Ci eravamo occupati del Monaco silano cercando di apprezzarne l’importanza
storica e di comprenderne l’escatologia, che torna utile in ogni circostanza in cui
compare lo spettro di una minaccia planetaria.
I più informati ricorderanno la citazione di Gioacchino da Fiore da parte di
Barack Obama il quale, nel corso della campagna presidenziale USA del 2008, lo
nominò tre volte, volendo associare la propria elezione all’avvento di un’epoca di
pace e di giustizia dopo la guerresca presidenza di George W. Bush.
E allora, perché non nominarlo noi in vista della speranza pasquale? Noi,
smarriti come siamo di fronte all’ultimo anticristo (Covid-19) venuto fuori dalla
spirale della coda del drago, e preoccupati per l’incerto futuro che ci attende.
Con la sua visione trinitaria e concordistica della Storia, il Calabrese,
morto nel 1202, introdusse una speranza nella senescente concezione mondiale
di stampo Agostinista, secondo la quale la maggior Luce era stata raggiunta con
la venuta di Cristo. Gioacchino lanciò un invito, rivolto alla Chiesa e all’Umanità, a
prepararsi spiritualmente in vista dell’imminente Terzo Tempo, quello dello
Spirito, un’Era nuova che doveva sorgere all’esito vittorioso della Battaglia
finale contro l’anticristo, la nuova Armageddon, e del Giudizio universale.
Dunque, per Gioacchino la grande Luce doveva ancora splendere.
Le Posizioni gioachimite subirono condanne che ne impedirono la
santificazione, ma ispirarono i gruppi ereticali pauperisti successivi, tra i quali i
“Dolciniani” e i “Frati della vita povera” di derivazione francescana, condannati
dal papa Giovanni XXII che gli stessi chiamarono “Anticristo”.
Qualificato come il più grande mistico del medioevo occidentale, oggetto di
attenzione di studiosi dell’intero globo, di Lui narrano magnifici racconti. A noi
piace ricordarlo nel dodicesimo canto del Paradiso, in cui san Bonaventura
presenta al Fiorentino l'anima del Calabrese, di spirito profetico dotato. E ne’
“Il nome della Rosa” di Umberto Eco, Ubertino da Casale spiega ad Aldso di Melk
che gli eretici s’ispiravano a Gioacchino da Fiore, chiamandolo “grande profeta”.
Molto più modestamente, in un recente romanzo di quì, Tusco da Fonte Laurato,
un Gioachimita lebbroso di Fiumefreddo, vede in Carlo d’Angiò l’ultimo anticristo
e ne vaticina la sconfitta pronunciando drammatici anatemi.
Secondo una certa letteratura, proprio in una notte di Pasqua, Gioacchino
ricevette il dono di comprendere a fondo la trama della Storia rinserrata nel
sepolcro della Bibbia, e il significato pieno dell'Apocalisse giovannea.
Come non associare dunque la prossima Pasqua alla Pasqua di Gioacchino, di
questo formidabile “investigatore delle Scritture”, in grado di trovare
nell’Universo biblico, e nei segni del suo Tempo, gli indizi di un travaglio
dell’Umanità destinato a condurre sulla porta di una nuova Era?
Ottocento anni dopo, qualcosa di tremendo ci invita a
rinnovare lo sguardo su di noi, sui popoli e sul mondo, nella
speranza di un Tempo migliore al quale possiamo concorrere
animando di un respiro nuovo il nostro cuore intorpidito.
Riteniamo in tal modo di riflettere sulla Pasqua che verrà.