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Stamattina alla radio qualcuno parlava di Giovanni Verga che diceva: “ Il mare non ha paese nemmen lui, ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare, di qua e di là dove nasce e muore il sole”.

 

Oggi in Calabria, sempre di più, ci si preoccupa solo del malaffare dei politici, senza guardare al paesaggio e all’ambiente.

Al mare, in particolar modo che potrebbe dare delle grandi soddisfazioni come quelle di un tempo. Spero che, non solo chi direttamente interessato, possa aderire a questo urlo di protesta, ed un giorno avventurarsi per i magnifici paesaggi del suolo calabrese e fare un bagno nelle acque limpide e pulite del mare di Ulisse.

Il turismo sarebbe teoricamente una delle nostre più grandi risorse. Scrivo di questo “urlo” affinché molti cittadini possano sentirsi meno dimenticati.

Gli amministratori calabresi non possono abbandonare il proprio meraviglioso mare in questo modo, non possono privare ai propri e legittimi cittadini questo azzurro elemento.

Bisogna tutelare le bellezze del territorio, e non lasciarle alla deriva, i depuratori funzionano (dicono), il problema maggiore sono tutte le porcherie che vengono scaricate in mare. La Regione Calabria e la Provincia di Cosenza e tutti i suoi comuni che si affacciano sull’Ulisse mare, con i fondi stanziati dal Governo dovrebbero mettersi in moto immediatamente sia per la salute dei cittadini sia per quella degli ipotetici turisti che potrebbero giungere sino alle nostre coste. Non più tardi di qualche anno fa il nostro carissimo, attuale, presidente della Regione Gerardo Mario Oliverio sosteneva che l’acqua del nostro mare fosse così pulita che addirittura “si poteva bere”, la sua lotta contro le “male lingue” è stata così energica da meritargli un premio: il Tapiro d’oro.

 

A questo punto bisognerà invitarlo a brindare con un bicchiere colmo d’acqua del nostro ‘pulitissimo’ mare”. Sono anni che l’acqua del mare di Ulisse é sporca, che si é impossibilitati a fare il bagno, che si aspetta che la corrente porti con se la melma che quasi per tutto il giorno giunge a riva.

I più coraggiosi possono raccontare di aver letteralmente nuotato in un mare di merda, tra pannolini ed assorbenti, ed il giorno dopo essersi svegliati con eruzioni cutanee al pronto soccorso. 

Pesci con malformazioni alla colonna vertebrale e aspetto deforme sono stati pescati poco tempo fa in questo sacro mare. 

Il valore più elevato riguarda una componente ritenuta da molti ricercatori tra i responsabili di mutamenti genetici negli animali.

Ma anche pericolosa per la stessa salute dell’uomo visto che è stato accertato il suo effetto cancerogeno. Anche il monitoraggio di Goletta Verde di Legambiente lo conferma: l’80% della costa calabrese risulta inquinato.

Per dissipare i sospetti diffusi ovunque, anche attraverso i social, è necessario informare sulle reali condizioni dello stato di salute del mare e delle spiagge non solo di Amantea ma di tutti i 716 Km di coste della regione.

Nell’interesse della Calabria e dell’intero ex Bel Paese, s’impone la necessità di informare con dati certi e verificabili sull’intero patrimonio costiero regionale. Un patrimonio di terre e acque ricche di minerali e sostanze che, tra l’altro, alimentano una grande varietà di vegetali e animali e anche di quei preziosi prodotti enogastronomici presi in considerazione dal New York Times per inserire la Calabria tra i luoghi da visitare nel 2017. E’ necessaria la mobilitazione dei cittadini indignati dalle condizioni in cui versano anche quest’anno le acque del Tirreno cosentino e di tutta la Calabria. Una mobilitazione popolare per tutelare ambiente e cittadini. Un messaggio forte indirizzato al governatore della Regione Calabria Mario Oliverio, al presidente della Provincia di Cosenza Mario Occhiuto e alla Procura della Repubblica con il quale si intende denunciare le precarie condizioni delle acque del Tirreno cosentino.

Roma 4 luglio 2017                Gigino A Pellegrini

Pubblicato in Amantea Futura

gigino22C’è un aspetto importante che va oltre il prendere atto che viviamo in una società di narcisisti patologici.

 

Freud, ma anche Jung, sapevano bene che il narcisista per un terapista è quasi incurabile, perché non vede gli altri, e vive in una sorta di delirio dove conta soltanto quello che si fa, il proprio aspetto, e il successo che si riscuote.

 

Vanità Illusione. Docile si arrende al dio migliore.

Vanità è uno " stato mentale ", un "mood" che devi condividere da dentro, è un modo di essere , è amore per la natura e per l ‘ambiente, è un voler essere sano e bello!

