cavouriana. Inutile dire che l’ironia caratterizzò la nostra gradevolissima conversazione a tavola.
Questi due brevi cenni per riconoscere all’amico Pier Franco l’acutezza di pensiero, la capacità di ascolto e l’ironia, che sono virtù assai rare. Cerco di spiegarmi. Sono convinto che, per una folla di ragioni, non ultima quella di assistere alla strumentalizzazione ideologica del giubileo della patria, il Paese abbia perduto, nel 2011, una grande occasione: quella di riflettere criticamente sulle grandi aporie – vale a dire sulle contraddizioni – della storia d’Italia. E tuttavia, organizzare un convegno su «Patriottismo e federalismo nel Risorgimento» certifica la volontà di Pier Franco di scavare in profondità e risolutamente dentro queste contraddizioni, senza inseguire il ‘politicamente corretto’. Così come l’organizzare un convegno sulla figura di Einaudi – così trascurata dalla storiografia perché ‘schiacciata’ dalla concomitanza del 150mo dell’Unità – nel cinquantenario della morte gli fa solo onore.
La capacità di ascolto è confermata dalla sua costante apertura e dalla sua tensione all’ascolto delle ragioni degli altri. Com’è nel mio caso visto che non sono solo uno studioso di federalismo, ma anche un federalista autonomista, e da molti anni, da quando portavo le braghe corte; visto che non risparmio – e non ho mai risparmiato – severe critiche al processo di unificazione nazionale. Infine l’ironia, comprovata dall’invito a cena al “Cambio”.
Una cena che mi ricordo benissimo, come se l’avessi consumata ieri sera. E che ripeterei molto volentieri. Ovviamente con Pier Franco, un vero liberale come non ne esistono più.