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Le tradizioni sono solo un ricordo di Francesco Gagliardi

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Provate a leggere queste righe di Francesco Gagliardi.

Raccontano un mondo sereno, felice, che , purtroppo, non c’è più. Di un mondo sostituito da una modernità fatta di consumi, di un mondo che ha perso i valori. Non solo quelli del Natale, ma soprattutto quelli della società che si rispettava, se, non si amava.

Forse non sarà facile recuperare quei tempi, ma che almeno siano ricordati.

E’ questo il messaggio di Francesco Gagliardi

“Il Natale di oggi, quello appena trascorso, all’apparenza sembra uguale agli altri. Ma non è così. Se ne è accorto finanche il Santo Padre, il quale proprio ieri, mercoledì 27 dicembre, nell’udienza generale, ha detto così:- Il Natale l’hanno snaturato per un falso rispetto di chi non è cristiano e si è eliminato Gesù -. E ha difeso le luci, i cibi della festa e le varie tradizioni locali. Continua ad impazzire ancora la corsa alla ricerca dei regali da fare ed i negozi sono affollati e restano aperti tutto il giorno finanche la Domenica. E’ stato un Natale ricco e dispendioso, all’insegna delle folle spese e dello shopping. Le strade, le vie, le piazze, i negozi sono illuminati a festa e le vetrine sfavillanti di luce e di colori sono piene di figure natalizie. Ogni tanto, ma raramente, si è visto qualche zampognaro infreddolito che si fermava davanti ai negozi intonando “Tu scendi dalle stelle”.

Ai lati delle strade si vedeva ancora qualche vecchietta che vendeva il vischio, il muschio e il pungitopo. L’agrifoglio no, perché è proibito raccoglierlo. Ma le famose tradizioni e i simboli di questa festa che fine hanno fatto? Tutto dimenticato.

“Sona zampugna, portami luntanu / alli tiempi felice e quatraranza. / A nonna chi filava chianu chianu, / ‘ntramente me cuntava na rumanza../ A ru zuccu chi ardia sempre cchiù chiaru / sutt’a camastra de ‘nu fuocularu!”

Tempi felici quelli, bastava un fico secco scaldato sulla brace ed una fiaba raccontata dalla nonna e noi bambini eravamo felici e contenti. Quanta allegria c’era in quelle case povere, ma ricche di valori, persi ormai per sempre. Tutto si è perso o dimenticato, ma quello che è peggio moltissimi non ne sono a conoscenza. Oggi si parla di regali sfarzosi, di tredicesime, di panettoni, di torroni, di luminarie, di balli, di cenoni, di spettacoli musicali in piazza, tutto orientato al consumismo sviscerato.

Nessuno si dedica più alla riscoperta e alla ricerca dei valori perduti che un tempo non lontano portavano festa ed allegria in ogni casa ed in ogni parte del mondo, perché era nato Gesù, il figlio di Dio, in una povera stalla riscaldato dal fiato di un bue e di un asinello.

Ma le famose tradizioni e i simboli di questa festa che una volta era prettamente religiosa che fine hanno fatto?

Nelle case, nei negozi, nelle scuole, nelle piazze non si costruisce più il presepe come una volta perché come ha detto il Santo Padre – per un falso rispetto di chi non è cristiano -. Quanto tempo dedicavamo alla realizzazione del presepe! E che gioia andare nei boschi alla ricerca del muschio. Nel presepe c’era la grotta che accoglieva Gesù Bambino, la Madonna e San Giuseppe, e fuori gli zampognari, i pastori che portavano i doni a Gesù ed infine le montagne cosparse di farina per dare l’idea della neve con le pecorelle che brucavano l’erba.

E gli zampognari che fine hanno fatto?

Nel mio paese, San Pietro in Amantea, venivano il giorno dell’Immacolata Concezione e il giorno di Santa Lucia. Suonavano in chiesa ma anche per le vie del paese. E ora ricordo la bellissima poesia di Giovanni Pascoli che facevo imparare a memoria ai miei marmocchi :-Le Ciaramelle – Ed ecco alzare le ciaramelle il loro dolce suono di chiesa. Suono di chiesa, suono di chiostro, suono di casa, suono di culla, suono di mamma, suono del nostro dolce e passato pianger di nulla .-

A mezzanotte dopo aver mangiato tredici cose, così era la tradizione, tutti andavamo in chiesa ad ascoltare la Santa Messa, mentre sul sagrato della chiesa ardeva un grande falò. La legna bruciava tutta la notte e la gente si riuniva intorno al falò prendendosi cura perché almeno un tizzone vi restasse acceso la mattina.

I tizzoni che avanzavano venivano conservati come oggetti sacri, e quando si sentiva nell’aria minaccioso il brontolio dei tuoni, precursori delle tempeste, si esponevano fuori sul davanzale delle finestre o dei balconi, credendo vi fossero in essi la virtù di scagionarli. La mattina, poi, le contadine vestite a festa, andavano nelle case dei loro padroni portando loro doni e non erano ricambiati.

Era consuetudine allora rendere omaggio ai padroni specialmente se abitavano nello loro turre di campagna.

Quanti ricordi! Quanti ricordi di tempi felici e belli! E non c’è maggior dolore che ricordarsi dei tempi felici anche se nella miseria: Il Natale dei presepi, degli zampognari, dei falò, dei dolci caserecci, dei cullurielli e delle grispelle, delle canzoncine, delle tombolate, delle recite nelle scuole e della letterina ai genitori che nascondevamo sotto il piatto delle strine.

Lo strinaro era una figura caratteristica del Natale scomparso, che andava cantando accompagnato dalla chitarra, a chiedere da bere. Se le porte delle case non si aprivano, non solo faceva un gran chiasso, ma il suo canto diventava dispettoso ed ingiurioso..

Per gli anziani queste tradizioni sono solo un ricordo, per i giovani soltanto cose futili ed inutili. Ricordarli, però, fa sempre bene, per essere vivi nella storia della nostra Calabria, per capire meglio la società di una volta diversa da quella di oggi, dove si parlava un linguaggio diverso, dove gioia e dolore venivano divisi con gli altri, dove tutti si aiutavano a vicenda, dove la parola “shopping” non era stata ancora importata in Italia e la gente non impazziva per i regali e per un Natale ricco e dispendioso.

Redazione TirrenoNews

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