Le ferite della guerra erano ormai guarite e la comunità di Campora San Giovanni, pur colpita da un fortissimo processo di migrazione, aveva assunto una dimensione notevole.Oltre che comunità economica e civile , però, aveva un forte bisogno di diventare anche comunità religiosa.
Ed allora decise di costruirsi una propria chiesa.
Parteciparono tutti; ognuno con quello che aveva.
Qualcuno mise un po’ di soldi, qualcuno le tavole, altri il materiale necessario, altri ancora il lavoro
Si veniva via un po’ prima dai campi per dare una mano alla costruzione della nuova chiesa.
E non c’era differenza tra il lavoro maschile e quello femminile; ognuno partecipava, dando quello che poteva.
E piano piano la chiesa cominciò a prendere corpo fino diventare completa.
Anche il campanile nacque piano piano, svettando nel cielo con la sua punta aguzza soprastante la campana e sormontata dalla croce
Si vedeva da ogni parte di Campora quel campanile e si sentiva anche da lontano
Un campanile che sorvegliava la laboriosità dei camporesi
Una chiesa che identificava innanzitutto la comunità e che aiutava a sentirsi eguali anche se si era originari di Terrati, o di Serra, o di Cleto, o di Aiello, o di Nocera e via di seguito
E poi ognuno poteva dire “la chiesa è mia”.
Non era stata donata alla neonata comunità camporese era stata da loro faticosamente costruita giorno dopo giorno.
E che festa la domenica.
Ma poi la popolazione di Campora crebbe esponenzialmente, nacquero i primi negozi, le prime attività artigiane , le scuole
E la chiesa divenne troppo piccola.
Non solo ma cominciarono le prime lesioni alla vecchia struttura muraria.
Venne realizzata la nuova chiesa che piaccia o non piaccia era una chiesa capiente, moderna.
E fu così che il destino della vecchia chiesa del popolo venne deciso da una sola parola: via.
Ora che sei vecchia e c’è quella nuova non servi più , puoi andare via ; anzi sei un peso .
E poi con la tua mole copri la visuale della chiesa ad una parte del corso.
Basta con il vecchio, basta con il passato, basta con le memorie di una Campora piccolo borgo.
Ora Campora è grande, ha una forte economia, ha il porto, ha il PIP, gli alberghi, i supermercati, la nuova chiesa, la più moderna dell’intera Amantea.
Ubna chiesa che è come le spose bagnata e fortunata
La vecchia chiesa, peraltro cadente, è un pugno negli occhi, è il passato, contrasta con il futuro glorioso verso il quale Campora viaggia.
Non solo, se si abbatte, Campora avrà anche la più grande piazza dell’intera cittadina.
Nessuna remora, allora.
Nessuno che abbia alzato gli occhi verso il cielo per sapere se era giusto quello che si stava facendo, quel cielo da dove sicuramente don Peppino Arlia osservava i suoi camporesi , forse quei camporesi che non capiva più.
Nessuno che sia andato con la memoria indietro, ai propri avi che lasciavano i campi per portare sui cesti le pietre per la costruzione della chiesa o che aggiungevano ai calli della zappa anche quelli del piccone e della mazza necessari per spaccare le pietre della loro chiesa!
Nessuno che ricordasse che quella chiesa ed il casello ferroviario erano stati il simbolo del ventesimo secolo e della comunità camporese.
Ora i treni non fermano più come prima e la vecchia chiesa è “salita in cielo”, sotto la potenza non del maglio dell’escavatore ma della gioiosa indifferenza di un popolo che non la amava più!
Il prossimo passo?
Questo l’ho sentito mentre la chiesa cadeva
Il prossimo passo è l’autonomia da Amantea; Campora comune non più frazione!
Basta cordoni ombelicali con il passato!