Anche nella nostra città sono incominciati i saldi invernali e le vetrine dei negozi sono tappezzate con scritte di vari colori: Sale! Sale! Super Sale! Mid Season Sale! E il pepe? Quello lo dobbiamo comprare a supermercati Conad, Sidis, Coop, etc. Ma troppo sale non fa male? Certo. E allora lasciamolo in cucina e usiamolo con parsimonia per condire le pietanze.
L’altro giorno, attratto dai cartelloni multicolori di una vetrina di un famoso negozio di Corso Mazzini in Cosenza, sono entrato dentro e una bellissima commessa si è avvicinata e mi ha detto :-Si accomodi, Signore. Alla cassa c’è un ulteriore sale del 10%-. Ma quanto sale. Sale dappertutto. Ma io non volevo sale, non sapevo cosa farmene, volevo un cappotto. – Ma certo, certo, per il cappotto andiamo di là – mi dice la commessa. Risposi: - Ho capito, di qua vendete il sale, di là roba di abbigliamento. Non mi raccapezzo più con tutte queste parole inglesi che oggi vanno molto di moda -.
Quando leggo la parola “Sale” sulla vetrina dei negozi quanti ricordi mi vengono alla mente, ricordi di tantissimi anni fa, quando ancora ragazzo e con i pantaloncini corti, alla fine della seconda guerra mondiale, sbarcai a New York con la motonave Vulcania insieme a mia madre Teodora. Ricordi lieti ripescati nei meandri della mia memoria che mi hanno riportato indietro nel tempo quando tutto mi sembrava felice.
Io sapevo leggere e scrivere perché avevo frequentato la prima media, mia madre, invece, avendo frequentato appena la seconda elementare, a stento riusciva a leggere qualche cosa. Andammo ad abitare in un paesino della Contea di Cambria, Colver, paese minerario della Pennsylvania dove nella miniera di carbone, The EbensburgCoal Mine Company, lavorava mio padre Salvatore. Ogni sabato andavamo a fare la spesa settimanale nei supermercati dei paesi vicini con la macchina di mio padre, una lunga De Soto, Mia madre, molto curiosa, osservava attentamente il paesaggio, molto diverso dal paesaggio calabrese, per coglierne ogni piccola sfumatura e si soffermava a leggere a modo suo i diversi cartelloni pubblicitari e i cartelli affissi ai muri delle case. Si meravigliava quando poi vedeva tutte quelle automobili con il solo autista che sfrecciavano lungo la Statale. Mi diceva – Guarda Frank – avevo cambiato il mio nome, non più Ciccio come in Calabria – quante macchine e solamente con l’autista-. In Calabria, invece, quelle macchine che ogni tanto si vedevano passare dalle nostre strade erano sempre piene zeppe, alcuni passeggeri stavano finanche sulle staffe. – Guarda, Frank – e mi indicava le scritte colorate sui muri delle case, sulle vetrine dei negozi, sui cartelloni pubblicitari, - quanto sale si vende qui in America. Sale dappertutto. Da noi il sale si vende solamente nelle tabaccherie ed è monopolio di Stato. In Calabria se volevi un Kg di sale dovevi andare per forza in un negozio di Sale e Tabacchi. In San Pietro in Amantea esclusivamente nel negozio di Nmienzuu Largu di Don Alfonso Policicchio-.
-Ma- rispondevo io sorridendo – Qui non vendono sale- E lei di rimando:- E se non vendono sale perché mettono tutti quei cartelli con la scritta sale?- .Ma, sale qui in America, vuol dire: vendita –
-Ohi, Ci, non ci capisco più niente. Ccacce su cose strane. Le macchine le chiamanu carri. Ma i carri dalle nostre parti sono tirati dai buoi. Le vie sono larghe e le chiamano “street”, a ttiaanucangiatupuru u nume, non sei più Ciccio ma Frank, pattritta era partito dall’Italia e si chiamava Salvatore e ora qui lo chiamano Sam, ed io che sono la moglie di Salvatore mi dicono che sono un suo guaio (Wife). Ma che lingua parlano, Ci? Iamunindeallu paesi nuostru. Non fa niente che non abbiamo u carru e il baccaus (Back House ) e lo sciacquone con la catinella, la coca cola, la 7up, l’icecream e le sciuse (shoes-Scarpe) pizzute. Avimu u dialettunuostru che è na ricchezza e gallinelle nell’orticiellu, a capretta, u purcelluzzu, e le ficupricessotte-.(Francesco Gagliardi)