Ciccio Svedese è uno di noi; parlo di noi amanteani che amiamo la nostra città.
Anzi, forse, lui è un esempio di questo amore che lo ha visto emigrante per il mondo, ma sempre con Amantea, anzi la sua Calavecchia, nel cuore.
Ed ancora oggi, ogni anno, è lì, dove c’è la sua antica abitazione , quella della sua famiglia, quella della sua infanzia, dei suoi amici, dei suoi ricordi più intensi e profondi.
Una piccola parte di quel quartiere vivo e pulsante che, tra l’altro, era il Trait d’union tra la “chiazza” e la “taverna”
Quella casa e quel quartiere che sono la radice principale dell’albero della sua vita, quello che, anche per ognuno di noi, piano, piano si vuota delle sue foglie di cui riempie il terreno sottostante, o, nel caso di Ciccio, e per ora, il suo primo libro.
Affatto emblematico il titolo “Foglie” , non pezzi di vita, non ricordi, non memorie, ma parti dell’insieme della vita di ognuno, componenti di quello che è la macchina della storia di ogni uomo.
Un dono, un altro dono, oltre la sua voce, offerta per anni ai suoi compaesani.
Brevi storie nelle quali si può intravvedere la Amantea che non c’è più, quella della semplicità, dell’amicizia, o se volete quella povera di mezzi finanziari e che ha costretto tanti al dolore della emigrazione, ma ricca di sentimenti, di amore, quelli che emergono vincenti dai racconti che Ciccio offre ai suoi amici in Italia e nel mondo.
Ed affatto emblematica è la foto della prima pagina, quella che presenta un pomeriggio sfocato di una lontana New York, dove un uomo solo, di spalle, cammina sulle foglie degli alberi ancora vitali, ascoltando la musica del fruscio delle scarpe; un uomo che cammina verso il suo destino, senza timori o paure; con la consapevolezza di un ricco passato e di un ricco futuro
“Foglie” ci sembra davvero un libro che sa parlare al cuore ed alla mente, che sa far ricordare, con dolcezza momenti di vita comune, che Ciccio descrive con la consapevolezza che appartengono a tutti.
Luoghi e persone vivono fatti emozionali che sono non soltanto memoria, ma, forse, invito a ritornare a rivivere la dolcezza di tempi troppo presto andati via con i tanti giovani e le tante famiglie che sono emigrate da questa plaga che poi hanno contribuito , e solo per amore, a dar nuova linfa vitale.
Ecco questo voglio leggere nel “dono” di Ciccio, un invito a rileggersi ed a rimemorizzare momenti ancora non dimenticati e proprio per non dimenticarli.
In fondo, e Ciccio lo sa, noi siamo, soprattutto, il nostro passato e quel poco di voglia di vivere onestamente e consapevolmente il nostro futuro.