‘Voi che sapete che sia l'amor, donne vedete se io l'ho nel cor.’ Dalle “Nozze di Figaro” di A. Mozart.
Quando nacque Afrodite, nacque la bellezza e nacquero anche tutti i suoi generosi doni godibili nella molteplicità e nella complessità delle forme, dei suoni e dei colori...
Rose e peonie moltiplicarono i loro petali, un uccello canoro rendeva più complessi i suoi trilli, gli alberi d’estate emisero milioni di foglie, le viti si avvilupparono, i ciottoli e la sabbia batterono senza fine contro le rive del mare, di quel mare da cui Lei era nata.
Il mito sembra essere la rappresentazione inconscia delle decisive situazioni esistenziali, rivestendo per gli esseri umani tanta importanza perché nelle sue confessioni non oscurate dalla coscienza si possono cogliere le esperienze umane fondamentali nella loro autenticità.
Cosa accadde a Psiche, dopo essere stata spinta dalle forze matriarcali, ostili all’uomo nell’avvicinarsi al letto munita di lampada e coltello per uccidere un presunto mostro, che altri non era che Eros? La persona Psiche al giaciglio di Eros non sembra più la creatura languidamente irretita e stordita dal piacere che vive nell’oscuro paradiso del sesso e del desiderio. L’individuo capace d’Amore sarà completo in Sé e lascerà che l’Altro sia proprio Altro-da-Sé.
L’Altro allora non sarà narcisisticamente tenuto lontano o rifiutato, non sarà oggetto idealizzato né oggetto di dipendenza, e tanto meno investito di richieste, bisogni o altre compensazioni la cui natura intrinseca richiede risoluzioni intrapsichiche. Nel momento del fatale fraintendimento, ossia che si faccia dell’Altro il proprio principio risolutore, l’amore percepito si affretterà presto a svanire trascinando con sé il destino della relazione e facendosi sostituire da rabbia, rancore, delusione e vuoto.
Cosa importa se il pugnale
Ha trafitto un’anima?
Resteranno per sempre questi versi,
più forti di quella lama!
Cosa conta se la sofferenza
prosciuga il mare e adombra la volta celeste?
Questi pochi versi,
dolce consolazione,
Vengon fuori da quel dolore.
Questo meccanismo appare ben chiaro se si riflette sul fenomeno dell’innamoramento, intendendo con esso quell’iniziale fase di idealizzazione dell’Altro e della relazione. Talvolta l’innamoramento termina portando ad una nuova fase individuabile nello sviluppo della relazione, altre volte, invece, nessuna farfalla coincide con la morte del bruco. Quando il partner delude le aspettative dell’innamorato, ne interrompe le proiezioni, cosicché tutto ha termine, e dopo l’innamoramento, nulla. Quando si verifica la cacciata da quel paradiso? Quando termina l’innamoramento? La risposta è custodita proprio nel crollo delle illusioni: l’innamoramento termina cedendo il passo all’Amore o al vuoto, quando l’Altro emerge con la sua identità tradendo le proiezioni precedenti. Da semplici osservatori, ogni qual volta ci si trova di fronte ad una forma patologica d’amore si è testimoni di una relazione pervasa dalla dimensione del Potere. Il Potere si insinua fra le pieghe della relazione annullando la paritarietà, la possibilità di scambio, di crescita personale e di dialogo relazionale. Viene creata una situazione di rigidità mortifera dove ogni onesto slancio vitale cede il posto al controllo, allo sfruttamento, all’annullamento dell’Altro come fine della relazione. L’Amore dunque, perché sia tale, prevede sempre una dimensione a tre: un Io, un Altro e una Relazione. Il viaggio amoroso, diventa la metafora della ricerca interiore, e più in generale di quel cammino incessante che si chiama esistenza, tutti i momenti della quale, nessuno escluso, e compresi quelli definibili come di smarrimento, concorrono a plasmare l'identità di ogni persona. Un modo ben diverso di intendere il viaggio in un'epoca di connessione costante e di azzeramento virtuale della fisicità, in realtà decisivo per sottrarre alla tecnica il monopolio della nostra vita.
“Della Donna? Ebbene, può darsi
che si muoia del suo morso;
ma non macchiar la sua vita
dicendo male di Donna.”
Gigino A Pellegrini & G el Tarik