Oh, mia patria sì bella e perduta! Oh, membranza sì cara e fatal! Arpa d'or dei fatidici vati, perché muta dal salice pendi?
Con tutti i rigurgiti emotivi possibili verso il proprio paese, lo sciorinamento del proprio amore per lo stesso; il mio cuore ha la stessa origine genetica di quello di Egidio, di Franco, di Giugiù, di Manfredo e di Orfeo. I nostri cuori sono gemelli monozigoti, derivano da una stessa cellula. Tuttavia, questo paese è un pozzo di putridume e di sangue che sembra davvero senza fondo, e più si scava, più sono le atrocità intollerabili che vengono alla luce. Ciò che questo scritto, ancora una volta, vuole sottolineare è il ridicolo e il disprezzo che ci tiriamo addosso a livello nazionale. Queste righe non seguiranno l’onda anomala della retorica istituzionale sulla Calabria, evidenziando il vastissimo campionario di banalità cui ispirarci: dalla “Calabria più bella delle Hawaii”, alla “Calabria, Mediterraneo da scoprire” una delle tante stupide e fuorvianti campagne pubblicitarie dell’amministrazione regionale. Tentativo fallimentare , quello della Regione Calabria, di screditare “Calabria Mediterraneo da coprire”, corredata da una serie infinita di scempi ambientali. Una iniziativa che fece gridare all’orrore ed al tradimento da parte di quegli stessi politici le cui “opere” costituivano e continuano a costituire il più perfetto tradimento ed il più sfrontato scandalo che fossero mai stati perpetrati ai danni della Calabria. Tutti noi calabresi siamo al corrente che la nostra regione è una delle regioni più disastrate della vecchia Europa, paragonabile, per caos urbanistico, per disordine sociale, per la negazione della bellezza e per il gusto dell’orrido, solo a qualche paese del terzo mondo o quarto mondo; dove però c’è l’attenuante della mancanza di una qualsiasi forma di convivenza sociale e della povertà (quella vera, non quella, altrettanto retoricamente, sbandierata dai nostri politici buontemponi). Altrettanto, bisogna gridare ai sette venti e ad alta voce che il peggio lo fanno le stesse amministrazioni pubbliche locali, cui si accodano, per spirito di emulazione, i privati. Perché, mi chiedono, continuo ad ostinarmi nel denunciare tutte le malefatte, i soprusi, gli imbrogli di chi detiene il potere in Amantea? La mia risposta è semplice: “L’amore incondizionato per il luogo che mi ha dato i natali”. Trovo insopportabile la prepotenza degli smargiassi, dei boriosi e dei taglieggiatori di ogni specie, in particolare quando si sentono forti con i deboli con i disagiati e gli sprovveduti. Questi signori scaricano la loro bestialità addosso a qualcuno che cerca dimora, un lavoro dignitoso per non finire nelle maglie della delinquenza. Gli stessi prepotenti scatenano la loro nauseabonda arroganza addosso a persone che onestamente cercano di guadagnarsi da vivere; mentre non battono ciglia davanti agli amici che non pagano da 30 anni l’occupazione di suolo demaniale e addirittura ne rivendicano la proprietà. Altri amici dei potenti hanno deciso di proibire agli Amanteani di farsi un bagno sul suolo demaniale, perché qualcuno ha deciso di rivendicarne la gestione. Un gruppo di uomini “armati” che se la prendono con cittadini indifesi. “Uomini”, me ne rendo conto, è una parola grossa per dei vermi a due zampe. Questa violenza assurda, stupida e soprattutto vigliacca di chi sa di poter contare sull’impunità assicurata da un regime liberal democratico. Sono passati dalla deturpazione, dall’imbrattamento della nostra gloriosa storia passata, alla passerella con tanto di fascia tricolore davanti alle “autorità” nazionali. In anni di richieste di chiarimenti su di una montagna di interrogativi, l’amministrazione comunale non ha mai ritenuto doveroso dare una risposta ai cittadini. Il Siracusano Dionisio dopo avere assalito e spogliato il tempio di Proserpina a Locri, e mentre navigava attraverso il mare con il vento favorevole per tornare a Siracusa, non temeva l’ira degli dei, e ridendo diceva agli amici: “Vedete, non è forse concessa una buona navigazione dagli dei immortali ai sacrileghi?” Spesso, rubava piatti d’oro e d’argento nei santuari, e portava via anche vittorie d’oro, coppe e corone, le quali pendevano dalle braccia delle statue, dicendo: “Io le accetto non le rubo, poiché è sciocco non prendere da coloro dai quali chiediamo favori, quei doni che vengono offerti a noi affinché noi li otteniamo”. Gigino A Pellegrini & G el Tarik