 

Sulle colline che confinano con Amantea viveva un lince. Ogni volta che passava vicino ad una pozza d’acqua non perdeva l’occasione di specchiarvisi. “Come sono bello!” diceva ogni volta tra sé.
“Ho un muso elegante, e le orecchie, poi, sono meravigliose. Nessun gatto ha le orecchie più slanciate e maestose delle mie!” Non si sarebbe mai allontanato dall’acqua, tanto gli piaceva ammirarsi in essa. Erano proprio le sue orecchie che lo rendevano fiero, Aveva anche gambe lunghe e snelle, ma a quelle non badava, perché anche i suoi simili le avevano uguali. Apprezzava quell’ornamento ai lati della testa a tal punto che, in caso di disgrazia, avrebbe preferito spezzarsi una gamba piuttosto che rovinarsi le orecchie.
Ma venne il giorno in cui dovette accorgersi quanto fosse sbagliato il suo modo di ragionare. Era l’alba, e il gattone era appena uscito dal suo rifugio notturno per cercare un po’ di cibo. Stava attraversando una radura, quando udì alcuni spari lontani e subito dopo un abbaiare furioso. Stavano arrivando i cacciatori! Vi fu un fuggi fuggi generale ed anche il gattone selvatico si mise a correre per nascondersi nel bosco. I cani intanto, fiutata la sua presenza, lo inseguivano, cercando di raggiungerlo.

“Presto, gambe mie!” pensava tra sé il gattone. “La mia salvezza dipende da voi! correte veloci!”

 

Le sue zampe facevano il loro dovere e lo portarono velocemente fino al bosco. qui finalmente l’animale poté respirare.

Si sentiva ormai al sicuro.

“Ora penetrerò nel fitto del bosco” si disse; “mi nasconderò ed i cani non mi troveranno più.”
Ma mentre così pensava, le sue bellissime e lunghe orecchie appuntite si impigliarono in un cespuglio di rovi ed egli s’arrestò di colpo. Si udivano i cani abbaiare sempre più vicino. Allora il lince, preso dal terrore, incominciò a scuotersi e dimenarsi per liberare le orecchie impigliate nel roveto fino a strapparsele, prima che i cani riuscissero a raggiungerlo.


Il narcisismo è una condizione psicologica, e in questo caso “identitaria”, che caratterizza l’uomo moderno e consiste nella disposizione dell’individuo a vedere il mondo come uno specchio, come una proiezione delle proprie paure e dei propri desideri. Il primo e quasi unico comandamento dei narcisi è “farsi vedere”. Narciso, nella mitologia greca, si specchia nell’acqua beandosi di se stesso, e per i narcisi la visibilità viene prima dell’ammirazione, precede il giudizio di valore altrui. Farsi vedere è più importante che piacere. I social network moltiplicano le occasioni per dare mostra di sé. Un tempo, per essere visto, il narciso doveva accontentarsi della passeggiata sul corso della cittadina, al bar del centro, alle feste, ma sui social l’evento è permanente, il flusso di immagini è continuo. Esserci è l’anfetamina del narciso. Si nota benissimo in politica, dove su Twitter, i politici tendono a esprimersi su qualunque fatto di attualità: non è importante ciò che dicono, ma essere presenti. 

"Guarda nel tuo specchio e di' al volto che vi vedi
che ora è il tempo per quel volto di formarne un altro;
se ora tu non ne rinnovi il fresco aspetto,
inganni il mondo, e una madre privi di benedizione.
…O qual è l'uomo così fatuo da voler essere la tomba
dell'amor di se stesso, arrestando la sua posterità?
Tu sei lo specchio di tua madre, ed ella in te
rimemora il leggiadro aprile del suo rigoglio;
e così dalle finestre della tua vecchiaia tu vedrai,
a dispetto delle rughe, questo tempo tuo dorato.
Ma se tu vivi per non essere ricordato,
muori solo, e la tua Immagine muore con te."

Gigino A Pellegrini

Dobbiamo dire che ci mancava la voce libera di El Tarik. Ed ecco che, forse invocata, ci è arrivata. Proprio stamattina.


E senza piaggeria, ve la proponiamo, chiedendovi di riflettere sulla ripetitività della storia (chi oggi contesta il potere è ribelle o brigante?)

