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Il patrimonio culturale italiano fatto a pezzi e svenduto agli stranieri, la storia di Cleto in Calabria

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La svendita del patrimonio artistico italiano è ormai una realtà contro la quale si deve intraprendere una tenace battaglia, una ‘’crociata’’ vera e propria a difesa di secoli di storia, arte e tradizioni.

 

Anche i piccoli centri non risultano immuni dal redditizio business dell’arte, complici gli scarsi controlli e una normativa che si vuole trasformare a vantaggio del mercato.

Salvatore Settis, solo poche settimane fa, così ha scritto: «La nuova norma trasforma l’Italia in un gigantesco magazzino di beni culturali di seconda mano, dove chiunque è invitato a entrare col carrello della spesa.

Ecco arrivare al Consiglio dei ministri un Ddl sulla concorrenza, che dovrebbe parlare di energia, assicurazioni e così via, ma cova al suo interno un’escrescenza impropria, l’art. 68, che disciplina “la semplificazione della circolazione internazionale dei beni culturali”».

 

Non è una bella notizia per l’Italia, già nel mirino di tombaroli, mercanti d’arte e miliardari stranieri. Anche in Calabria, il mercato, soprattutto dei reperti archeologici, esiste da sempre, ma negli ultimi anni è stato esteso anche a beni di grosse dimensioni, come le chiese.

Un paio di anni fa, un paesino dell’alto Jonio calabrese, Montegiordano, è stato teatro di un episodio alquanto sconcertante: un’antica chiesetta di origine medievale dedicata alla Madonna del Carmine, fu smontata per essere spedita al MOMA di New York, dove sarebbe stata rimontata ed esposta in modo permanente.

Un’idea balzana di un artista che aveva acquistato on line l’immobile. Tutto avvenne – e questo fu molto grave – nel silenzio degli enti locali.

Grazie all’allarme lanciato da uno storico dell’arte, che inviò un’informativa al ministro Bray, e alla conseguente mobilitazione della Soprintendenza BAP di Cosenza, si riuscì a bloccare, nel porto di Gioia Tauro, il container contenente i pezzi della chiesetta, pronta per attraversare l’oceano alla volta degli Stati Uniti.

 

Oggi, sotto i riflettori è una chiesetta di Cleto, altro paesino in provincia di Cosenza.

Nel 2015, la piccola chiesa del Rosario, detta anticamente chiesa castellense di San Giovanni Battista, viene venduta dalla parrocchia di Santa Maria Assunta a un imprenditore olandese per 10.000 euro.

La chiesetta, dichiarata dalla Soprintendenza di interesse culturale (decreto 39/2014), sarebbe dovuta diventare, nelle intenzioni dell’acquirente, un centro d’arte internazionale.

Il comune, però, prima che fosse venduta, aveva ottenuto, già nel 2014, un finanziamento (fondi Por) di 300.000 euro, parte dei quali destinati a mettere in sicurezza l’edificio pericolante, i cui lavori furono appaltati nell’autunno di quell’anno.

In seguito, in aprile 2015, l’Amministrazione cletese decadde per effetto delle dimissioni dei consiglieri di minoranza e di alcuni di maggioranza.

Nel corso del successivo periodo di commissariamento del comune – che non si sa come mai non abbia esercitato il diritto di prelazione – si registrerà la compravendita tra la parrocchia di S. Maria Assunta e l’imprenditore olandese. Il progetto imprenditoriale di trasformazione del diruto edificio in centro d’arte, con la rielezione a giugno 2016 dell’attuale giunta, non avrà vita facile. Già a luglio dello scorso anno, il Consiglio comunale dichiarò di pubblica utilità l’edificio, una volta adibito a luogo di culto, e, con decreto successivo lo espropriò.

 

Ma il Tar Calabria, al quale si era rivolto l’imprenditore olandese, annullò tutto per difetti di notifica nell’ottobre successivo.

Si attende, ora, il pronunciamento del Consiglio di Stato per stabilire chi dovrà disporre della chiesetta e se un bene dichiarato di interesse culturale possa essere alienato ai sensi del Codice dei Beni Culturali vigente.

I due casi citati sono sintomatici della scarsa attenzione che la Soprintendenza calabrese riserva ai beni su cui dovrebbe vigilare (non si capisce, altrimenti, quale possa essere la sua funzione) e mettono in risalto la tendenza, sempre più diffusa, di ‘’fare’’ a pezzi il patrimonio storico-artistico italiano per svenderlo sul mercato internazionale dell’arte.

Maggiori controlli e sensibilità da parte anche dei cittadini sono da invocare per impedire che il nostro paese, da museo a cielo aperto, si ritrovi ad essere depredato e alienato a stranieri milionari.

18 Maggio 2017 Francesca Canino

Ultima modifica il Venerdì, 19 Maggio 2017 09:26
Redazione TirrenoNews

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