Un altro stimolo a riflettere. Gigi come per sua scelta, abitudine e capacità vola alto e tenta di dare le ali anche a noi ed ai nostri lettori, alternando i sogni e le speranze alle gravi e tristi realtà sociali.
“Lasciando le strutture universitarie nordamericane ed entrando nel “vero” mondo del lavoro in Italia a Roma presso la Rai, ho avuto a che fare con persone che consideravano “compagni” solo gli appartenenti al loro partito. Così sono sempre stato trattato come un momentaneo compagno di viaggio. Pur essendo favorevole alla “sinistra”, non mi passerebbe per la testa di votare per fornire a quello che penso sia il significato di una decisione. Considerando la cosa in maniera razionale, questo modo di pensare sembra essere assurdo e dunque non ammissibile. Ma quando l’ideologia si sgretola….. era l’estate del 1971 e mi trovavo a percorrere in macchina con l’amico fraterno Orly il lungofiume Saskatchewan nella città di Edmonton. All’improvviso scoppiai a piangere e a ripetere che tutto era finito. Orly mi portò al pronto soccorso ospedaliero dell’università dove passai la notte.
La mattina dopo, tutto era stato rimosso e mi recai a lezione di filosofia. Quando l’ideologia va in frantumi, resta solo qualche antica credenza che da “al pensiero una valenza magica”. Ciò che mi restava erano alcuni principi dell’individualismo anglosassone. Ero ancora molto attratto dal PC ma sapevo di non farne parte e che il mio posto era insieme a quella minoranza umana che non avrebbe mai mangiato merda. Mi sono visto solitario ma in pace con me stesso come quando facevo il portiere nel calcio, il tennista e giocatore di golf.
L’elemento positivo in questo era ed è una ripugnanza per il suffragio universale, con l’idea che il voto non potrebbe mai rappresentare il vero pensiero di un uomo. Ci vollero anni per capire che cosa mi aveva sempre dato fastidio nel cosiddetto “suffragio universale”. Il voto, creato della liberal-democrazia occidentale, può servire solo alla democrazia “indiretta” e cioè al grande pastrocchio. Così dopo una trentina di anni passati in Rai, sono tornato a “vivere” nel luogo che mi vide nascere quando del piccolo atomo incontaminato se ne impossessarono i potenti del mondo e lo trasformarono in un fungo di morte.
Quando la radio stava per lasciare parzialmente il posto alla televisione. In questa terra bagnata dal mare di Ulisse, mi limito a scribacchiare, ma ancora simpatizzante con la Sinistra della mia mente. Pensavo di essermi lasciato alle spalle tante brutture, dalle quali in realtà non mi ero mai allontanato. In questi miei “scritti” ho cercato di mettere a punto una serie di strumenti di inchiesta che permettessero a tutti di prendere coscienza che tutti i fatti sociali riflettono, anche se a livelli diversi, le strutture collettive in cui si sono prodotte e che dunque, un qualsiasi fatto di cronaca è altrettanto importante e significativo di un qualsiasi evento “politico”.
Per non essere frainteso: tutto è politica, per dire che qualsiasi fatto o evento mette in discussione la collettività nel suo insieme e trova il suo naturale sbocco nel sacrosanto diritto di ribellarsi, di contestare. Sarà la stanchezza e la nausea per la moderna politica spettacolo, sarà il senso d'impotenza generato in tutti, e non solo negli uomini di cultura, dal consumarsi di drammi come quello della Siria o della Libia. o d'Albania. E allora bisogna chiedersi: non aveva ragione, dopo tutto, il vecchio Thomas Mann, quando invocava l'impoliticità? E la sua Kultur alla tedesca, intesa come "spiritualità, liberta' interiore, passione per l'arte", non era forse davvero preferibile alla Zivilisation, la civilizzazione occidentale basata sull'eguaglianza, il culto per la politica e quel che oggi definiremmo "buonismo"? L’impoliticità porta alla luce un pericolo oggettivo insito nell’ideologia dell'impegno, come quella liberaldemocratica. Thomas Mann aveva capito che la società moderna e contemporanea, e in particolare quella delle democrazie occidentali che avversava in quel momento, sviluppa automaticamente una crescente invadenza nella vita dell'individuo: “i sentimenti, l'arte, tutto cio' che non e' immediatamente politicizzabile e moralizzabile.
Questa e' una forma di totalitarismo strisciante che non lascia all'individuo nessuno spazio veramente suo".Rischiando di passare per un arrogante saputello, val la pena ricordare che la politica riguarda il comportamento della società, mentre l’etica quello dell’individuo. Per Platone il cittadino e l’uomo erano ancora un tutt’uno ma con l’avvento di Aristotele il punto di partenza è stato “l’uomo è per natura un animale politico”. Affermando che né gli animali né gli dei potevano essere politici: solo l’uomo lo è”. Questo significa che l’uomo è legato ad una vita comunitaria con gli altri. Anche altri animali lo fanno, ma è un fatto istintivo. In loro manca l’aspetto organizzativo. Essere un animale politico per l’uomo vuol dire anche rifiutare il cosiddetto “contrattualismo” secondo il quale lo stato è un contratto, una convenzione fatta a tavolino dagli uomini, semplicemente perché stare insieme è vantaggioso. Non è così per Aristotele che pensa, e non gli si può dare torto, che gli uomini vivono insieme per attitudine naturale. Anche se l’uomo avesse tutto ciò di cui necessita e fosse autonomo tenderebbe sempre a vivere insieme agli altri.
Questo dovrebbe essere il punto di partenza e richiede un coinvolgimento politico collettivo, non partitico, ma nel senso necessario di orientare queste “inchieste” e dare ad esse risposte al fine di migliorare la vita sociale ed economica di questa terra.
Gigino A Pellegrini & G el Tarik