Ma passiamo la parola a “Gigi”:

“La sera del 27 settembre 2014, in un piccolo paese, Pianopoli, vicinissimo a Lametia Terme, ho respirato l'aria di un venticello fresco e frizzantino mentre ascoltavo il concerto del cantautore Eugenio Bennato insieme ad un gruppo dal nome inequivocabilmente calabrese: i "Mujura". Quel venticello portava con sé un qualcosa di inebriante che ha da subito infiammato le migliaia di persone, che come me e l'amico Perego, erano arrivate da tutto il Sud. Meridionali venuti ad ascoltare le storie di uomini e donne che furono:

RIBELLI O BRIGANTI ?

Sono stati definiti Guerriglieri coloro che in Spagna, nel 1808, si opposero con le armi alle truppe napoleoniche e le loro gesta sono state immortalate nelle tele di Francisco Goya. Patrioti sono stati considerati coloro che seguirono nel 1809 Andrea Hofer e il loro canto di guerra è divenuto l'inno nazionale delle popolazioni tirolesi. Nell’Italia Meridionale, invece, chi nel 1806, rispondendo all'appello degli inglesi ed a quello del proprio sovrano, si oppose all'invasore, è stato definito e continua ad essere definito “Brigante” l’equivalente del “terrorista” dei giorni nostri. Nel 1806 Napoleone Bonaparte, decise di liquidare il regno borbonico. Il corpo di spedizione francese, al comando del generale Massena, varcò i confini dello stato e occupò Napoli. I borbonici cercarono di fermarne l’avanzata, ma, nella battaglia di Campotenese, furono inesorabilmente sconfitti e gli invasori ebbero via libera anche nell’occupazione della Calabria. I sudditi fedeli al re Ferdinando IV°, terzo genito di Carlo III° re di Spagna, organizzarono una feroce reazione antifrancese affidata alla capacità di lotta ed alla ferocia di alcuni celebri briganti, molti dei quali, già al seguito del cardinale Ruffo nell’armata sanfedista, avevano consentito, nel 1799, la restaurazione borbonica. La zona di Caccuri in Calabria divenne quindi teatro delle gesta di Fra Diavolo, il famoso colonnello Michele Pezza già monaco del convento di San Giovanni in Fiore che finirà per essere sconfitto e, catturato dal generale Hugo e giustiziato nello stesso anno. La figura di Fra Diavolo venne celebrata da Auber nella omonima opera lirica e riproposta in uno spassoso film di Stan Laurer ed Oliver Hardy e, ai giorni nostri dal famoso cantautore napoletano Eugenio Bennato. Nei dintorni di Caccuri operarono anche Nicola Gualtieri, detto Panedigrano, Giacomo Pisano da Pedace, più noto col soprannome di Francatrippa, Paolo Mancuso detto Parafante, Filicione e Geniale Versace da Bagnara, detto Gernialtitz. Proprio quest’ultimo, nell’agosto del 1806, mentre col grado di colonnello scorrazzava nella Sila con i suoi uomini, fu sorpreso ed ucciso dall’esercito francese. Della sua fine si vantò il capitano della Prima compagnia scelta della Calabria Michele Vigna che, per ricompensa, ottenne due fondi nel territorio di Caccuri e che poi gli vennero tolti da Francesco IV° con un decreto del 14 agosto 1815, in piena Restaurazione. Intanto nello stesso mese di agosto, il giorno 30, i Francesi entrarono in San Giovanni in Fiore, mentre Caccuri era da tempo teatro di rivolte fomentate da Francatrippa e dai Pedacesi. Qualche tempo prima, infatti, nella cittadina, venne innalzato lo stemma della rivolta e proclamato un governo provvisorio. La notizia viene riportata in un rapporto dell’intendente della Calabria Citra Vincenzo Palombo al generale Miot. La resistenza di Francatrippa e delle sue bande si protrasse per quasi un anno, ma non sortì grossi risultati. Nel gennaio del 1807 si attestò sulle alture di Gimmella, un monte tra Caccuri e San Giovanni in Fiore, alla testa di 2000 uomini, nel tentativo di espugnare la cittadina florense presidiata dall’esercito francese al comando del colonnello Lambert. L’8 marzo del 1809 venne catturato in località Bardaro dell’agro di Cerenzia il brigante Domenico Fabiano che, condotto a Caccuri, fu immediatamente fucilato in località Petraro. “I nostri avversari che osano chiamarsi patrioti” - lamentarono sin dal 1806 i ribelli meridionali - abusando le parole e a piaggiare l'oppressore...”ci gridano briganti”. Erano stati infatti i francesi, scesi in Italia Meridionale nel 1799, ad adottare per primi questo termine per indicare coloro che ad essi si opponevano. Era un termine questo nuovo nella lingua napoletana. A Napoli erano sempre stati indicati come banditi i fuorilegge che si erano dati alla campagna e come proditores, distinti dai primi, i ribelli scesi in armi contro il potere costituito. E continuarono ad adottare il termine usato dai francesi nel 1799 per indicare il ribelle anche i soldati di Napoleone venuti alla conquista del Regno di Napoli nel 1806. Pur autodefinendosi apportatori di libertà e di giustizia, costoro non concepivano che un popolo potesse battersi contro di loro in difesa del proprio paese. Chi ad essi si opponeva non poteva essere che un volgare brigante. Questo termine, con cui i francesi indicavano gli eroi e delinquenti comuni, ebbe fortuna. E quando il ribelle, per non essere passato per le armi o consegnato al boia o al plotone di esecuzione, fu costretto ad adottare gli stessi metodi e gli stessi sistemi che venivano usati contro di lui, fu facile confonderlo con il più volgare dei delinquenti comuni. Il primo episodio di reazione al nuovo ordine costituito e al nuovo re d’Italia si verificò nei primi giorni di luglio del 1861 quando orde di briganti percorsero "impunemente, a mano armata, gridando “Viva Francesco II”, con la bandiera bianca alzata”, come scrive in una lettera l’Intendente di Crotone al Governatore della Provincia di Calabria.

