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E’ un mondo incredibile il nostro.

A milioni scappano dall’Africa o dall’Asia per venire in Italia, in Europa.

Sono fughe, non viaggi.

Fughe che lasciano scie di morte.

Non solo a bordo delle carrette del mare, ma anche nei deserti che occorre percorrere fino alle coste del mediterraneo.

Ma di queste morti, di queste stragi, individuali o plurime si viene a sapere molto poco.

È il caso dei 35 morti per sete. Migranti dal Niger rimasti nel deserto per un guasto al camion.

Pochi i superstiti. Si parla di meno di 20 persone che sono riuscite ad arrivare fino alla più vicina oasi o ad un altro punto di soccorso.

Ne ha parlato Rhissa Feltou, il sindaco di Agadez, la principale città nel nord del Paese africano.

Da Arlit il 15 ottobre erano partiti 2 camion con «una sessantina di migranti». Erano sicuramente diretti verso Tamanrasset il luogo dal quale passano migliaia e migliaia di profughi, un luogo senza legge.

Da qui due sole strade . Una diretta verso Ain Salah e poi il viaggio verso la Spagna che non permette l’accesso.

L’altra verso Gadamis o Sabha per entrare nella Libia e da qui verso l’Italia.

Ma uno dei due mezzi si è guastato fermandosi; l’altro, senza nessuno a bordo, è partito per cercare pezzi di ricambio e tentare una possibile riparazione dei guasti.

I migranti sono rimasti a piedi ed hanno cercato in piccoli gruppi un’oasi.

Qualcuno è ritornato indietro fino ad Arlit dando l’allarme

Secondo il responsabile della Ong Synergie, Azaoua Mamane, tra i migranti «c’erano famiglie intere, per questo c’erano tante donne e bambini”

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Tre anni dopo l'uscita di "Ultima notte a Mala Strana" il cantautore calabrese torna in Repubblica Ceca per una serie di 5 concerti insieme a Paolo Baglioni alla batteria e Italo Andriani al basso

Dopo l'anteprima al Jazz Club di Teplice (biglietti esauriti da due settimane) e il concerto di Usti ci saranno tre spettacoli consecutivi al Jazz Doc di Praga

Il 4 novembre ci sarà il concerto a Budapest nel calendario della seconda edizione della rassegna "Suoni Italiani di ieri e di oggi" organizzata dall'Istituto Italiano di Cultura della capitale ungherese

Il 31 ottobre a Praga presso la sede dall'Istituto Italiano di Cultura e il 5 e il 6 novembre a Budapest presso il Liceo bilingue Szent László e presso il Dipartimento di Italianistica dell’Universitá Péter Pázmány di Budapest e Piliscsaba Voltarelli terrà un incontro sulla canzone italiana

Gli appuntamenti

26/10 Teplice Jazz Club (Repubblica Ceca)

28/10 Usti Mumie (Repubblica Ceca)

31/10 Praga Jazz Doc (Repubblica Ceca)

1/11   Praga Jazz Doc (Repubblica Ceca)

2 /11   Praga Jazz Doc (Repubblica Ceca)

4/11   Budapest (Ungheria) Istituto Italiano di Cultura

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Un giornalista sensibile racconta una storia di solitudine e di abbandono di alcuni profughi che vivono su una terrazza che si è trasformata nel rifugio di alcuni senzatetto del quartiere.

Descrive uno scenario fatto di lenzuola, indumenti e materassi accatastati l’uno sull’altro.

Conosce Khaled, un marocchino che da quasi quindici anni si è trasferito in Italia.

Narra della sua vergogna a mostrarsi, del fatto che vive di elemosina e di piccoli lavoretti, quando riesce a trovarne.

Khaled, ha gli occhi stanchi e gli dice di essere tornato da poco, dopo una lunga giornata senza aver guadagnato quasi nulla, mangiando dove e quando può, e senza avere la possibilità di accedere sempre alle mense pubbliche.

Una vicenda strappalacrime, così tanto che un qualsiasi lettore sarà obbligato a chiedersi perché Khaled continui a restare in questa Italia insensibile al suo dramma ( salvo il giornalista, ovviamente) e non ritorni nel suo paese dove SICURAMENTE starebbe meglio, dove avrebbe di che mangiare ogni giorno e dove dormire ogni notte, dove avrebbe la speranza di un futuro roseo e non a certezza di un futuro nero e drammatico come quello che aspetta in quel di Napoli.

Perchè insomma un quotidiano infame e senza futuro e non la sua terra, la sua patria.

Che cosa ha lasciato Khaled per fargli accettare questa condizione impossibile?

E’ venuto qui in Italia pieno di speranze ed ora il ritorno in patria sarebbe una inaccettabile confessione del fallimento ?

Non solo ma in questo tugurio sempre più spesso ci sono“nuovi arrivi”.

E quando sono in parecchi e si ubriacano “urlano e danno fastidio, a volte arrivano anche alle mani”.

Tanto che i condomini, sono stati costretti a rivolgersi alle forze dell’ordine per liberare la zona.

Sgomberi eseguiti puntualmente anche se puntualmente la necessità riporta questi “clochard a occupare nuovamente il posto”.

Poi la reazione delle gang e dei delinquenti del quartiere che li violentano.

Quante sono le situazioni simili in Italia?

E che cosa occorre fare?

Rimpatriare queste persone come faceva l’America agli inizi del novecento?

Chiedere al governo tunisino ed alla famiglia di rimpatriare essi Khaled ?

Chiedere alla Chiesa il minimo della assistenza dovuta?

Assistere a spese dello Stato Khaled e quanti altri a tal punto verranno in Italia?

Far finta di niente, leggere l’articolo e farselo scorrere sulla pelle?

Chiedersi se sia umanamente giusto che i giornalisti che vengono a conoscenza di queste situazioni drammatiche rimangano inerti o chieder loro di adottarne uno per dargli speranza ed amore e non solo parole.

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