In hoc signo vinces: è la frase latina, dal significato letterale: "con questo segno vincerai", traduzione del greco ἐν τούτῳ νίκα (letteralmente: "con questo vinci").
La comparsa in cielo di questa scritta accanto a una croce sarebbe uno dei segni prodigiosi che avrebbero preceduto la battaglia di Ponte Milvio.
Ma quello fu un miracolo. Oggi non si vince con un simbolo; nemmeno fosse la croce.
Il campo comunque fu una guerra, come guerra è quella che si compie quando c’è una competizione politica.
In questa, ed altre occasioni, si legge un vero e proprio “jus ad bellum”, cioè il "diritto di fare la guerra".
Un guerra che non è “inhonesta” cioè "intrinsecamente illecita" quando:
-Ci si deve difendere dagli attacchi del “nemico” od avversario;
- Sia dichiarata nel caso dalla "legittima autorità" (legitima auctoritas);
-Sia intrapresa per una "giusta causa" (iusta causa),
Certo che durante la guerra deve comunque essere rispettato lo “jus in bello”, cioè deve esserci sempre il "diritto durante la guerra".
Ora sembra che la guerra, vera od apparente, fate voi, che notiamo esserci, almeno a giudicare da quanto sentiamo, sembra poter essere ascritta a tre grandi tipologie( e tante sottotipologie)
La guerra dei palchi e del web: Si spara , cioè, da lontano, con parole che sembrano cannonate e che a loro volta inducono reazioni;
La guerra delle insidie: come sembra essere avvenuto con registrazioni fatte dai cittadini di richieste, più o meno intense, pressanti, minacciose, intimidatorie, eccetera e che poi vengono diffuse tra gli elettori:
La guerra delle dolci parole , dell’amore , del”damose na mano”, del “tanto semo tutti eguali”, del “che serve la guerra se poi tutto sommato semo amici?”.
Insomma c’è chi pensa che la guerra logori chi la fa e ci la subisce, produce feriti, morti, dolore.
Meglio allora che giochiamo, anche facendo finta di fare politica; nel senso che “così vanno le cose” ed allora non ha senso arrabbiarsi, tanto niente cambierà il destino, ancorchè amaro e triste, tanto meno le parole.
E pensare che un popolo di cantanti o canzoni dimentica quella di Gianni Morandi dal medesimo titolo che diceva : “Così vanno le cose, nessuno in questo mondo può aspettarsi solo rose, bisogna andare avanti, cercare di provarci, avvicinarsi al sole anche a costo di bruciarsi”.
E poi concludeva :"Brucerò felice ora che la nave va e che ormai è impossibile la normalità: io saluto la statua della libertà".