Gigino Adriano Pellegrini & G el Tarik

Riceviamo e pubblichiamo:

Rovistando nella melma di una convivenza sociale che si basa sulla banalità e sulla superficialità artefatta, sui luoghi comuni, sulla falsità, in fondo sulla più assoluta inconsistenza, gli atteggiamenti pseudo-estetici sono semplicemente sterili e inopportuni.

In questo vuoto culturale e morale, sempre più individui sono impegnati a produrre fango con il quale si vorrebbe ricoprire tutto e tutti. Eccetto la propria vergogna.

Anche le persone più semplici e impegnate quotidianamente nel cercare di sopravvivere, rischiano di affogare nella gelatina del quieto vivere, del politically & existentially banale.

Ci si adegua pian piano senza nemmeno accorgersene ; ci si trasforma in eunuchi, in fuchi , in venditori di fumo, di pseudo perle, e di nuove scoperte senza terra e orizzonti.

Senza più neanche un’idea in testa ci si aggrappa a qualsiasi cosa che immediatamente diventa “fantastica” pur nella sua ordinaria inconsistenza.

Questi moderni nichilisti costituiscono la loro espressione politica, il loro modo di relazionarsi con gli altri, di affermare il loro “pensiero”, sulla falsa riga di Porta a Porta, ovvero nella familiarità spettacolare e stucchevole con la quale s’apostrofano tra loro, compiaciuti, i divi, protettori e punti di riferimento della “new generation”.

Nel frattempo si accantonano i temi seri, le parole che vengono dal cuore, il sentimento, la vena comunicativa, il desiderio di dire le cose come sono, chiare e subito; pian piano “si matura” come un frutto che sta per cadere; altro che uomo nuovo !

Ed anche quando si decide di scomunicarli tutti questi arrivisti bigi dell’ultima ora, non ci si avvede che ci si auto- emargina anche quando si cerca la strada impervia della solitudine dura e pura, si continua a parlare il loro linguaggio gestuale e sintattico; l’unica differenza sta nell’atteggiamento mascellare e nel lodevole richiamo a simboli forti, dal cuore dei quali però ci si ritrova quasi sempre lontanissimi perché ci si è formati nella melassa degli anni di gomma che hanno fatto seguito all’ultimo meriggio postbellico.

Altro che alternativa radicale !E così, un giorno dopo l’altro, come cantava , prima di togliersi la vita, Luigi Tenco, la vita se ne va e non ce ne rendiamo conto. La conseguenza estrema della crisi sociale attuale e delle difficili condizioni psicologiche individuali, ha le caratteristiche di una tendenza alla distruttività, che è rivolta contro l'esterno ma molto spesso contro l'individuo stesso che la esercita. La distruttività rappresenterebbe l'epilogo del travagliato rapporto con l'oggetto, caratteristico del disturbo narcisistico e delle tendenze sadiche e masochistiche.

L'oggetto identifica simbolicamente il mondo esterno, e con esso tutti i disagi e le paure, che si prospettano all'individuo man mano che egli prende coscienza della propria esistenza. Le possibili pseudo-soluzioni (che corrispondono ad altrettante patologie), a cui si ricorre per superare l'angoscia dell'isolamento e dell'impotenza, sono: la dipendenza simbiotica dall'oggetto (simbiosi incestuosa, sado-masochismo), la sua interiorizzazione (narcisismo), la sua sottomissione (sadismo) ed infine, nel caso di un orientamento distruttivo, la sua eliminazione.

Queste parole? Rimbalzeranno pure queste.

Gigino Adriano Pellegrini & G el Tarik

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